Il 20 aprile 1945 sedici giovani partigiani della 114ª brigata Garibaldi vennero uccisi dai nazifascisti nella conca di Vaccherezza, sulle montagne di Condove, in Valle di Susa, a una trentina di chilometri da Torino.
L’Anpi provinciale, con la presidente Maria Grazia Sestero, ha partecipato alla commemorazione dell’eccidio che, da tradizione, si svolge alla fine di agosto, nel 2021 il giorno 29, perché ad aprile tutto è ancora sepolto dalla neve come in quella primavera di 76 anni fa. La celebrazione si è tenuta vicino al sacrario fatto realizzare dalla sezione dei partigiani di Condove-Caprie in memoria dei Caduti tra il rio Balmosello e il colle della Portìa, a 1.600 metri di altitudine.
Nel corso dell’intervento, la presidente Sestero ha ribadito che «La numerosa presenza qui oggi, in questo luogo in cui, non solo per il sacrario, si sente la presenza dei partigiani e si soffre la perdita di tanti giovani, sta a dimostrare che oggi più che mai sappiamo di dover far conoscere come è nata la nostra democrazia: quel sogno di futuro a cui si è sacrificata anche la vita. Queste montagne conosciute in ogni sentiero dai partigiani dei nostri paesi, sono state lo scenario di eroismi, della vita grama dei nostri combattenti e nelle pietre a loro dedicate ne portano i segni».
Erano presenti i sindaci di Condove, Caprie, Chiusa San Michele, San Giorio di Susa, Vaie, Sant’Ambrogio, e rappresentanti di associazioni quali Aib, Pro Loco, Unione musicale condovese, Fidas locale, sezione locale dell’Ancr, Marinai d’Italia, sezioni locali degli Alpini dell’Ana e sezioni Anpi. Nino Boeti, già presidente del Consiglio regionale del Piemonte, ha portato il suo saluto.
Fernanda Core, figlia dei partigiani Enrica Morbello “Fasulin” (scomparsa a maggio scorso, era stata intervistata da Gad Lerner per Noi partigiani, il Memoriale della Resistenza italiana) e Secondo Core, il comandante “Dino”, ha ricordato l’impegno antifascista della madre e del padre, ringraziando la sezione Anpi di Condove-Caprie per aver aperto il Museo valsusino della Resistenza che conserva l’archivio personale dei suoi genitori e il diario della 114ª brigata.
Nel pomeriggio, il gruppo musicale di Alberto, Luca e Silvano Borgatta ha presentato Il Racconto di Vaccherezza: Canzoni e pensieri per Dino e Fasulin. Per ricordare gli anni duri della Resistenza vissuti dai partigiani con il sostegno della popolazione, è partita da Mocchie, il borgo condovese più volte colpito dai rastrellamenti nazifascisti, una staffetta che ha portato a Vaccherezza la fiaccola della memoria. Questi sono i fatti che precedettero l’eccidio. Il 15 novembre 1944 si formavano ufficialmente la 113ª e la 114ª brigata Garibaldi che, di fatto, assicuravano un presidio partigiano su tutta la montagna di Condove e Caprie.
La prima formazione era affidata al comandante Alessio Maffiodo, la seconda era guidata Carlo Ambrino ”Negro” e da Giuseppe Cugno ”Pino” ed era composta da 120 uomini organizzati in cinque distaccamenti, ciascuno dei quali agli ordini di comandi diretti. Da quando era nata, la 114ª aveva messo a segno con regolarità azioni di guerriglia e ed era riuscita a superare anche tentativi di rastrellamento con grande determinazione.
Il 18 aprile 1945 giunse una segnalazione su un imminente attacco in forze a opera dei tedeschi e dei militi della Rsi, per effettuare “la pulizia finale” da Caprie a Borgone. L’informazione proveniva da Pietro Bassignana, interprete di lingua tedesca presso le allora Officine Moncenisio, che a sua volta l’aveva ricevuta da un collega interprete presso il comando tedesco. Nella comunicazione si annunciava inoltre che al rastrellamento avrebbero preso parte truppe della collaborazionista divisione alpina “Monterosa”. Bassignana scrisse nelle sue memorie che aveva provveduto a informare al più presto le due formazioni partigiane tramite una persona di fiducia, ma aveva avuto la certezza che l’avviso era stato consegnato solo quando il comandante della 113ª fece scendere a valle i suoi uomini per la liberazione finale.
Purtroppo alla 114ª andò diversamente. I comandanti Cugno e Negro convocarono i comandanti di distaccamento e di squadra esprimendo i loro dubbi circa l’autenticità del messaggio. Poteva considerarsi vero o era fuorviante? Dovevano prendere una decisione senza attendere oltre, anche perché i distaccamenti erano sparsi e lontani. Si stabilì di rimanere e di combattere. “Con il senno del tempo, la decisione pare oggi un sacrificio deliberato”, scrive Emanuele Cassarà nel suo libro Un balilla partigiano dove narra la Resistenza sulle montagne di Condove, a cui partecipò da partigiano. Il commissario politico Luigi Falco “Gin” spiegò a Cassarà: “Dovevamo anche proteggere i civili dalle rappresaglie: cosa mai eravamo andati a fare in montagna se ci mettevamo sempre a scappare?”. Se le cose si fossero messe male davvero avrebbero comunque potuto fare una ritirata strategica alla Lunella, a 2.772 metri. Alle tre di notte del 20 aprile, continua l’autore del libro, si udirono tre colpi di moschetto che indicavano convenzionalmente l’allarme immediato da Mocchie, Maffiotto e dalla Portìa. Il secondo allarme partì da Rosseno, a Val Gravio, dal distaccamento dei partigiani meridionali che controllavano i sentieri per Mollette, Frassinere, Prarotto e Maffiotto. L’ultimo colpo venne dall’Alpe delle Balme che scende verso la conca di Vaccherezza ancora gelata.
Poi si udirono salire da Condove gli automezzi tedeschi. Arrivarono al bivio verso Lajetto, i soldati scesero e proseguirono a piedi verso Pratobotrile per prendere alle spalle i partigiani. I camion avanzarono poi in direzione Mocchie verso Frassinere, dove posizionarono i mortai per colpire Prato del Rio e il Belvardo.
A Prato del Rio i pochi uomini anziani trovarono rifugio in una vecchia miniera di calce, le donne e i bambini si ripararono nelle stalle dopo aver liberato le mucche nei prati.
L’attacco ebbe inizio il 20 aprile, al far del giorno: più di 5.000 uomini, tra tedeschi e alpini della Monterosa, effettuarono un imponente rastrellamento tra il colle della Portìa e il vallone del Gravio, che si rivelò una trappola mortale per gli uomini della 114.
In un passo del diario storico scritto da Enrica Morbello Core si legge la ricostruzione di quelle ore: “Approfittando del vuoto fatto dalle altre brigate (113ª e 17ª) da una parte, che erano già scese verso Torino, dalla 42ª dall’altra che si era spostata lasciando l’altro fianco della 114ª completamente scoperto, le forze nazi-fasciste si portavano sulle cime dominanti le posizioni della 114ª. Mentre la Monterosa saliva al colle della Portìa altre forze nemiche attaccavano Maffiotto, Grange, Reno Superiore, Prato del Rio, Rocca di Mocchie, altre forze salivano ancora dalla Balma di Lima chiudendo la 114ª brigata in una morsa di ferro e fuoco”.
L’accerchiamento fu totale da ogni lato e in quella sacca, inespugnabile dai partigiani. Accadde di tutto. I vari gruppi di partigiani che si formarono, cercarono in qualche modo la salvezza.
Del distaccamento “Novara” morirono il vicecomandante Antonino D’Agostino, nato a Delianuova; il caposquadra Vincenzo Carbone, nato a Pellegrina di Bagnara; Antonio Lardini, nato a Gorgoglione (in provincia di Matera); Alfredo Bevilacqua, nato a Nocera inferiore (Salerno) con la gamba spappolata da una bomba si uccise; Cosimo Peluso, nato a Napoli, con il ventre aperto fu finito da un alpino. Il comandante del 2° battaglione Antonio Decancubino, nato a Motta San Giovanni, fu ferito alla spalla e al braccio destro, mentre il comandante del distaccamento Antonino Laterza venne fatto prigioniero.
Nella conca di Vaccherezza caddero anche Guido Bobba, vicecomandante del distaccamento Tarro Boiro, ferito a una coscia e ucciso da una raffica; Ferruccio Cantore; Idolo Coletto “Bill”, comandante del distaccamento Reinaudo; Felice Falco, comandante del distaccamento Tarro Boiro; Luigi Falco; Bruno Girardi; Attilio Girardi; Secondino Giuliano; Paolo Marchis che morì sgozzato; Giuseppe Narcot; Rinaldo Vinassa. Altri si salvarono sfruttando nascondigli offerti dal terreno ed ebbero fortuna; il grosso della brigata riuscì a scamparla raggiungendo l’unico buco nella maglia degli assedianti: le pendici di Punta Lunella.
L’interprete Pietro Bassignana nel suo diario commenta: “In casi simili non si può certamente parlare di combattimenti tra due forze opposte, perché meglio sarebbe dire che si tratta puramente di una chasse à courre (caccia alla volpe) considerando gli enormi mezzi di difesa di cui dispone l’attaccante rispetto a quei pochi di cui dispone la preda. Ma qui ci troviamo di fronte a dei veri eroi che altrimenti non possono definirsi coloro che, malgrado la loro enorme inferiorità sia numerica sia difensiva, pur sapendo ciò che li attende, lottano con disperazione per infliggere al nemico il maggior numero possibile di perdite. Come alla chasse à courre – continua Bassignana – il nemico disponeva di cani pastore tedeschi con l’ausilio dei quali era possibile scovare quei coraggiosi combattenti che avevano cercato rifugio in caverne naturali della montagna o in altro genere di rifugio. Caddero molti prodi combattenti per la libertà che avevo conosciuto nel corso del mio compito e caddero pure dei ragazzi giovanissimi, i quali non avevano preso la via dei monti per sfuggire al servizio militare, ma puramente per coscienza civile e solidarietà con i loro compagni maggiorenni, difensori della libertà”.
Dopo il terribile scontro del 20 aprile 1945, il Comando militare della resistenza partigiana (C.m.r.p.) impose il riassetto delle brigate: “Fu giocoforza organizzarci – scrive “Fasulin” nel suo diario –: non eravamo più la 114ª ma la 3ª brigata Garibaldi. Agostino Marra fu nominato comandante del 1° battaglione e Antonio Decancubino del 2° battaglione. Per entrambi i battaglioni Luigi Falco fu il commissario di guerra. Il comando di brigata, attraverso le testimonianze, riuscì a ricostruire la dinamica di quella nostra sconfitta”.
Sulla facciata sgretolata della ex scuola comunale della Rocca, sede della 114ª, sono rimaste le ferite dei colpi di mitraglia dei nazifascisti, come sulla ex scuola di Maffiotto e su quella di Valgravio.
La giornata commemorativa è stata molto partecipata perché hanno voluto prendervi parte intere famiglie e giovani che stanno scoprendo la bellezza dei luoghi e il valore memoriale dei sentieri partigiani anche grazie alle escursioni organizzate dall’Anpi locale: da Mocchie a Vaccherezza (per i più sportivi) e, per tutti, da Bigliasco.
Luciano Midellino, ex assessore alla montagna del Comune di Condove, ha lavorato alla stesura della rete dei sentieri partigiani nella zona, ripristinando con le associazioni locali mulattiere e percorsi dei resistenti, rendendoli agibili ai visitatori e accompagnando studenti delle scuole del territorio nei luoghi di memoria.
Il sacrario fatto erigere dalla sezione Anpi di Condove-Caprie lì dove si svolse il tragico epilogo nell’aprile 1945, situato a 1.508 metri di altezza, è raggiungibile con la strada carrozzabile fino a Mocchie e poi percorrendo una strada comunale attraverso borghi all’epoca sedi di distaccamenti partigiani delle brigate Garibaldi: Gagnor, Bigliasco, Dravugna, la Rocca di Mocchie, base del distaccamento Reinaudo.
Proseguendo per la mulattiera da Mocchie si attraversa il rio Togno, sul ponte “Mario Girardi”, recentemente ricostruito dalla nostra sezione Anpi, si raggiunge la sede del distaccamento della 114ª nella frazione di Prato del Rio, nella cui chiesetta furono portati e ricomposti i corpi martoriati dei giovani partigiani. Le Officine Moncenisio avevano provveduto a far trasportare in montagna un forte numero di feretri, fabbricati rozzamente in fabbrica, per ricevere i corpi dei Martiri.
Per arrivare al sacrario partigiano di Vaccherezza, nei dintorni del Rio Balmosello, si procede per un tratto lungo la strada del Colombardo fino al pilone di Belvardo e, al bivio a sinistra, si continua sulla pista utilizzata dalle mandrie per salire all’alpeggio. In questi luoghi impervi, nei pressi della ripida gola del torrente, si possono vedere i cippi dedicati ai partigiani Caduti che sono stati fatti erigere dai familiari subito dopo la Liberazione.
Dal pilone del Balvardo, se si va a destra, dopo 200 metri, si giunge all’Alpe Goia, sede del distaccamento Tarro Boiro, comandante Felice Falco, quindi si prosegue su una bella mulattiera in faggeta e lariceto fino a raggiungere la fogliaia della Frera.
La strada si biforca e deviando a destra per breve tratto si visita il luogo del sacrificio del giovanissimo Ferruccio Cantore di Chiusa San Michele, ferito in modo non grave ma morto dissanguato e in solitudine. Il suo corpo fu ritrovato parecchi giorni dopo da una giovane donna, impegnata a cercarlo.
Sulle montagne di Condove numerosi furono i rastrellamenti. Gli anziani ricordano ancora quello avvenuto a Mocchie il 20 dicembre 1944. I nazifascisti arrivarono su 50 automezzi, ci furono case bruciate, civili e partigiani uccisi, presa di ostaggi. Il 27 e il 28 giugno 1944 vennero arrestati dei civili e deportati in Germania per il lavoro coatto. Caddero molti partigiani e ci furono vittime tra la popolazione. A Sigliodo, al confine con Caprie, l’8 gennaio 1944 furono catturati due partigiani, portati alle Nuove e deportati a Mauthausen, dove uno di loro morì.
Il 22 novembre 1944 la milizia uccise un civile a Maffiotto; nemmeno un mese dopo, il 19 dicembre 1944, sempre a Maffiotto vennero uccisi tre partigiani del distaccamento Borgis della 114ª brigata e due civili, tredici abitanti furono catturati e deportati.
Il 19 dicembre 1944 il comando tedesco ordinò di circondare Mocchie e la Rocca, sede della 114ª, i tedeschi spararono con cannoni da 88 millimetri e distrussero la base partigiana di Reno Inferiore vicino a Valgravio. Morì un partigiano e altri quattro feriti furono, a stento, portati in salvo. Il 7 aprile 1945 otto ostaggi civili vennero fucilati da un plotone di esecuzione tedesco vicino al torrente Gravio, mentre solo otto giorni dopo, il 15 aprile 1945, ci fu l’uccisione di un partigiano georgiano nel borgo di Muni di Condove.
L’Alpe Balma sovrasta la conca e permette una eccezionale veduta della valle. Qui, in un anfratto protetto dalle rocce, quasi in un nido d’aquila, era posizionata la mitragliatrice dei partigiani posta a difesa della zona sottostante e messa lì in caso di ritirata. Sulle cime di queste montagne si appostarono gli alpini fascisti della Monterosa e l’esercito di Salò, provenienti dalla Val di Viù, chiudendo la trappola mortale in cui nell’aprile ‘45 caddero i partigiani.
Le parole di Maria Grazia Sestero, presidente dell’Anpi provinciale di Torino, concludono la commemorazione: «Il nostro futuro dipende dalla memoria che sappiamo consegnare e far vivere, ora che ci sono sempre meno i nonni, i padri e le madri a raccontare quelle vite e quelle scelte. Ma salendo su queste montagne, dalla bellezza aspra e insieme confortevole, si sente la storia affiorare dalle pietre, dai rivi e dai prati; sono montagne che, grazie al lavoro dell’Anpi e di tanti volontari, sono ancora animate dalla presenza delle partigiane e dei partigiani. Per chi percorre questi luoghi è più facile conservare la voce di chi ha dato tutto se stesso e ha tracciato la storia del futuro, per riproporre ancora e sempre quella voce».
Aurora Tabone, sezione Anpi Condove-Caprie
Foto di Piero Midellino e di Sandro Ostorero
Pubblicato martedì 21 Settembre 2021
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