Resistenti liguri

«Molti avevano sentito quei nomi per la prima volta, per altri erano personaggi di storie ascoltate dai genitori o dai nonni. Ma in quasi tutti ho visto una passione, una voglia di conoscere, di sapere che cosa ha significato la Resistenza» racconta Massimo Bisca, presidente dell’Anpi Genova e dirigente nazionale dell’associazione.  È “reduce” da una serie di incontri con i giovani di un liceo, per la precisione i ragazzi e le ragazze della 5F del liceo economico sociale “Sandro Pertini” del capoluogo ligure. Aggiunge Bisca: «A riprova del fatto che quello dei giovani disinteressati alle vicende della nostra storia, amorfi e apatici, è spesso e volentieri un luogo comune. I ragazzi e le ragazze hanno bisogno che qualcuno gliela racconti quella storia, la faccia ri-vivere nelle strade delle loro città, mostrando le vicende e i volti di uomini e donne che dopo l’8 settembre 1943 hanno fatto una scelta di campo contro il fascismo? Quel qualcuno è stata l’Anpi». E insieme hanno promosso un percorso di analisi e di costruzione della memoria, che ha valicato le mura della scuola e interessato tutta la città, concretizzandosi in un questionario sul significato della lotta di Liberazione a Genova, città Medaglia d’Oro per la Resistenza.

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Tutto prende le mosse dall’utilizzo (finalmente corretto) della cosiddetta alternanza scuola-lavoro, quei Percorsi per le competenze trasversali per l’orientamento (Pcto) che purtroppo molte volte mascherano forme di sfruttamento che nulla hanno a che fare con la crescita culturale dei ragazzi. Al “Pertini” a occuparsi dei Pcto non sono state le agenzie private, ma il Consiglio di classe: le attività sono state ideate e gestite da insegnanti e studenti. E alla 5F dell’istituto, come spiega il professore di Sociologia e Metodologia della ricerca sociale Gianfranco Roncarolo, “è sembrato naturale pensare a una ricerca che fosse in linea con lo studio delle vicende storiche, sociali, economiche e politiche del Paese dal 1900 a oggi. Questo ha spinto la classe a chiedersi se l’Anpi fosse stata interessata a domandare ai cittadini come percepissero la Resistenza. Massimo Bisca ha immediatamente accolto questa offerta, anche perché la ricerca-sondaggio poteva garantire una notevole fondatezza scientifica”.

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Per quattro giorni Bisca è andato a raccontare ai ragazzi della 5F la Genova del tempo della guerra, spiegando come si fossero sviluppati i sentimenti e l’organizzazione della Resistenza, sia civile sia militare. Una Resistenza, cittadina e ligure, dove questione sociale e lotta armata contro l’occupante nazifascista si sono saldate dando vita a una lotta di popolo che ha fatto sì che la città, con l’insurrezione generale scattata nella notte tra il 23 e 24 aprile 1945, si liberasse da sola, prima dell’arrivo degli Alleati. Un moto insurrezionale  che conobbe il suo epilogo la sera del 25 aprile, quando il comando tedesco firmò l’atto di resa al Clnai.

Un gruppo di partigiane operanti in Liguria

Di questa lotta le donne furono protagoniste. Solo a Genova sono 11 le donne che hanno ricevuto la Medaglia d’Argento al Valor Militare, una quella d’Oro. Delle 504 donne condannate dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato 102 sono genovesi. E Bisca, per cui quello della riscoperta del ruolo delle donne nella Resistenza è sempre stato un “pallino”, ha rievocato per i giovani studenti figure leggendarie di resistenti. Come le donne della brigata “Alice Noli”. La vice comandante della Brigata era Vincenzina Musso, nome di battaglia “Tamara”. Donna eccezionale, Tamara: durante la guerra andava in giro con sua mamma e due nipotine portando esplosivo e materiale vario. Una combattente vera che, per dire, alla riunione dei partigiani della pace che si tenne a Parigi nel 1949 si presentò con una bandiera cucita dalle donne di Sampierdarena e se la fece firmare da Picasso. «Il protagonismo delle donne affonda le sue radici nelle fabbriche, in primo luogo all’Ansaldo – continua Bisca –. D’altronde con la chiamata degli uomini al fronte c’era una impellente necessità di ricorrere alla manodopera femminile per non fermare la produzione funzionale al Reich. Ed è qui, nelle officine, dove toccano con mano le discriminazioni e lo sfruttamento salariale, che molte maturano sentimenti antifascisti».

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Paolo Battifora, Coordinatore scientifico Ilsrec, l’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea “Raimondo Ricci”, scrive: “duro fu il prezzo pagato dalla classe operaia ligure, sospettata, non a torto, di collusione con le forze resistenziali ed esposta alla continua minaccia di arresti, ritorsioni e misure repressive (…). Se è vero che gli uomini e le donne saliti in montagna per unirsi alle formazioni partigiane o attivi nelle Sap cittadine fecero la scelta più rischiosa e difficile, va tenuto altresì presente come la loro lotta sia stata resa possibile da tutti coloro che, senza aver mai imbracciato un’arma, contribuirono attivamente affinché la Resistenza potesse affermarsi e consolidarsi. Stiamo parlando dei tanti uomini e ancor più delle tante donne che, a rischio della loro stessa incolumità e di quella dei loro cari, fornirono un apporto dalle molteplici caratterizzazioni rivelatosi prezioso e indispensabile per il prosieguo della lotta”.

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Queste e altre storie Bisca le ha spiegate ai ragazzi e «molti rimanevano a bocca aperta» a sentirsele raccontare. E alla fine da questi incontri seminariali ha preso forma il questionario. «Assieme agli insegnanti e agli studenti – continua ancora il presidente provinciale dell’Anpi – è stato deciso di dividere la città per quartieri e di creare un campione rappresentativo, stratificato per genere, fasce d’età (dai 18 ai 40; dai 41 ai 65; over 65) e municipi. Sono state intervistate 600 persone, per un livello di confidenza, cioè la percentuale di casi in cui la stima si rivela corretta, dell’85% e un margine d’errore di appena il 3%». L’elaborazione dei dati ha consentito di avere il materiale che successivamente un gruppo di ragazze, assistite dai professori di matematica e statistica, ha espresso graficamente.

La Liberazione di Genova

Il risultato è positivo. Scalda il cuore oltre ogni aspettativa. Alla prima domanda, “cosa è successo il 25 aprile 1945”, l’80% degli intervistati ha risposto correttamente, ovvero “è la giornata della Liberazione”; al secondo quesito, “il movimento partigiano mirava a…” il 77% ha risposto: “a opporsi al nazifascismo” (mentre per il 17% mirava “all’unificazione dell’Italia e per il 6% “al ritorno della monarchia”. Alla domanda: “dove prevalentemente è stata combattuta la lotta partigiana” il 73% ha risposto “al Nord”. Un quesito che ha dato la prova di una buona conoscenza della storia della Resistenza è il quarto: “I partigiani erano in città, in montagna o in entrambe?”. Qui il 48% del campione ha risposto “in entrambe”. E sul perché Genova è Medaglia d’Oro alla Resistenza sono stati il 56% degli interpellati a rispondere: “perché si è liberata senza l’intervento degli Alleati”.

Comizio di Pertini a Milano il 26 aprile 1945 (wikipedia)

Le ultime due domande, che in qualche misura potevano restituire o meno la conoscenza di un’analisi storico-sociale più complessa e articolata – “quanto hanno pesato gli scioperi nella lotta armata?” e “quanto ha influito l’impegno delle donne nella lotta partigiana” – fanno dire a Bisca che “i genovesi la storia la conoscono meglio dei tanti politici di destra che non perdono occasione per gettare fango sulla Resistenza”. Gli scioperi hanno pesato “molto” o “moltissimo” rispondono circa 300 intervistati. E sul ruolo delle donne, i “moltissimo”, “molto” e “abbastanza” assommano complessivamente a circa 520.

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Un lavoro pregevole, quello portato avanti dal liceo “Pertini”, un lavoro che Bisca non intende affatto lasciare senza seguito. “Con gli studenti abbiamo intenzione, alla ripresa dell’anno scolastico, di allargare lo spettro di intervento aumentando il numero del campione”. Certo, fa una certa impressione verificare una conoscenza esatta della Resistenza a Genova con una città che con le ultime elezioni amministrative si è riconsegnata alla destra, azzarda il cronista. E qui Bisca non indugia in diplomatismi di facciata o analisi consolatorie. «L’elettorato è talmente deluso che non è andato a votare. E lo sai perché è deluso? Perché fa fatica a riconoscere la sua rappresentanza. Ragionamenti e programmi appaiono sempre più indefiniti: la terribile formula che senti pronunciare da tanti è che destra e sinistra sono uguali. I risultati del sondaggio farebbero dire che questa è una città consapevole della sua storia, tenacemente antifascista, invece… Il fatto è che molti non sanno più collegare le radici con l’oggi. Forse perché qualcuno, con colpevole leggerezza, quelle radici non solo non le ha innaffiate come avrebbe dovuto, ma ha addirittura provato a reciderle».