24 marzo di quest’anno, 40° anniversario del colpo di Stato in Argentina. Nel 1976 andò al potere una giunta militare che, in breve tempo, distrusse ogni opposizione attraverso una repressione feroce e sanguinaria che causò decine di migliaia di vittima. Quegli anni terribili sono rimasti nella memoria, fra l’altro, per il fenomeno dei desaparecidos, di coloro – cioè – che venivano prelevati di notte da squadre di militari in borghese e fatti scomparire. In grande parte furono assassinati. Come si seppe tempo dopo, molti di questi furono gettati nell’oceano vivi e sotto l’effetto di droghe, spesso dopo aver subito torture, durante i cosiddetti “voli della morte” da parte di aerei militari. Non si contano le atrocità commesse dalla giunta nel corso di quella che è stata chiamata la “Guerra Sporca”, che ebbe – fra l’altro – complici e responsabili in molti membri della loggia massonica P2. La democrazia tornò nel 1983 col governo radicale di Raùl Alfonsin.
Nei giorni scorsi, presso la sede dell’ambasciata argentina a Roma, ci siamo incontrati col ministro Carlos Bernardo Cherniak, incaricato d’Affari dell’ambasciata argentina a Roma. Ci ha parlato del passato e del presente dell’Argentina, della grande questione della difesa della democrazia, della natura della giunta militare e dello scenario nazionale e internazionale in cui maturò il colpo di Stato, delle oscure trame della P2 (“la cosa più preoccupante è che a tutt’oggi uomini della P2 operano a tutela e protezione degli incriminati per i delitti della dittatura”), concludendo con significative affermazioni sul ruolo attuale dell’ANPI e sulla questione dei diritti umani.
Il 24 marzo scorso: 40 anni dal colpo di stato del 1976, che diede avvio alla stagione più oscura della pur travagliata storia dell’Argentina
Sì, è stata una dittatura molto diversa dagli altri governi militari che ha subìto il mio Paese, innanzitutto per il livello di crudeltà e per la metodologia usata nel fermare qualsiasi possibilità di resistenza, ed ha avuto un effetto tragico sull’intera società argentina. Dobbiamo comunque considerare questa esperienza nel suo contesto: c’era tutta una regione, uno scacchiere sotto dittatura. Tanti altri Paesi, nello stesso periodo di tempo, nello stesso scenario storico e geografico, hanno sofferto un’esperienza simile; certo, ciascuna dittatura ha avuto le sue specificità, ma molte vicende erano coordinate. È perciò difficile ripensare alla tragica vicenda dell’Argentina di quegli anni come a un fenomeno esclusivamente nazionale: quando uno vede l’Uruguay, il Paraguay, il Brasile, il Cile, la Bolivia, l’Argentina, tutti sotto dittatura militare, è evidente che c’è qualcosa che sta avvenendo a carattere internazionale.
Torniamo all’Argentina: i militari erano in prima fila nel fare il “lavoro sporco”, ma dietro le quinte c’erano quelli che portavano avanti uno specifico progetto economico, di natura neoliberista, molto lontano dall’economia reale dell’Argentina e dall’idea di un suo sviluppo industriale. In un Paese così sensibile alle questioni sociali, con una gioventù così attenta, gli ispiratori del golpe hanno capito che bisognava impedire a tutti i costi qualsiasi resistenza.
Dentro la tragedia generale della dittatura sanguinosa, si nascondono specifiche tragedie; basti pensare ad una madre il cui figlio è scomparso, desaparecido. Non si sa dov’è. Non si sa se è vivo o morto. E, se morto, non si sa dove portare un fiore. Ecco, questa specificità ha rappresentato un trauma per l’intera società argentina. Il numero simbolico di 30mila desaparecidos dà l’idea di questa tragedia. Poi, com’è noto, ve ne sono state altre: i figli rapiti alle partorienti sequestrate e poi assassinate, e dati in “adozione” ai familiari dei carnefici. Vorrei sottolineare – e qui esprimo un’opinione del tutto personale – che quella generazione sterminata dai militari era animata da un sentimento diffuso di democrazia, uguaglianza, libertà, giustizia sociale. Ma fra di loro c’erano diverse opinioni sul metodo tramite cui conquistare questo cambiamento. Alcuni pensavano che l’unico modo fosse la violenza, cosa che io non condivido. Ma tutti erano uniti nella volontà di un cambiamento profondo di tipo democratico della società argentina.
Il golpe fu farina del sacco dei militari e dei loro ispiratori economici e finanziari o fu sostenuto e incoraggiato da altri Paesi non latinoamericani?
È molto difficile pensare che in un continente come quello americano un Paese possa conquistare con successo la democrazia senza l’appoggio degli Stati o dello Stato più potente. Né è possibile pensare che un colpo di Stato possa riuscire senza il consenso dei Paesi più potenti. Va aggiunto, però, che i Paesi non sono un attore razionale e unificato. Ci sono strutture e poteri dentro ogni Paese. Il punto è: chi comanda la politica. Se chi la comanda non ha un impegno democratico ma ha la capacità di fare lobbing per portare la sua politica nella nostra regione, l’esito può essere quello che è accaduto. Se si fa una critica agli Stati Uniti, va detto però che molti americani sono stati attenti alla politica dei diritti umani. Non parlo solo di Carter, ma anche di tanti altri. Ci sono state persone e organizzazioni della società nordamericana che si sono dimostrate solidali e preoccupate per tutto quello che era avvenuto. Però il problema era chi comandava la logica politica in quegli anni. Allo stesso tempo dobbiamo capire che tutta la regione era in preda ad una specie di coordinamento, una sorta di Mercosur (ndr: è il mercato comune dei Paesi dell’America Latina) del terrore; parlo dell’operazione Condor, che è stato un progetto di coordinamento dell’apparato repressivo in tutta la regione: se qualcuno ricercato in Argentina si trovava in Brasile, le autorità brasiliane lo consegnavano a quelle argentine. C’era una sorta di coincidenza ideologica e metodologica delle dittature della regione. D’altra parte è difficile spiegare la storia dell’Argentina senza considerare il potere finanziario internazionale. Negli anni della dittatura l’indebitamento è stato pazzesco, a fronte di straordinari profitti delle banche. L’indebitamento andò a vantaggio del potere finanziario internazionale, cosa che poté avvenire in mancanza di una resistenza sociale e in un contesto di repressione violentissima. Il Presidente Obama, nel corso della sua recente visita, ha lanciato qualche messaggio di autocritica. Alcuni, a dire il vero, si attendevano qualcosa in più. Personalmente credo che vada visto in questo caso il bicchiere mezzo pieno, perché è un modo di essere ottimisti rispetto al futuro.
Qual era la situazione economica e sociale dell’Argentina ai tempi di quel 24 marzo?
È impossibile che la democrazia si spenga da sola in ventiquattro ore. La realtà è che essa si può perdere progressivamente. Non può essere che uno si svegli un giorno e si trovi al 24 marzo 1976. Fuor di metafora, il governo di Isabelita Peron da tempo – prima del colpo di Stato – si era dotato di una struttura paramilitare, grazie in particolare al ministro Lopez Rega, che aveva dato vita ad una struttura repressiva clandestina che operava contro le opposizioni in una situazione di crisi economica ed istituzionale. In quello specifico momento i militari cercarono di dare l’impressione al ceto medio e alto che fosse necessaria una svolta per garantire tranquillità e sicurezza. Il messaggio, in sostanza, è che occorre essere sempre in allerta per difendere la democrazia, evitando che essa si svuoti piano piano ogni giorno.
Si può paragonare la Giunta ad un regime fascista? Con quali somiglianze e quali limiti?
A me non piace molto questa comparazione, perché il fascismo si riconosce come un fenomeno storico determinato, nato in Italia, con caratteristiche molto particolari, fra cui per esempio la leadership del momento, il mito del duce; Mussolini aveva costruito una specifica organizzazione, il PNF, per cui quando si parla di fascismo ci si riferisce a quello. Però è vero che dal punto di vista politico, per poter indicare un grave degrado di destra contro la democrazia, si parla di fascismo. La dittatura argentina aveva un chiaro senso militare, molto “integralista” nel senso della religione, della visione non solo anticomunista ma contro qualsiasi sinistra e qualsiasi protesta rispetto all’ordine dei militari, ed esprimeva un progetto economico neoliberista sostenuto dalla repressione più spietata in un contesto di terrore. Definirlo storicamente come fascismo tout court è difficile, seppure è vero che i metodi si possono definire fascisti. I gruppi armati in borghese che giravano di notte sequestrando persone e facendo cose orribili esprimevano di fatto un sentimento o un’ideologia fascista.
Varie personalità dei golpisti, come l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera – non dimentichiamo che l’ESMA, centro di tortura e di assassinii, era la Scuola di meccanica della Marina – o il generale Guillermo Suarez Mason, soprannominato “el carnicero de l’Olimpo”, erano della P2. Secondo lei la loggia P2 svolse un ruolo nella promozione e organizzazione del colpo di stato e, successivamente, continuò a operare a sostegno della Giunta?
Assolutamente sì. Tutto quello che è emerso dopo, la ricerca della Commissione Anselmi, una successiva ricerca molto interessante che si chiama “Affari nostri”, altre pubblicazioni, spiegano incontrovertibilmente il rapporto buio che c’è stato fra Italia e Argentina in quegli anni, dove la P2 è stata fondamentale. La P2 è stata coinvolta nella pianificazione del colpo di Stato e ha avuto una grande influenza l’intermediazione fra alcuni potenti italiani e quella dittatura. Basti pensare che il capo formale della P2, Licio Gelli, aveva durante la dittatura un posto all’ambasciata argentina in Italia e un passaporto diplomatico argentino – uno dei tanti – che era stato materialmente fabbricato dai prigionieri nel campo clandestino di concentramento della ESMA. Lo abbiamo scoperto perché un detenuto sopravvissuto ha portato delle prove – alcune fotografie – in merito alla produzione di questi passaporti. Gelli era di cittadinanza italiana, di conseguenza il possesso da parte sua di un passaporto diplomatico argentino era assolutamente illegale. A tutt’oggi uomini della P2 operano a tutela e protezione degli incriminati per i delitti della dittatura. Ciò che mi preoccupa molto non è solo il collegamento della P2 con la dittatura, ma anche quegli uomini della P2, che ancora oggi hanno una rete di amicizie e di cooperazione, che collaborano con quelli che ancora sono sotto accusa, sotto processo in Argentina per quella repressione. In Italia, voglio dire. Questa rete è accogliente, cooperativa con quelli che sono stati coinvolti in quelle azioni, e questo si vede chiaramente, per esempio, in chi sono gli avvocati più importanti, coinvolti nella difesa di coloro che abitano in Italia per i quali è richiesta l’estradizione dalla giustizia argentina. Vi sono alcuni personaggi accusati di reati di lesa umanità che abitano in Italia sotto richiesta di estradizione da parte della giustizia argentina.
La democrazia argentina è giovane. Oggi in Argentina il processo di democratizzazione è da ritenere storicamente irreversibile o vi sono ancora i rischi di un potenziale pronunciamento militare?
Secondo me c’è una nuova consapevolezza nella società argentina. Davanti alla terribile crisi economica del 2001, in altri tempi sarebbe avvenuto sicuramente un colpo di Stato. Non è avvenuto. La politica si è fatta carico della crisi, gestendola. È anche vero che non c’è oggi, a causa di ragioni internazionali, molto spazio in America Latina per immaginare un colpo di Stato classico. Alcuni accademici parlano di colpi mediatici, colpi giudiziari, colpi di mercato, ma non parlano di colpo di Stato tradizionale. Dopo le tragedie che hanno vissuto i popoli latinoamericani mi pare che non ci sia spazio. Però è vero, come ho già detto, che la democrazia non va mai data per scontata. È una lotta continua per difendere i diritti che si è riusciti a conquistare. In sostanza una società democratica deve sempre impegnata a difendere se stessa. Certo, non si può dare per scontato che la democrazia sarà sempre viva e sana e mai sotto rischio, ma questo vale non solo per l’Argentina, ma per tutto il mondo. Per questo la democrazia va curata, protetta e difesa. Il punto è creare una coscienza sociale che costruisca gli anticorpi che si oppongano a qualsiasi avventura.
Nel documento preparatorio del 16° congresso nazionale dell’ANPI, si parla di contribuire al risveglio, rilancio e sviluppo di un vasto movimento popolare, impegnato sui temi della solidarietà, della pace, dei diritti umani, un tema su cui lei è molto sensibile.
L’ANPI è uno dei pilastri fondamentali nella costruzione della Repubblica italiana. Questo va sottolineato. Non si può immaginare la Repubblica senza l’ANPI, senza i partigiani. In quegli anni in Italia la questione era resistere e difendere la società dall’occupazione nazista. Il problema allora era la sopravvivenza. Con la costruzione della Repubblica sorgono altri temi nell’agenda dei diritti umani; l’acqua, l’ambiente, la violenza di genere, il rispetto delle minoranze. Tutto ciò oggi attiene alla attuale agenda dei diritti umani, e mi permetto di aggiungere che la questione dei rifugiati, il tema triste e sconvolgente del Mediterraneo che sta diventando un cimitero, fanno parte della problematica dei diritti umani. Se l’ANPI, grazie alla ricchezza della sua storia, riuscirà a trasmettere questa coscienza, darà un grande contributo alle nuove generazioni italiane.
Pubblicato venerdì 22 Aprile 2016
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