Stefano (da http://static.fanpage.it/socialmediafanpage/wp-content/uploads/2012/12/stefano-cucchi-2012.jpg)
Stefano (da http://static.fanpage.it/socialmediafanpage/wp-content/uploads/2012/12/stefano-cucchi-2012.jpg)

Ilaria Cucchi, la sorella del geometra morto una settimana dopo l’arresto in un reparto ospedaliero protetto dell’ospedale Pertini di Roma, racconta a Patria le nuove aspettative di giustizia dopo la requisitoria del Procurare generale nel giudizio di appello stabilito dalla Corte di Cassazione (annullando l’assoluzione di cinque medici) e dei nuovi timori sul futuro dell’inchiesta bis della Procura capitolina dove sono indagati cinque carabinieri (tre per lesioni aggravate e abuso d’autorità e due per falsa testimonianza).

 

«Per la prima volta dopo sette anni, la verità è finalmente entrata anche in un’aula di giustizia. Ho provato una forte emozione nell’ascoltare la requisitoria del procuratore generale Eugenio Rubolino. Non siamo più soli a raccontare la verità. Fino alla sentenza della Cassazione a essere giudicato è stato mio fratello e non gli eventuali responsabili della sua morte: in primo grado, uno dei pubblici ministeri descrisse Stefano come un cafone maleducato; per altri era uno zombie, un drogato che se l’era cercata. Questa volta, invece, ho respirato un’aria nuova; ho sentito parlare di Stefano come di una persona meritevole, al pari di chiunque altro, di rispetto e dignità e soprattutto di quanto gli è stato fatto e delle conseguenze. La nostra lunga battaglia non è stata vana».

giustizia_per_stefano_cucchiPer questo la scelta di postare su Facebook le parole pronunciate dal Procuratore? “Stefano è stato vittima di tortura come Giulio Regeni”; “Stefano è stato ucciso dai servitori dello Stato”; “Si tratta di stabilire solo il colore delle divise”, ha detto il Procuratore Rubolino. Stefano Cucchi come Giulio Regeni, il ricercatore ucciso in Egitto?

«Quei volti parlano, mi auguro fortemente che la famiglia Regeni non sia mai costretta a mostrare le foto di Giulio, ma temo che prima o poi quel momento arriverà. Le foto di quei volti raccontano la violenza, la tortura che li ha scempiati. Quando ho saputo che la madre di Regeni aveva riconosciuto il figlio dalla punta del naso sono tornata indietro di sette anni, al 22 ottobre 2009. Dietro una teca a guardare il cadavere di Stefano sul tavolo di un obitorio, devastato, irriconoscibile. Non somigliava affatto al fratello che avevo salutato appena sei giorni prima, stava bene, era andato in palestra, mi aveva abbracciato, ci saremmo visti il giorno dopo». 

L’avvocato Fabio Anselmo (da http://lanuovaferrara.gelocal.it/polopoly_fs/1.9638369.1406020572!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/detail_558/image.jpg)
L’avvocato Fabio Anselmo (da http://lanuovaferrara.gelocal.it/polopoly_fs/1.9638369.1406020572!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/detail_558/image.jpg)

Voi avete dovuto pubblicare le foto di Stefano…

«Ho fissato a lungo il viso straziato, chiedendomi quale essere umano può fare una cosa del genere a un proprio simile. Nel suo volto ho letto la disperazione, l’abbandono, la solitudine. Allora credevo pienamente nelle istituzioni. La mattina in cui era stata fissata l’autopsia, frastornata, chiamai l’avvocato Fabio Anselmo. Mi consigliò di fotografare il corpo. Ci sono i medici legali, replicai, perché fotografare l’orrore? Dovremo provare tutto, rispose. In quel momento tutto il mio mondo mi è crollato addosso. Ora lo so e lo dico da tempo, Stefano è morto di dolore, lentamente, e nessuno ha fatto nulla per salvargli la vita. La situazione era grave, diveniva sempre più critica, precipitava e i medici non gli hanno neppure preso il polso».

 La sentenza è attesa l’11 luglio. Il procuratore generale ha chiesto quattro anni di condanna per i medici del Pertini, accusati di omicidio colposo. Una pena giusta?

«Non sono avvocato, o esperta di leggi. Sono la sorella di Stefano. Non m’importa se andranno in carcere oppure no, una condanna sarà però un segnale importante: quando si sbaglia si è chiamati a rispondere dei propri errori. Bisogna dire basta al senso di impunità. Stefano è morto nel disinteresse generale, dall’arresto alla morte è stato in contatto con ben 140 pubblici ufficiali. Nessuno ha fatto nulla per interrompere la catena letale di eventi. Non intendo un gesto di pietà, ma semplicemente il fare il proprio dovere denunciando quanto era sotto i loro occhi. Nel processo per direttissima Stefano è stato circa un’ora con un giudice e un pubblico ministero. Ha cominciato a morire in quell’aula. Di giustizia e indifferenza».

 Intanto nell’ambito dell’inchiesta bis avviata dalla Procura di Roma, il collegio dei periti nominato dal Gip per stabilire la natura delle lesioni sul corpo di Stefano aveva chiesto altri 90 giorni per completare l’incarico. Il giudice ne ha accordati 30, fissando l’incidente probatorio al 28 luglio.

«Sette anni di perizie e raccolta di documentazioni non sembrano bastare. Mi fido del procuratore Pignatone, del pubblico ministero Giovanni Musarò, del mio avvocato. Ma ho paura. Ho imparato sulla mia pelle e dall’esperienza di altri processi che le consulenze scientifiche condizionano irrevocabilmente i processi. Subentra anche una sorta di “guerra” tra accademici. Per Stefano si è parlato addirittura di una bizzarra caduta accidentale, senza neanche preoccuparsi di renderne credibile la dinamica e gli effetti. In questi sette anni di infinite udienze si è detto pure che mio fratello aveva il catetere per comodità, pur di minimizzare le conseguenze di un pestaggio, negato per sette anni. Ora è la Procura di Roma ad aver aperto un’istruttoria per il violentissimo pestaggio e indagato dei carabinieri».

 Alla guida del collegio peritale è Franco Introna, ordinario di Medicina legale all’Università di Bari, ex massone, un passato in Alleanza Nazionale, candidato PdL nel 2009. Che ruolo ha il trascorrere del tempo in questa fase?

«Va detto che il nostro consulente storico, il professor Vittorio Fineschi, appresa la nomina di Introna ha rinunciato al mandato. Da quanto mi hanno spiegato, se dovesse passare ulteriore tempo si rischia la prescrizione. Al momento ai carabinieri vengono contestate lesioni aggravate, un reato con un termine di prescrizione breve.

 Dopo sette anni alla ricerca della verità e delle responsabilità sulla morte di Stefano, cosa vorresti dire alla famiglia Regeni?

«Auguro loro di non subire il nostro calvario, perché ogni minuto di quel dolore equivale a un’intera esistenza. So però che oggi, rispetto a sette anni fa, c’è una diversa sensibilità nelle persone comuni sui diritti fondamentali di ogni essere umano, si è capito che riguarda tutti. La lotta per la verità della madre, del padre, della sorella di Stefano Cucchi e di tante altre famiglie ha scosso la coscienza collettiva democratica».