I vaccini? «Un bene comune, come l’acqua e l’aria. Come la Costituzione. Un bene che va distribuito all’umanità intera, senza porre barriere di nessun tipo. E avendo a disposizione la maggior forza di fuoco possibile per fermare il Covid».

Stefano Vella (Imagoeconomica)

Stefano Vella, è il medico che, come presidente della International Aids Society, si è impegnato attivamente per promuovere l’accesso universale al trattamento per l’Aids. Nel 2000 ha portato la conferenza mondiale sull’Aids a Durban, in Sud Africa. Questo evento, il primo svoltosi in Africa, ha rappresentato una pietra miliare nella lotta contro le diseguaglianze nell’accesso alle cure per l’Aids. Da lì ha preso il via il percorso teso a raggiungere l’accesso universale a cura e prevenzione per altre malattie globali. Il ricercatore romano – commendatore al Merito della Repubblica – è stato direttore del Dipartimento del farmaco presso l’Istituto superiore di sanità dal 2003 al 2016 e presidente dell’Agenzia italiana del farmaco. Nel 2020 è stato nominato, dal ministero dell’Università e della ricerca e dal ministero della Salute rappresentante italiano al prossimo Programma quadro di ricerca europeo Horizon 2027 Health Cluster. Attualmente è docente di Salute globale all’università Cattolica di Roma. Insomma, un’autorità nel campo della ricerca. E quando dice che gli egoismi nazionali nella battaglia al Covid-19 non portano da nessuna parte, quando ammonisce che il virus «deve essere attaccato con tutti gli strumenti possibili in tutte le parti del mondo contemporaneamente, perché è solo così che ce la faremo», c’è da credergli. Come c’è da credergli quando spiega, che «vaccini funzionano tutti, anche se sono diversi».

Richiamo vaccino anti covid-19 per il personale medico all’ospedale Spallanzani (Imagoeconomica)

Dunque, non solo Pfizer, AstraZeneca, Moderna e Johnson & Johnson ma anche il russo Sputnik e i tanti altri in dirittura d’arrivo?

Certamente. Quando l’Ema darà il via libera anche gli altri vaccini, tra cui il russo Sputnik V, avremo a disposizione molteplici farmaci utili a sconfiggere questo nemico invisibile e subdolo. Peraltro, in un suo parare tecnico-scientifico, lo Spallanzani ha promosso il vaccino russo, parlando di una efficacia che supera il 91 per cento. Gli accordi con Mosca per produrre in Italia il vaccino sono in corso. Non c’è tempo da perdere perché la curva dei contagi non accenna a diminuire. È bene avere prodotti diversi, così da verificarne l’efficacia sul campo ed usarli in tutto il mondo. L’Ema a breve approverà anche i primi anticorpi monoclonali. Ad oggi però, in considerazione del fatto che non abbiamo la quantità sufficiente di vaccini per immunizzare tutti, quello che dobbiamo fare è stabilire le priorità nelle vaccinazioni. Siamo in guerra e in guerra c’è il razionamento. Come si fa? Vaccinando chi ha veramente urgente bisogno. Vanno protette le categorie a rischio e perciò dobbiamo essere veloci nel tutelare i pazienti fragili, gli anziani e gli oncologici. Ma anche le tante persone giovani che hanno malattie serie e anche i familiari che si occupano di loro, i cosiddetti caregiver.

“L’Italia rinasce con un fiore”, il simbolo della campagna di vaccinazione (Imagoeconomica)

Di fronte a una pandemia che ha investito l’intero pianeta qualche sovranista fuori tempo massimo propone di muoversi in una logica particolaristica. Prima “noi”, poi gli “altri” ha senso?

No, questo “egoismo vaccinale” non ha alcun senso. Non ha senso né da un punto di vista etico né da un punto di vista sanitario. Impegnarsi affinché vi sia disponibilità dei vaccini per tutto il mondo, è un fatto utile all’umanità, non solo a chi ne ha bisogno. È bene mettersi in testa che la carenza di vaccini o il loro costo eccessivo sono una minaccia per tutti. Se non blocchiamo le malattie, poi ce le ritroviamo addosso, ci vengono a bussare alla porta di casa. Per parafrasare la bellissima poesia di John Donne, “Nessun uomo è un’isola”, che ha ispirato il titolo di un romanzo di Hemingway, “La morte di ciascun uomo mi sminuisce perché faccio parte del genere umano. E perciò non chiederti per chi suoni la campana. Suona per te”. Ecco, è ora che le persone e i governi siano consapevoli che quello che accade agli altri riguarda tutti. Il sistema di approvvigionamento europeo dei vaccini va rivisto, ma va anche detto, come giustamente ha ricordato il commissario europeo Gentiloni, che se non avessimo avuto un procurement Ue, «ci sarebbe stata una guerricciola tra gli Stati membri per procacciarsi i vaccini con intermediari più o meno probabili».

9 marzo 2021. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, allo Spallanzani di Roma per vaccinarsi contro il Covid (Imagoeconomica)

Se il vaccino è un bene comune, cosa bisogna fare perché questa enunciazione si traduca in fatto concreto?

Come ho già detto i vaccini, come peraltro tutti i farmaci essenziali per la vita e la salute, sono da considerarsi beni comuni. Con ciò non sto proponendo di abolire i brevetti in modo secco, sic e simpliciter. Sarebbe ingenuo e controproducente. Perché alcuni beni comuni come i farmaci e i vaccini vanno prodotti. Non sono cioè dei beni comuni puri, come l’aria; sono beni comuni impuri, richiedono per diventare beni dell’intervento dell’uomo. Bisogna prendere a modello in questa battaglia contro il Covid-19 quello che a suo tempo si è fatto per l’Aids. Allora accadde una cosa rivoluzionaria, il mondo si svegliò e finalmente capì che i farmaci devono essere portati a tutti. La copertura brevettuale non poteva rappresentare un freno alla produzione. In sostanza in quel caso si è negoziato il passaggio dei brevetti ai genericisti indiani che hanno prodotto il farmaco per l’Aids a costi decisamente più bassi e sostenibili per i Paesi del terzo e quarto mondo. È il voluntary licensing, la licenza volontaria, che ha dimostrato sul campo di funzionare.

Ed è un sistema che può essere utilizzato anche oggi?

Assolutamente sì. Serve una governance dei brevetti. Una governance fatta bene, in cui le ragioni del pubblico si facciano sentire. Apro una parentesi per ricordare che molti dei farmaci che sono stati prodotti sono anche frutto della ricerca pubblica. Insomma, va riconosciuta la proprietà intellettuale sui vaccini purché non se ne faccia un uso teso solo alla massimizzazione del profitto, in una logica iperliberista. L’utile di queste imprese deve essere giusto, proporzionale al loro investimento: non è possibile, per capirci, che grazie a un solo farmaco guadagnino più della Chrysler. Quello che ha funzionato ai tempi dell’Hiv è la voluntary licensing. Negoziare il passaggio dei brevetti ai genericisti ci ha permesso di fermare l’Aids. Tanto è vero che farmaci Hiv in Africa costano pochissimo.

Mappa che mostra la distribuzione delle dosi di vaccino anti-covid somministrate in Africa (Ourworldindata)

Per accelerare lo sviluppo, la produzione e l’accesso equo a test, trattamenti e vaccini contro il virus è stata costituita Act Acceleretor, ovvero l’acceleratore di strumenti Covid-19 (ACT) che è una collaborazione globale, di cui fa parte, per esempio, la fondazione di Melinda e Bill Gates. È la soluzione per portare i vaccini nei Paesi poveri?

Questo consorzio sta raccogliendo soldi per comprare i brevetti in tutto il mondo. Ora però oltre i soldi bisogna negoziare il prezzo. Perché vi sono molti Paesi che non possono comprare il vaccino a quanto l’acquista l’Occidente. Se lo negozi allo stesso prezzo che lo paga l’Europa servono miliardi. Bisogna abbassare il costo dei farmaci. Come si fa? Negoziando il brevetto: io ti pago il giusto ma tu mi dai il brevetto. Non si tratta di elemosina, di filantropia, ma di giustizia, oltre che di lungimiranza. Covax, il programma multilaterale istituito sotto l’egida dell’Organizzazione mondiale della sanità con l’obiettivo di aiutare i Paesi più fragili a fronteggiare la pandemia, non è solo generosità. Mettiamola così: bisogna che il sud del mondo, anche a nostro beneficio, abbia i vaccini. E allora bisogna negoziare per il sud del mondo ad un prezzo diverso. Tendendo presente, lo ripeto, che molti di questi farmaci sono prodotti con il contributo della ricerca pubblica.

Antonella Folgori, amministratore delegato ReiThera, con il ministro della Salute Roberto Speranza (Imagoeconomica)

C’è un animato dibattito sulla produzione del vaccino italiano. La convince il vaccino tricolore?

Fino a un certo punto, nel senso che questi non sono farmaci chimici; il farmaco chimico è facile da produrre, ma questi sono farmaci biologici, richiedono industrie molto strutturate. In Italia abbiamo strutture biotecnologiche che possono inventarlo il vaccino, penso a quello della ReiThera, i cui risultati sono incoraggianti. Il punto è che dal prototipo alla produzione di massa, le centinaia di milioni di dosi, il passo è complicato. Reithera il biorettarore per produrre il vaccino ce l’ha ma non basta certo per queste quantità. Per produrre numeri così grandi serve uno stabilimento grande come Pavia. Non si può metter su in un giorno. Ecco perché la strada possibile e che il governo sta percorrendo è quella di far produrre in conto terzi i vaccini già approvati alle grandi industrie farmaceutiche che hanno sedi in Italia. Abbiamo, è vero, anche grosse industrie nazionali, tipo la Menarini, ma prima che si riconvertano ce ne vuole. Dobbiamo pensare che questa non sarà l’ultima pandemia. Altre seguiranno. Compito della politica è dunque lavorare sin da oggi affinché il Paese non si faccia trovare impreparato.

(Imagoeconomica)

Si è detto e scritto che le grandi aziende, Pfizer e AstraZeneca, non hanno rispettato gli accordi stretti con l’Europa perché avrebbero “piazzato” i loro vaccini a chi poteva pagarli di più. Se così fosse sarebbe gravissimo. Che ne pensa?

Sarò ingenuo, ma se la Pfizer o AstraZeneca non ce la fanno a produrre i quantitativi richiesti dobbiamo credergli. Su questa cosa le case farmaceutiche si giocano la faccia: se dovesse uscire che hanno venduto sottobanco a chi pagava di più, una sorta di ignobile asta, rischiano di non vendere più neanche il paracetamolo. Non penso sia interesse delle stesse aziende, in questa particolare situazione, di pensare solo al profitto. Non perché siano necessariamente brave e sensibili ma perché non gli conviene.

Prima dose a più persone possibile per bloccare il virus: in Gran Bretagna sta funzionando. È la strada da seguire anche da noi?

L’idea degli inglesi non è peregrina e ha consentito di bloccare la circolazione del virus e delle sue varianti. In Gran Bretagna i dati ci dicono che i morti e le persone contagiate sono calate. Io però sono sempre dell’idea che conviene seguire le regole. Se il vaccino è stato registrato per avere due dosi è bene che due siano. Anche perché il rischio di una risposta immunitaria debole è possibile. E il virus non aspetta altro che noi si faccia qualche sciocchezza.

Se questo virus muta così rapidamente e così facilmente c’è il rischio che i vaccini non funzionino?

No. I vaccini sono facilmente modificabili e nei laboratori lo stanno già facendo con la sequenza del virus mutato. L’unico “rischio”, quasi una certezza, è che il vaccino contro il Covid lo dovremmo rifare ogni anno, un po’ come accade per il classico vaccino antinfluenzale.

(Imagoeconomica)

Vella, quanto è cambiato con la pandemia il nostro vivere sociale?

È cambiato molto, sia in negativo sia in positivo. In negativo ho visto emergere pulsioni individualiste, “mi salvo io e chissenefrega”, che purtroppo sono state veicolate anche da alcuni politici. Questa pandemia non ha colpito tutti nello stesso modo. C’è una diseguaglianza straordinaria dappertutto nel mondo. I più fragili, i più poveri, sono quelli più colpiti. E mica solo in Africa. Anche in America sono i neri che muoiono per Covid. Solo il 5,4 per cento degli afroamericani – dati di febbraio – hanno ricevuto il vaccino, percentuale decisamente e scandalosamente inferiore rispetto ai bianchi. Ma per restare in Italia non si può non vedere che la crisi economica determinata dalla pandemia ha colpito in maniera molto differente. Vivo a San Lorenzo, popolare quartiere di Roma, e conosco parecchie persone che, con i bambini in Dad, hanno passato il lockdown in una stanza. O tanti artigiani e piccoli commercianti che non hanno più riaperto. Chi è andato in rovina non sono i ricchi ma chi non aveva un capitale di riserva cui ricorrere. Mediamente ogni italiano aveva da parte la sopravvivenza per due mesi! Non a caso l’Istat certifica che nel 2020 le persone in povertà assoluta sono un milione in più rispetto al 2019. Ecco, credo che compito prioritario di chi governa oggi è dare risposte a questi problemi enormi. Senza ritardi e debolezze.

L’Anpi si è fatta promotrice di una grande alleanza delle forze migliori della società «per sconfiggere la pandemia, far rinascere il Paese, promuovere una democrazia più ampia e più forte. Si può così aprire una nuova fase della lotta antifascista e democratica, a partire dai principi fondamentali che hanno ispirato la Resistenza: la giustizia sociale, la libertà, la democrazia, la solidarietà, la pace». Condivide l’appello?

Mi piace ricordare che mio padre era partigiano, medaglia della Resistenza. A 24 anni ha preso il fucile per difendere la patria e la libertà a Porta San Paolo. Ecco, tra le cose positive che questa situazione può lasciarci c’è il senso di una collettività di persone che lotta e lavora insieme contro un nemico comune. Da questa tragedia epocale, se riusciamo a sconfiggere oltre al virus gli egoismi sociali, potremmo sperare che nasca un mondo migliore. Più sobrio e più giusto.