Albertina Soliani durante l’intervento al Congresso nazionale Anpi (Riccione, 24-27 marzo 2022)

Sl’è not űs farà dè. Albertina Soliani lo pronuncia in romagnolo il suo no alla guerra e la sua speranza attiva di una pace sempre possibile a volerla cercare. «Se è notte si farà giorno. E quel giorno sta nascendo ora» dice. E subito pensi al profeta Isaia, a uno dei cantici più toccanti e belli della Bibbia: «Sentinella, quanto manca al giorno? Sentinella, quanto resta della notte? Risponde la sentinella: il mattino viene, ma è ancora notte! Se volete domandate chiedete, tornate e domandate ancora». C’è la coscienza dell’umanità in quei versi. Non sembrino dunque strane queste parole di Soliani, mentre si sente il rombo dei cannoni e il grido di dolore dei popoli, perché «possiamo far nascere il nuovo giorno se riusciamo a capire il buio in cui siamo piombati. Se saremmo capaci di aprirci la strada tra le macerie, di parlare con tutti, di dialogare con tutti». La vicepresidente nazionale dell’Anpi e presidente dell’Istituto Alcide Cervi non ha dubbi su quale sia la strada da seguire per sfuggire alla troppo facili dicotomie nel terribile conflitto ucraino: «l’unità nazionale e antifascista è la prima strategia politica dell’Anpi. Oggi come ieri». E con Patria Indipendente ragiona sul senso del 17° congresso dei partigiani che si sta concludendo a Riccione dopo i quattro giorni di lavori aperti il 24 marzo.

Albertina Soliani

Il Congresso dell’Anpi si è celebrato in un momento drammatico: il mondo intero segue con il fiato sospeso il conflitto che insanguina l’Ucraina.

Sono state giornate importanti. Solide. Le sfide che abbiamo davanti sono altissime. Lo ripeto, l’unione delle forze democratiche è oggi più che mai necessaria. E quell’unione l’ho vista dispiegarsi al nostro Congresso. Non solo partiti, ma istituzioni, movimenti, sindacati, tutti soggetti che hanno partecipato ai nostri lavori, interloquito con l’Anpi. Cito e sono solo alcuni esempi: il messaggio del Capo dello Stato Mattarella che ci ha ricordato che è la democrazia l’obiettivo ultimo della guerra; il saluto affettuoso regalatoci dalla senatrice a vita Liliana Segre; lo splendido e per alcuni versi commovente intervento di Mattia Santori delle Sardine. Penso, ancora, alla presenza di molte personalità di ispirazione costante come don Luigi Ciotti e l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi o all’intervento del generale di brigata dell’Esercito, Fulvio Poli. Personalità e mondi variegati hanno dialogato con l’Anpi. E soprattutto hanno parlato del nostro Paese e del mondo. Dell’Europa. Ha preso forma, e gambe su cui camminare, il sentimento del popolo italiano. Con accenti anche diversi, con storie e provenienze differenti, ma si è come ripetuto il miracolo dell’unità di tutte le forze democratiche e antifasciste, come 80 anni fa. E questo è il segno che la strada intrapresa è quella giusta. L’Anpi è un motore di riferimento sulle cose fondamentali. È nata quando si è deciso il cambiamento della storia e continua a vivere oggi per far valere ovunque lo spirito e la forza del giorno della Liberazione.

(foto di Carlo Bordoni)

La democrazia oggi è in crisi. Crisi di consensi e di identità, ma è pur sempre il solo argine agli autocrati di tutte le stagioni e di tutte le latitudini. Ce la farà a “tenere botta” ai pifferai del conflitto ucraino?

Ce la deve fare. Ce la può fare. Abbiamo grandi problemi da affrontare, stiamo misurando la insufficienza della politica e anche dell’Unione europea e dell’Onu nella tragedia ucraina. Assistiamo al prevalere dei temi dell’economia globale rispetto alla solidarietà, all’inclusione. È tempo che siano gli uomini e le donne a scrivere la propria storia.  A Kiev come nel Myanmar, nello Yemen come in Siria. Sono decine e decine le guerre nel mondo e chi in questi giorni terribili ha parlato di “profughi veri” contrapponendoli a presunti “falsi profughi” si deve solo vergognare. Il Novecento ci ha consegnato un monito che deve essere un imperativo categorico: mai più guerre. Mai più uso di armi nucleari.

Dai tanti contributi interni ed esterni che hanno animato il Congresso dell’Anpi emergono la volontà di fermare il conflitto e la tenace ricerca del dialogo.

Sì, ed è un dialogo che riguarda tutti. Noi dobbiamo affrontare queste sfide non con la strategia, peraltro perdente, delle armi e con la vista corta soltanto legata a strategie di potere. Qui bisogna tornare a interpretare il sentimento dei popoli. I quali di fronte alla violenza e alla guerra dicono semplicemente “no”. No, non ne vogliono sapere. E quindi resistono tutti, comprese le donne e i bambini. Resistono a costo di essere arrestatati e uccisi. Un sentimento travolgente percorre l’umanità. Si vedono, come non capitava da anni, le grandi manifestazioni, in tutte le piazze del pianeta, da Berlino a Mosca, da Colonia a Praga, da Madrid a Roma, da Tokio a Londra. L’umanità vuole più accordi, più politica, più democrazia, sfida i poteri autocratici che non vogliono cittadini ma sudditi. C’è un sentimento molto forte contro la guerra, un sentimento che deve diventare politica. Carla Nespolo diceva: “l’umanità al potere”. A noi partigiane e partigiani di tutte le età interessa l’umanità. Che non è una cosa astratta e non è nemmeno “buonismo”. Interessarsi all’umanità vuol dire avere a cuore la dignità delle persone, dare un progetto di vita a tutti, costruire l’uguaglianza delle possibilità. Vuol dire riequilibrare molte cose del mondo. C’è un sentimento diffuso dell’umanità che sta rompendo gli argini. Le persone non ne vogliono più sapere degli schemi consolidati del passato, fondati appunto sulle armi e sulla violenza. C’è molto da fare in questa direzione. Ecco perché l’Anpi con i suoi compagni di strada intende lavorare da subito per una nuova costruzione politica, per una diplomazia civile.

Però l’Europa si sta riarmando. Aumenta la quota di Pil destinata agli armamenti. Succede in Germania, come in Italia.

Che vuol dire assistere a questa iniezione di risorse sugli armamenti? Che negli anni passati abbiamo mancato in politiche di disarmo. Oggi non è sufficiente dire che non ci va bene che aumentino le spese militari. Bisogna che noi sostituiamo queste scelte con altre prospettive. Questo è il grande lavoro da fare con la politica, con la società, con la cultura. L’umanità in questo XXI secolo sente che non c’è più posto per la guerra e per i riarmi ma ci deve essere posto per una grande convivenza pacifica che riequilibri tutte le disuguaglianze. E l’Europa deve essere in primo piano. Il Vecchio Continente in questi decenni ha costruito la sua potenza economica e ha continuato, pur se in maniera non sempre coerente, a difendere lo stato di diritto e il suo welfare. Ha creato uno stato sociale forse unico al mondo e non ha investito in Difesa. Quindi oggi l’Europa avrebbe uno spazio di agire politico molto forte. È rispettata per il suo mercato, per l’euro. Ha bisogno di riportare in equilibrio le ragioni dell’economia e del mercato con quelle della politica. Che vuol dire capacità di negoziazione, di trattati, di valori. È quello che ci ha ricordato fino all’ultimo David Sassoli, che aveva ben chiaro il rapporto tra l’Europa e il mondo. L’Europa ha il compito di fare quello che non ha più fatto dopo la fine dell’Unione sovietica, cioè aprire un dialogo con il mondo dell’est perché trovi la sua via.

Albertina Soliani (foto di Carlo Bordoni)

Negli anni 90 è finito il mondo bipolare ma non è nato un nuovo multilateralismo: è la questione irrisolta su cui misurarsi?

Certamente. L’idea di Gianfranco Pagliarulo di pensare a una Helsinki 2, dopo quella del 1975, cioè una grande riunione dei Paesi dell’Europa e del mondo per ristabilire e far vivere il diritto nei rapporti tra gli Stati, per affermare il principio della risoluzione pacifica delle controversie, la cooperazione internazionale, il rispetto dei diritti dell’uomo nasce proprio da questa analisi sulla instabilità del mondo. Il terzo millennio poi ci pone di fronte a sfide nuove, come quella del cambiamento climatico che mette a rischio la vita stessa del genere umano sulla Terra. Non siamo noi al centro del mondo ma è il mondo che deve essere al centro della nostra vita. L’Anpi, in sostanza, in questo momento è un punto di riferimento, un compagno di viaggio, un interlocutore decisivo sui valori fondamentali che sono quelli che mancano ancora oggi alla politica e senza i quali si apre il varco all’orrore dell’umanità. Perché quello che sta accadendo in Ucraina, quello che sta accadendo in Birmania è proprio l’orrore dell’umanità. Sono popoli giovani che sanno cosa è il diritto, cos’è la libertà. Non hanno vissuto la democrazia, adesso la pretendono e sono decisi a morire per affermarla.

Al centro, a sinistra di Gianfranco Pagliarulo, Albertina Soliani (foto di Carlo Bordoni)

Quello di Riccione è anche il congresso del passaggio di testimone alle nuove generazioni di antifascisti. A far vivere la Resistenza e l’antifascismo nel Paese tocca a loro.

Quando è nata l’Anpi, nel 1944, c’era l’intuizione dei partigiani allora ancora attivi di vigilare perché la democrazia che nasceva fosse coerente con il grande sogno della Liberazione. Poi passano gli anni. I partigiani sono sempre meno ma sempre forti e le loro parole sempre illuminanti e attuali. Nel 2006 l’Anpi apre le iscrizioni a quelli che non erano partigiani o familiari di partigiani. Era la generazione della democrazia. Oggi siamo nel 2022 e c’è un ulteriore salto di qualità: non si tratta più solo di aprire le porte al mondo democratico, alle giovani donne e ai giovani uomini. Quello è stato già fatto. Adesso c’è un impegno per consegnare tutta intera l’eredità democratica che noi abbiamo ricevuto dai partigiani. Trasmetterla questa eredità vuol dire mettere molti nelle condizioni di difenderla nelle sfide del presente. Quindi la memoria di cui l’Anpi è custode in realtà è la forza propulsiva dell’oggi, perché oggi e domani non si perda quello che ci è stato consegnato ma venga sviluppato per tutte le generazioni. Perché ogni generazione ha un bisogno enorme di libertà, di giustizia e di pace. Questa eredità che viene da lontano oggi ha una parola: fraternità. La troviamo nei discorsi di Papa Francesco e, a pensarci bene, è scritta nell’inno dei Lavoratori. Andando ancora più a ritroso la parola fraternità la troviamo sulle labbra della Rivoluzione francese. Come dire che la storia umana ha sempre bisogno di testimoni e i testimoni sono quelli che assumono la responsabilità di far vivere i valori fondamentali dell’umanità nel proprio tempo. Dunque, lunga vita all’Anpi.