Carlo Smuraglia e Andrea Liparoto in un momento dell’intervista

In occasione della consegna del premio Paraloup-Nuto Revelli 2018, avvenuta a Cuneo il 5 ottobre scorso per mano di Marco Revelli con la presentazione del giornalista Corrado Stajano, abbiamo intervistato il Presidente emerito dell’Anpi Carlo Smuraglia. Una conversazione a tutto campo, tra passato e futuro, antipolitica e politica, disumanità e umanità.

 È probabilmente ignoto ai più che Carlo Smuraglia sia una persona timida. Come hai accolto, quindi, la notizia dell’assegnazione del premio? La motivazione, a un certo punto, recita “Smuraglia è un testimone esemplare della migliore storia del nostro Paese”.

La notizia mi è giunta molto gradita, anche perché assolutamente inaspettata.

La timidezza è venuta fuori durante la consegna del premio e l’ho detto nel mio intervento, dopo la presentazione di Corrado Stajano: di solito parlo a braccio ma ero sicuro di emozionarmi quindi ho scritto il mio discorso e ve lo leggo.

Un premio importante.

Sì, viene da un’associazione prestigiosa che si richiama a Nuto Revelli, scrittore, politico, storico, che ho sempre apprezzato. Ho letto, a suo tempo, tutti i suoi libri, sia quelli che riguardavano la guerra in Russia e quella partigiana sia quelli sul mondo contadino che sono bellissimi, sul ruolo delle donne nelle campagne, sulla storia di un prete libero e così via. E quindi ognuna di queste cose aggiungeva un tassello all’emozione di ricevere il premio e una targa che in due parole dice “Smuraglia non si arrende mai”, immagina…

Parliamo della tua attività di Presidente emerito. Decisamente atipica, non hai interrotto né attenuato i tuoi precedenti ritmi Anpi. Viaggi molto e non solo per le presentazioni del tuo libro “Con la Costituzione nel cuore”, ma anche per iniziative dove vieni invitato come oratore ufficiale.

Con la cessazione del mio ruolo di Presidente nazionale è venuta meno la quotidianità, le continue incombenze. Ma nelle occasioni in cui vengo invitato mi accorgo che la mia presenza ha un significato forte: un uomo di 95 anni che continua ad andare in giro infonde fiducia anche quando spiego la situazione così com’è in Italia e nel mondo. Questo incoraggia, e credo sia utile anche per me che non sono assolutamente capace di stare senza far niente, tant’è che mi sono messo, tra le altre cose, nell’avventura di presiedere una tavola rotonda universitaria a Venezia sul tema delicatissimo del lavoro e delle multinazionali. Mi stimola l’idea di tornare al mio vecchio mondo. Così è accaduto per la lectio magistralis che ho tenuto alla Cgil, a Roma, sempre sul tema del lavoro nella Costituzione: non ho fatto una relazione puramente descrittiva, considerando la doverosa conoscenza dell’argomento da parte di quel pubblico, ma ho posto una serie di interrogativi: come incidono sulla Carta i fatti nuovi, come regge alla globalizzazione. Noto un significativo interesse.

Che impressione trai dalle esperienze che stai facendo nelle scuole? Come è lo stato di questo laboratorio, per antonomasia, di attività e attivismo conoscitivi?

Non buono. Se c’è un professore che ha voglia di stimolare, si supplisce alla routine e i giovani mostrano grandissimo interesse. C’è una base che aspetta di essere captata, non credo alla storia degli “sdraiati” senza speranza, spesso non siamo capaci di metterli in movimento. Perché alcuni giovani ascoltano più la sirena fascista che quella della Resistenza?

Perché?

Dobbiamo rendere la Resistenza più seduttiva, non è stata solo un fatto di guerra, come si è raccontato, spesso, nel passato, bensì un momento di forte maturazione delle coscienze e delle sensibilità. La Resistenza, faccio il mio esempio, ha trasformato un ragazzo di 20 anni in uno che potendo tornare a casa si è invece arruolato con gli alleati.

Parliamo dell’Italia di questi giorni. Tu hai vissuto tempi dove la responsabilità politica era un valore, fondamentale e condiviso. Oggi abbiamo un governo che gioca quotidianamente col fuoco della tenuta civile e sociale del Paese, del mantenimento delle sue tradizioni portanti: accoglienza, dialogo, rispetto dei diritti umani. Come si è arrivati a questo punto?

Una parte della politica, soprattutto a sinistra, ha in qualche modo interrotto il rapporto con le masse, con i bisogni veri della gente. Ci si è diffusi in elucubrazioni e problemi insensati. Il risultato è che si è lasciato un terreno enorme, disponibile per chi vuole grattare la pancia delle persone, per i professionisti della propaganda.

Ma quando ha avuto inizio questo processo di perdita di connessione col popolo?

In tempi lontani. Lo colloco nel momento in cui Berlinguer sollevò la questione morale e non pochi all’interno dell’allora Pci gli risero addosso. Non è questo il problema, dissero, è Craxi che ha la visione del futuro ecc. È il primo momento di rottura vera, in realtà. Berlinguer aveva afferrato un quadro che è poi diventato devastante. Quando ero in Senato ho avuto l’impressione che lavorassimo su temi attualissimi – ero Presidente della Commissione lavoro – la sicurezza del lavoro, le molestie, i precari, ma senza trovare una corrispondenza vera con la realtà. Facemmo una piccola proposta di legge per tutelare i lavori atipici ma fu affogata alla Camera col consenso di tutti: e allora come meravigliarci, se anni dopo si affrontano queste questioni in maniera propagandistica? L’attenzione alla questione della sicurezza sul lavoro è un tema costitutivo della sinistra. Eppure perdeva colore e spessore rispetto a questioni più interne che vedo anche adesso. Non c’è una presenza fattiva della sinistra, dell’opposizione. L’alternativa vera è incidere nella sostanza delle cose.

Dobbiamo considerare la sinistra condannata definitivamente, oltreché alla disunità, alla confusione e alla cecità?

Quando si capisce che bisogna unirsi, realizzare l’unità delle forze democratiche, si pensa alle manifestazioni, però bisogna ricordarsi che le manifestazioni riscaldano, fanno bene ma non è sufficiente questa risposta agli istinti che vengono sollecitati tutti i giorni. Bisogna avviare un cammino di attuazione piena della Costituzione. La Costituzione è una miniera: ci dice che dobbiamo procurare e organizzare lavoro, non uno qualsiasi, ma degno e dignitoso; che dobbiamo garantire uguaglianza sostanziale e rimuovere i tanti ostacoli che non la fanno realizzare. Ci dà indicazioni che purtroppo nessuno raccoglie, o solo in parte. Bisogna costruire partecipazione, come ci fu il 4 dicembre 2016 con tanti che sono andati alle urne per il NO alla riforma costituzionale. L’importanza di quella partecipazione non è stata colta, oppure si è stati restii a coglierla. Sulla partecipazione bisogna far leva. Bisogna far capire che nulla è perduto. La sinistra ha un’occasione importante: le elezioni europee. E’ fondamentale comunicare a tutti i cittadini che questo appuntamento è decisivo. Perché se riempiamo il Parlamento europeo di gente contraria all’Europa unita e sociale il problema diventa davvero serio. Bisogna creare una coalizione di onesti e democratici, non solo del mercato e della concorrenza.

In giro però si sta muovendo qualcosa. Le magliette rosse, per esempio. Lì dentro, oltre ai “soliti”, c’erano anche persone distanti dalla militanza politica e sociale, che sono scese in piazza perché indignate rispetto all’andazzo disumano. Certo, le forze politiche di sinistra non sembrano all’altezza di cogliere e coltivare sapientemente questo movimento, ma mi pare comunque un buon elemento di speranza.

Sì, ma è fondamentale preoccuparsi dei disperati e degli sconfortati, di quelli che pensano che ormai non ci siano soluzioni. Questa è forse la massa più importante. Occorre conquistarla, farle capire che una prospettiva c’è sempre. Bisogna creare una linea di resistenza a delle “novità” che non hanno senso, tipo certi progetti, che vengono avanzati, per i quali non c’è finanziamento. Vogliono abolire il cosiddetto privilegio dei vitalizi: bisogna chiarire che non è certo su quella strada che risolviamo i problemi del Paese. Sento che comincia a balenare l’idea di una riforma costituzionale che diminuisca il numero dei parlamentari: se questo va sempre nella direzione di un’antipolitica non va bene. Al Paese serve chiedersi operativamente perché un’alluvione distrugge una città, perché crollano i ponti, perché mandiamo in malora i beni culturali e, specialmente, perché non impieghiamo a mettere in sicurezza il territorio quelle persone, quei disoccupati, quei precari, a cui adesso si vorrebbe dare un reddito qualsiasi.

Il messaggio compulsivo e pesantemente populista di Salvini non aiuta.

Ti dico una cosa: è terrificante che molti grandi giornali abbiano dato pochissimo spazio alla Marcia Perugia-Assisi. Questo ci impone il dovere di sostituirci anche a una comunicazione che non c’è. Altrimenti finisce per prevalere chi grida di più, chi si sveglia al mattino e fa il tweet cui noi opponiamo solo una manifestazione, seppure importante, intendiamoci. Dobbiamo opporre quotidianità. E credo che l’Anpi, in questo, possa giocare un ruolo forte. Sento dire in giro, anche da alcuni nostri iscritti: dove si va a finire? L’Anpi non dovrebbe chiedersi mai dove si va a finire, ma dire “lo so dove si va finire se si continua così, però reagisco”. Se avessimo detto nella Resistenza di non sapere dove saremmo andati a  finire avendo contro un esercito formidabile, non l’avremmo fatta. Occorre tornare al colloquio con la gente, a spiegare. A quelli che gridano ogni giorno cose selvagge, predicando odio sostanzialmente, dovremmo opporre ancora una volta la Costituzione, il suo secondo articolo, in particolare, solidarietà umana, politica e sociale. Dobbiamo tornare all’antico contatto con le persone: ai tempi antichi si distribuiva l’Unità casa per casa, anche chiesa per chiesa. Bisogna spiegare, spiegare e spiegare per creare una reazione diffusa. So che non è semplice ma è l’unica strada.

Chiudiamo con i neofascismi e i neonazismi. A che punto è il contrasto a questi fenomeni?

Forza Nuova e altri stanno un po’ più zitti del passato perché pensano di essere coperti da questa nuova situazione politica e governativa. Nel passato, nonostante tutto, c’erano state delle prese di posizione, per esempio del Ministro Minniti rispetto alla “Marcia su Roma”, e altri fatti che davano l’impressione di una strada istituzionale più attenta al tema. Oggi questo è scomparso e sento dire da diverse parti che non vale la pena occuparsene. Attenzione, i neofascisti sono entrati nei Consigli comunali, e continuano ad operare come e forse più di prima. La condanna a 12 anni di carcere comminata a quel tipo di Macerata è passata come una normale notizia di cronaca, come un reato comune. Era il momento invece di ripensare a fondo tutti insieme a come sia possibile che uno esca da casa e spari così, non proprio nel mucchio, ma in una direzione precisa. Si tende a dire che il fascismo sia una cosa superata, un problema che non c’è. Ha di nuovo ragione quello storico che diceva “attenzione ai sintomi”. I sintomi di un futuro pericoloso ci sono: c’è una crisi che non conosce fine, c’è una crescita delle disuguaglianze sociali, c’è una marcia che continua inalterata verso la povertà anche di ceti che non la conoscevano e ci sono diffusi sentimenti di odio e di istinto di rigetto nei confronti dei migranti. Non è vero che è finito un tipo di fascismo e ne è cominciato un altro. No, ci sono tutti e due. Dobbiamo essere molto attenti sia a quelli convinti che si possa bastonare un gruppo di avversari per ottenere risultati sia a quelli che si “meravigliano” di essere chiamati fascisti ma in pratica si comportano come tali. Stiamo all’erta, perché la democrazia ha sempre bisogno di essere tutelata.