“È proprio un numero da circo”. Convenzionalmente si usa questa formula quando si osservano spettacoli che hanno a che fare con l’arte circense, ovvero quelle acrobazie e quelle manifestazioni della capacità e della fantasia umana che, altrimenti e nella normalità, non si osserverebbero.

Non sappiamo se è per questa curiosità, che due adolescenti entrarono nel tendone del circo che avrebbe dovuto tenere spettacoli a Duluth in Minnesota nell’estate del 1920. Non sappiamo se questa curiosità divenne stupore nel vedere che la gran parte dei lavoratori del circo era di origine africana, o meglio afroamericana. Tutti operai addetti ai più diversi lavori necessari a dare vita allo spettacolo. Non sappiamo nemmeno come mai, da questa curiosità o stupore, si passò alla denuncia di aggressione, di furto e dell’orrendo crimine di violenza sessuale. È sulla base di queste dichiarazioni, rilasciate da uno dei due adolescenti – un ragazzo e una ragazza, entrambi “bianchi” – che all’alba del 15 giugno, le forze dell’ordine locali, senza avere altre prove fisiche o testimoniali, irruppero nelle carrozze del circo. Tutti i lavoratori afroamericani furono svegliati, fatti scendere dalle loro carrozze e disposti lungo i binari della ferrovia. I 150 afroamericani, in fila per essere osservati dai due adolescenti per l’identificazione. Sei afroamericani, sulla base dell’identificazione dei due adolescenti, furono arrestati con l’accusa di stupro e rapina. Il “processo”, se così si può dire, fu immediato. Efficienza della giustizia del Minnesota? Sì, se si spiega la parola “processo” come folla che urla davanti il carcere, che vuole irrompere, prendere i presunti colpevoli e giustiziarli. No, se si spiega la parola “processo” come diritto alla difesa e l’annesso percorso che, inevitabilmente comporta tempi lunghi. Perché si accusa o si scagiona una persona oltre ogni ragionevole dubbio.

Duluth, Minnesota, 1920 (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/ e/ec/Duluth-lynching-postcard.jpg/600px-Duluth-lynching-postcard.jpg)

C’è da chiedersi quale fu il ruolo della polizia locale, visto che tre afroamericani furono in breve, brevissimo tempo “giudicati” colpevoli di stupro, dalla folla. Dal “giudizio” alla pena, il passaggio è immediato. Fra la Prima Strada e le Seconda Avenue East di Duluth, c’è un lampione. I tre afroamericani, dopo essere stati picchiati (ricordiamo la folla che si sostituisce alla giustizia…), muoiono impiccati appesi ad un palo. Non un palo da circo, attorno al quale le abilità dei circensi vengono consacrate dagli applausi, ma a un palo della luce, in mezzo ad una strada, in pubblico, a consacrare quella “giustizia” che si chiama crimine.

A nulla valsero i tentativi dei tre di dirsi innocenti e figuriamoci se la folla è in grado di ascoltare il medico che, esaminata l’adolescente che avrebbe subito lo stupro, non rilevò alcuna prova che certificasse la violenza.

Eppure, il Minnesota ebbe un ruolo importante con circa 20.000 uomini che combatterono fra le file dell’esercito dell’Unione contro il Sud schiavista. Ma la memoria è corta. Il Minnesota fu terra di speranza grazie alle risorse agricole e minerarie del suo territorio. Molti europei si trasferirono in quelle terre, subito dopo la guerra di secessione e molti afroamericani, in America prima degli europei, dopo il primo conflitto mondiale erano emigrati al nord dagli stati del sud. Cercavano in quelle terre la speranza di una emancipazione negata e un’opportunità di vita che desse loro dignità. In definitiva, migliorare le proprie condizioni attraverso il lavoro.

Duluth, il monumento ai tre afroamericani “riabilitati” ( da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/ f/f9/Clayton-Jackson-McGhie-memorial-Duluth-Minnesota.jpg/ 1024px-Clayton-Jackson-McGhie-memorial-Duluth-Minnesota.jpg)

Dalla sua nascita come stato federato, (11 maggio 1858), in poi, il Minnesota è lo Stato che vede la sua origine americana abitata da tribù indiane Chippewa e Sioux, vittime di numerose guerre tra il 1861 ed il 1863 e successivamente di originari europei (il 37,9% tedeschi, il 32, 1% scandinave, l’11,7% irlandesi, il 7,9% italiani, il 6,3% inglesi, il 5,1% polacchi, il 4,2% francesi). Ad oggi la popolazione totale è di circa cinque milioni e mezzo di abitanti di cui solo l’1,3% e di nativi americani, cioè discendenti delle tribù indiane Chippewa e Sioux.

Per i fatti del 15 giugno del 1920 le associazioni del Minnesota per la difesa dei diritti degli afroamericani, attraverso i loro leader, sollecitarono il governatore ad un intervento per perseguire gli autori del linciaggio e dei loro complici. Si istruì una indagine. Tra omissioni e teorie giustificanti furono incriminati 37 bianchi implicati nel linciaggio. Di questi soltanto in tre furono condannati non per omicidio però, ma per aver provocato disordini. Quindici mesi di carcere la pena. La folla vinse. Vinse l’odio razziale. L’anno successivo l’attivismo afroamericano, attraverso i suoi avvocati, ottenne un risultato giuridico: l’approvazione di una legge che prevedeva la rimozione degli agenti di polizia negligenti nel proteggere le persone in loro custodia da tentativi di linciaggio e il risarcimento dei danni a favore della persona linciata.

Oggi, a Duluth, 3 statue di 2 metri d’altezza ricordano le tre vittime del linciaggio, Elias Clayton, Elmer Jackson e Isaac McGhie, nel tempo completamente riabilitati da quell’accusa infamante e mai verificata.

A Duluth il 24 maggio 1941 nasce Robert Allen Zimmerman, al secolo Bob Dylan. Il “menestrello” nel 1963 scrive “Only a Pawn in Their Game (Solo una pedina nel loro gioco)” in cui canta di Medgar Evers, ucciso il 12 giugno del 1963, in quanto sostenitore dei diritti per gli afroamericani; nel 1965 nella prima strofa di “Desolation Road” fa riferimento al linciaggio compiuto nella sua città.

Duluth, Minnesota 1920. Morire soffocati da una corda attorno alla gola, appesi ad un lampione.

Minneapolis, Minnesota 2020. Morire soffocati da un ginocchio che preme la gola, sdraiati a terra.

A Duluth la foto ferma l’immagine della morte, a Minneapolis il filmato registra la voce della morte di George Floyd.

In Minnesota a cento anni di distanza è andato in onda lo stesso “spettacolo”.

Cambiano i contesti. Non il crimine. Non il colore delle vittime.

Paolo Papotti, componente della Segreteria nazionale Anpi, responsabile Formazione