
In un tempo attraversato da nuove guerre e da un inquietante oblio della memoria storica, l’arte può ancora farsi argine. Non solo bellezza, ma impegno. Non solo forma, ma coscienza. È su questo crinale che si muove l’ultima iniziativa di Francesco Oppi e del Guado, che nell’ambito della rassegna “L’Arte è il nostro spettacolo” hanno donato all’Anpi una serie di dieci oligrafie d’arte intitolate “Pax” firmate dal grande e quotato pittore Stefano Pizzi. Un gesto che è prima di tutto un atto politico, nel senso più alto del termine: riaffermare attraverso l’arte i valori della Resistenza, della libertà e della pace. Nel nome dell’Anpi c’è il lascito di donne e uomini che hanno combattuto, a rischio della vita, contro il fascismo. E nel titolo delle opere, “Pax”, c’è una speranza fragile ma necessaria: che quella lotta non venga dimenticata, né tradita. L’arte, in questo senso, diventa mezzo di trasmissione viva. Non illustrazione della storia, ma suo prolungamento nel presente.

Francesco Oppi, partiamo dal suo percorso, nato qui al Guado, un luogo che ha una storia intensa e legata all’arte e all’impegno sociale.
Il mio percorso parte nel 1970, anno in cui sono nato proprio al Guado. Sono cresciuto all’interno della comune che mio padre, Daniele Oppi, insieme a mia madre Franca Stangherlini e ad altri giovani, ha contribuito a fondare. Era una realtà vibrante, una comunità di circa 37 persone che condividevano un progetto artistico, culturale e sociale molto ambizioso. Negli anni ’90 ho lavorato con diversi artisti, molti dei quali erano legati a mio padre e alla cooperativa “Raccolto”, di cui sono stato presidente tredici anni. Poi, il momento di svolta è arrivato con il Covid: quel periodo di isolamento, mentre ero “chiuso” nella cascina e lontano dai miei soliti impegni pubblici, mi ha dato modo di fare un bilancio profondo su me stesso, sulla storia del Guado e sul mio cammino artistico. È da lì che è nata l’idea delle Officine Creative del Guado, un progetto che vuole far rivivere questo patrimonio storico e culturale, mettendo l’arte al centro come mezzo per sviluppare servizi culturali e sociali, in dialogo con le comunità.

In questo contesto si inserisce la donazione delle opere “Pax” all’Anpi. Quanto è centrale questa iniziativa nel vostro lavoro e cosa rappresentano queste serigrafie?
Le opere “Pax” sono davvero un punto fondamentale. Sono serigrafie – o meglio, litoserigrafie – che portano un messaggio universale e urgente: la pace. Questo titolo racchiude un valore simbolico fortissimo, soprattutto oggi, in un momento storico in cui la pace sembra spesso un’utopia. La donazione all’Anpi è un gesto che vuole collegare due mondi che per noi sono inseparabili: quello della memoria, della Resistenza, e quello dell’arte come strumento di impegno civile e sociale. Offrire queste opere all’Anpi significa mantenere viva una tradizione di lotta per la libertà e la dignità umana, e al tempo stesso guardare avanti, coinvolgendo soprattutto le nuove generazioni. L’arte può parlare al cuore delle persone, può essere un veicolo potente per la trasmissione di valori e per la costruzione di una coscienza civica attiva.
L’Anpi e la Resistenza rappresentano un filo conduttore importante nel suo lavoro. Come si lega tutto questo al progetto delle Officine Creative?
L’Anpi non è solo un’associazione di ricordo storico: è soprattutto un organismo vivo che incarna valori di libertà, solidarietà e partecipazione. Quando ho ricevuto la tessera onoraria nel 2023, è stato un riconoscimento di questo legame profondo tra impegno sociale e cultura, che da sempre guida le nostre attività. Le Officine Creative del Guado nascono proprio per portare avanti questa missione: far sì che l’arte diventi un mezzo per creare comunità più consapevoli, attive e critiche.
Qual è il messaggio che desiderate trasmettere alle nuove generazioni con la donazione delle “Pax”?
Viviamo in un’epoca in cui la coscienza individuale deve prendere il posto dell’intruppamento collettivo. Non abbiamo più bisogno di pecore che seguono il gregge, ma di persone responsabili, capaci di pensare con la propria testa e di agire in modo originale e consapevole. Le dieci opere “Pax” sono un invito a questa riflessione, un messaggio che vuole stimolare la responsabilità personale e collettiva. L’arte non deve essere vista e fruita unicamente come prodotto, ma un mezzo per far emergere la nostra umanità più profonda e per difendere valori fondamentali come la pace, la libertà e la giustizia. L’opera che rappresenta un pugno chiuso, è un simbolo di forza, di resistenza, di determinazione pacifica. È un’immagine che interroga. Non facciamo beneficenza estetica. Vogliamo che l’arte continui a parlare ai cittadini. Il mercato dell’arte è una realtà attigua al mondo dell’Arte, se ne nutre, ma non è sovrapponibile ad esso. Noi vogliamo che le persone tornino ad avere un rapporto diretto, anche critico, con l’opera d’arte. Per questo la donazione è un gesto politico oltre che simbolico.

Poi c’è il rapporto con Gianfranco Pagliarulo, presidente dell’Anpi. Ce ne parla?
Pagliarulo è stato un riferimento fondamentale fin dagli Anni 70. Mio padre aveva già una carriera importante nella pubblicità, ma dedicò gran parte della sua vita al Guado e al lavoro sociale, insieme alla Comune. Pagliarulo era giovane, ma già molto impegnato, e questa collaborazione ha gettato le basi di un legame che ancora oggi sento forte. Quando Pagliarulo ha partecipato alla commemorazione di mio padre alla Società Umanitaria è stato un momento molto significativo, perché ha rappresentato la continuità di un impegno comune verso l’arte, la cultura e la politica.
Nel panorama artistico contemporaneo, lei critica fortemente la spettacolarizzazione e la mercificazione dell’arte. Come si contrappone il vostro progetto a queste tendenze?
Il mondo dell’arte è spesso fagocitato dal mercato e da una spettacolarizzazione che svuota di significato il lavoro adegli artisti. Le cosiddette “esperienze immersive” o alcuni monumenti inseriti in città non sono funzionali ed efficaci né esteticamente né culturalmente: sono più che altro forme di intrattenimento che allontanano la consapevolezza di una ricerca personale del rapporto con l’arte stessa. L’arte deve stimolare il pensiero critico, che mette in discussione le convenzioni e le convinzioni da gregge. Noi vogliamo un’arte radicata nella comunità, che non si limiti alla produzione di oggetti, seppur “belli”, da vendere o mostrare, ma che diventi elemento e contributo al miglioramento culturale e sociale. Le Officine Creative del Guado lavorano proprio in questo modo: realizzano progetti che coinvolgono le persone, non necessariamente in spazi deputati. Il frutto del lavoro di un artista è enzima sociale che può far vedere cose che gli altri altrimenti non vedrebbero, è uno strumento straordinario per trovare soluzioni e nuovi modi di intendere la realtà.
Qual è oggi il ruolo dell’arte nel costruire una coscienza civile attiva?
L’arte può essere una forma di libertà di pensiero e per essere tale non dovrebbe essere sottoposta alle logiche dei mercati. L’artista, come dicevo, è colui che ha la capacità di vedere realtà che gli altri non vedono, di indicare possibili vie d’uscita, soluzioni a problemi che altrimenti resterebbero invisibili. Questo ruolo è spesso sottovalutato, ma quando l’arte viene valorizzata in questo modo può davvero portare risultati importanti nelle comunità. L’arte è quindi una forma di impegno e di responsabilità, un mezzo per tenere vivo un dibattito culturale e sociale che è indispensabile per una società sana e democratica.
Che ruolo può avere l’arte nel mondo attuale, tra guerre e crisi sociali?
Un ruolo centrale. Soprattutto se torna a essere considerata adeguatamente e nelle giuste forme. Gaza, per esempio, è da trent’anni un lager a cielo aperto. E oggi siamo davanti a un genocidio, e nessuno ferma Israele. Si staccano corrente, acqua, cibo. Se i palestinesi spariscono, a molti sta bene. Non possiamo girarci dall’altra parte. È una tragedia umanitaria permanente, fatta di morte, sofferenza e torture quotidiane. È inaccettabile restare indifferenti davanti a donne e bambini massacrati tutti i giorni. Il mondo è pieno di nuovi poteri arroganti senza controllo, schegge impazzite con manie di grandezza, di rinnovate velleità coloniali. Anche per questo l’arte deve essere coscienza, non complicità o silenzio. Deve aiutare a vedere, a non cedere alle mille propagande.
E gli artisti? Che responsabilità hanno oggi?
Grandissima, se la sentono. E per essere all’altezza, non bisogna mai smettere di studiare, di essere curiosi, di pensare e, soprattutto, di vivere appieno il mondo. Non basta appendere i propri quadri alle pareti o rincorrere la carriera come fosse una competizione. Serve contenuto. Serve rigore e innovazione. L’arte può ancora essere una leva di cambiamento, ma solo se torna ad abitare la realtà, a parlare alle persone, a generare pensiero. Perché senza pensiero non c’è libertà, e senza libertà non c’è arte. Ci sono troppi “eventifici”, troppa arte-spettacolo, troppa bulimia di immagini senza spessore. L’arte, quella vera, è un atto radicale. E può ancora cambiare la realtà. Ma serve costanza, a volte solitudine, serve il coraggio della visione.
Linda Di Benedetto
Vi proponiamo infine due video, il primo con il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, che al pianoforte interpreta Bella Ciao e il secondo con il racconto di come sono nate le opere donate all’associazione dei partigiani. Buona visione e buon ascolto!
Ed ecco il secondo video. Buona visione
Pubblicato mercoledì 30 Luglio 2025
Stampato il 31/07/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/larte-e-un-enzima-sociale-non-un-semplice-spettacolo-parla-lartista-francesco-oppi/