È come se i veleni stiano traboccando dal vaso. È come se dopo un terremoto stia emergendo dal sottosuolo un cuore di tenebra. È come se, cancellati secoli di storia, si stia tornando a un perverso stato di natura in cui l’unica regola legittima è l’aggressione dell’uno contro l’altro.
Mi riferisco al picco di imbarbarimento del “dibattito pubblico” (chiamiamolo per decenza così) che attraversa l’Italia a proposito di due persone: la tedesca Carola Rackete e l’italiana Alessandra Vella. Quest’ultima è il gip che, a norma di legge, ha liberato Carola. Su queste due signore si è scatenata una valanga di insulti, minacce, diffamazioni, volgarità di ogni specie, genere e tipo. Colpisce la quantità e la qualità. Si tratta di migliaia, credo decine di migliaia, di messaggi carichi di una violenza inusitata.
Certo, l’aggressione verbale c’è sempre stata, e quella mediatica c’è da quando c’è il web e ci sono i socialnetwork. E la “fase” dell’imbarbarimento del dibattito pubblico si avviò pressappoco con la nascita del primo governo Berlusconi. Fin da prima, a dire il vero, i segnali di questa china rovinosa erano apparsi in tv, nei talk show, ove le reciproche aggressioni progressivamente entravano a far parte dello spettacolo mediatico. Con Berlusconi – ma anche con alcuni governi successivi – il processo di decomposizione andò progressivamente avanti, travestito dal dichiarato superamento del “politicamente corretto”, che nel giro di qualche anno diventò licenza di insultare, diffamare ed aggredire. Un’altra pietra miliare è stato Grillo che, mescolando abilmente (presunta) comicità, iconoclastia verbale, sdoganamento del turpiloquio, politica e utopia, aprì la grande stagione del Vaffa. Da quella stagione nacque una forza politica, oggi ridimensionata ma alle ultime elezioni politiche maggioritaria, che, a fronte di una crisi del sistema tradizionale dei partiti, pretendeva di essere l’unica depositaria dell’onestà, della verità e della giustizia. In quella stagione, grazie anche alle crescenti “intemperanze” delle forze di estrema destra, si avviarono i sistematici e mediatici linciaggi, uno per tutti quello nei confronti dell’allora Presidente della Camera Laura Boldrini.
Così si è avviato il tempo di Salvini e, con lui, si è superata di slancio la soglia critica della tenuta di una civile convivenza verbale. La crescita elettorale del partito dell’attuale ministro dell’Interno è stata ed è direttamente proporzionale all’istigazione al disprezzo, all’irrisione e all’odio nei confronti dell’altro, con quattro bersagli principali: i migranti, i rom, gli avversari della sua politica, il mondo dell’Unione Europea.
Si è arrivati a un oggi plumbeo e maleodorante, ove una parte minoritaria ma tutt’altro che irrilevante degli italiani adotta, o approva e rilancia, o comunque accetta, una forma di comunicazione pubblica fondata sulla denigrazione, l’irrisione e il dileggio dell’interlocutore nella polemica politica. Non è casuale che oggetto dell’aggressione selvaggia siano due donne, contro le quali si vomita il peggio della rancorosa invidia machista e della subcultura antifemminile da orinatoio.
Come gli apprendisti stregoni, è stato aperto un vaso di Pandora che non si sa dove possa portare: le minacce di morte, di stupro e di ogni altra forma di violenza nei confronti di Carola Rackete e di Alessandra Vella hanno superato il livello di guardia. Non mi riferisco solo al codice penale, seppure non si possono chiudere gli occhi davanti alla gravità e alla reiterazione di palesi reati. Né mi riferisco solo all’azione di prevenzione e di repressione da parte delle forze dell’ordine. Giusto chiederla, sia chiaro. Ma a chi? Al ministro dell’Interno?
Da notizie dell’ultima ora, a proposito degli attacchi al gip di Agrigento, i consiglieri togati del Csm hanno approvato un documento di denuncia “di esponenti politici e delle istituzioni”: tra queste, “quella di stasera è una sentenza che non fa onore e non fa bene all’Italia”, e “tutto si risolve in una pacca sulla spalla e magari un bicchiere di vino con la signorina bianca, tedesca e ricca, un po’ annoiata”. E ancora: i togati mettono in risalto le frasi per cui “per la magistratura italiana ignorare le leggi e speronare una motovedetta della Guardia di Finanza non sono motivi sufficienti per andare in galera”, o “la vita di un finanziere vale meno della vita di un clandestino, è una bella responsabilità che questo giudice si è preso, e questo è follia, non è indipendenza della magistratura, è follia”, “il dramma è che ci sia un uomo di Stato, quali i giudici sono, che dà ragione alle Ong”, e infine, “avere liberato Carola Rackete è stata una scelta sconcertante. Si aggrediscono i militari italiani e la magistratura lascia correre”.
Come si vede, emerge un quadro devastato di tanta parte della politica italiana: un ministro che, sparando falsi, demagogie e disprezzo, attacca a cornate una sentenza, un magistrato e la magistratura nel suo insieme. Da ciò un distinto pericolo per un architrave della democrazia in Italia, e cioè la divisione dei poteri.
Ma oltre alla questione politico-costituzionale c’è la questione, per così dire, giuridico-sociale, cioè gli insulti e le minacce mediatiche (e non solo) alla persona del gip, del tutto simili a quelli profferiti contro Carola Rackete.
Si è superata una soglia, oltre la quale c’è solo l’aggressione fisica. In realtà per altri soggetti la soglia è stata superata da tempo: migranti, rom e oppositori politici sono nel mirino; non si contano le aggressioni e le violenze, quasi sempre (ma non sempre) ad opera di squadracce fascistoidi che, com’è noto, non si limitano a migranti, rom e oppositori, ma, ad abundantiam, comprendono ebrei, omosessuali e più in generale chiunque a loro appaia “altro” o “diverso”.
Sta di fatto che, nel caso delle due signore, c’è un rapporto diretto, immediato e sinergico fra gli attacchi del ministro e la valanga di minacce e insulti nei confronti di Carla Rackete e Alessandra Vella. A ciò – attenzione – corrisponde una divisione-contrapposizione “popolare”, perché chi difende le due signore diventa in automatico l’amico del nemico, e dunque il nemico. C’è il rischio – ripeto – che il clima trascenda con effetti pesantissimi per la tenuta della convivenza civile.
Bene hanno fatto i togati del Csm, ma non basta: c’è bisogno di una rivolta di civiltà e di democrazia; occorre che la società, le istituzioni, il mondo della cultura e dello spettacolo diano incontrovertibili segnali di ripulsa verso questa deriva di ferocia e di barbarie fascistoide. E occorre che questo avvenga al più presto.
Pubblicato giovedì 4 Luglio 2019
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