Ruggero Giacomini, di Ancona, storico della Resistenza e della guerra di Liberazione e apprezzato autore di varie pubblicazioni, risponde ad alcune domande. Il suo ultimo libro, stampato nel marzo 2017, è “La lotta per la libertà e il dovere della memoria. Zeno Rocchi e il Novecento a Sarnano”, Affinità Elettive edizioni. Il volume, oltre a una buona dotazione iconografica dell’epoca, un completo indice dei nomi e delle località, contiene in appendice l’elenco dei partigiani e patrioti riconosciuti dalla Commissione regionale Marche.

Oltre a far conoscere ideali, vita ed esperienze del sarnanese Zeno Rocchi, perché ha realizzato questo ultimo libro?
Ho voluto ricostruire la biografia di una persona del popolo, di cui avevo sentito parlare da mio padre da ragazzo per la sua forte tempra morale. Ne è uscito uno spaccato illuminante della storia delle Marche e d’Italia. Se c’è un messaggio implicito, è che la libertà non è scontata, richiede coerenza, impegno e sacrifici. In questo senso la figura di Rocchi può essere accostata a uomini forti, come Gramsci o come Sandro Pertini.

Nelle Marche è ricordato l’antifascista camerinese Feltre Bartocci. Ci potrebbero essere delle similitudini con Zeno Rocchi?
Certamente sono vicini come sentimenti, ideali di giustizia sociale e libertà, continuità di lotta, ruolo politico nella Resistenza. Poi Rocchi rimane sempre in Italia, mentre Bartocci vive l’esperienza dell’emigrazione e partecipa alla guerra di Spagna, dove è anche ferito.

Come accaduto nel resto della provincia, anche nel basso maceratese ci sono stati oppositori al regime fascista?
Penso di sì, anche se occorrerebbero ricerche specifiche. Ad esempio, tra gli arrestati per il convegno regionale comunista del dicembre ’34 a Portocivitanova, c‘era Alcide Silenzi, che, essendo del luogo, anche se era nato a Porto S. Giorgio, era stato scelto per fare da palo e avvertire se ci fosse stato pericolo. Lo ritroviamo nella Resistenza col nome di “Quinto”, impegnato soprattutto nel recupero degli ex prigionieri inglesi. Qualche spunto utile, volendo approfondire, può trovarsi nel libro basato sui documenti dell’Archivio di stato di Macerata, di Matteo Petracci, “Pochissimi inevitabili bastardi”. L’opposizione dei maceratesi al fascismo. Il fatto è che gran parte della documentazione viene dagli archivi di polizia, e dunque sfugge tutta quella realtà diffusa, non raggiunta dall’occhio repressivo del regime.

Panorama di Sarnano (Macerata) (da https://it.wikipedia.org/wiki/Sarnano #/media/File:Sarnano.jpg)

Durante l’occupazione tedesca i servizi di intelligence maceratesi del governo Badoglio furono davvero efficienti?
Quello del ruolo e dei servizi segreti è un argomento tanto importante quanto difficile da conoscere della storia contemporanea. È l’espetto occulto del potere dentro gli Stati e le democrazie, dove non c’è controllo popolare e, di fatto, neanche istituzionale. Di certo il servizio segreto, civile e militare, si trovò diviso dopo l’8 settembre ’43, tra una parte fedele al governo del re, e un’altra allineata con la Rsi, con un’area probabilmente maggioritaria, a barcamenarsi in un ambiguo attendismo e doppio gioco, per ricompattarsi infine nella corporazione senza troppi problemi. Non pare che il generale Mèlia, capo missione del Servizio Informazioni Militari di Badoglio (Sim) con pieni poteri, abbia potuto fare qualche affidamento su questi ambienti. Florindo Pirani, membro di una precedente missione del Sim, attribuirà il suo arresto, da cui lo libererà il bombardamento di Macerata, a un certo tenente Pistone. Era costui un’ambigua figura che bazzicava nella zona di Cingoli, collegato col servizio segreto badogliano, cui inviava, al recapito di Brindisi, rapporti millantatori e fuorvianti sul movimento partigiano.

Tra le altre personalità locali, c’è il maestro civitanovese Giuseppe Gaggegi.
Per quello che so, Gaggegi, giovane repubblicano, aveva partecipato ai moti popolari collegati alla rivolta dei bersaglieri, in Ancona, dell’estate 1920, contro la guerra in Albania, estesisi anche a Portocivitanova, dove era stato incendiato il ponte sul Chienti e si erano barricate le strade per impedire il transito da sud della forza pubblica. Si era tentato anche di occupare la stazione ferroviaria e c’erano stati scontri con i carabinieri, con un morto e feriti. Gaggegi si era poi allontanato per sfuggire all’arresto, e aveva trovato rifugio a San Marino. Per questi suoi precedenti aveva avuto problemi col lavoro durante il regime. Dopo l’8 settembre, in collegamento con l’A Force, procurò imbarcazioni per trasferire a sud prigionieri inglesi evasi, organizzando un regolare servizio di collegamento, facendo anche un viaggio personalmente per prendere accordi. Salvadori riferisce che era stato arrestato dai fascisti, ma era riuscito a fuggire dalle carceri di Macerata.

La scrittrice fiorentina Joyce Lussu (medaglia d’argento al valor militare) sembrerebbe legata anche alla Resistenza nelle Marche, è così?
Gioconda Salvadori, secondo il suo nome anagrafico alla nascita, era figlia di marchigiani, la madre di ascendenza inglese, il padre conte Guglielmo, liberale progressista, aveva proprietà e una villa a Capodarco di Fermo, ma viveva a Firenze, dove Joyce era nata nel 1912. Nel 1924 la famiglia era emigrata in Svizzera per sottrarsi al pericolo di aggressioni, e qui Joyce aveva conosciuto, nel ’33, Emilio Lussu, divenuto il compagno di vita. La partecipazione di Joyce alla Resistenza avvenne a Roma; più volte attraversò la linea del fronte come corriere di collegamento. Ebbe la medaglia d’argento e anche, benché donna, il grado di capitano. Esponente del partito socialista, di grande cultura, solidale con i popoli coloniali e femminista determinata, il suo rapporto significativo con la resistenza nelle Marche credo sia espresso nella voce Piceno, da lei curata per l’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, opera in 6 volumi edita da La Pietra. Qui afferma decisa: “il coinvolgimento delle donne nella Resistenza (picena) fu pari a quello degli uomini”.

La lapide ad Ancona in ricordo del Secondo Corpo Polacco

Gli storici discutono sulla Liberazione di Civitanova Marche: fu opera dei “Lancieri dei Carpazi” polacchi, oppure di un reparto corazzato polacco chiamato “Skorpiony”?
Nel Rapporto sulle operazioni del II Corpo polacco nel settore adriatico si trova scritto: “All’alba del 30 giugno venne confermato il ripiegamento del nemico dal fiume Chienti. Alle ore 11,00 le nostre pattuglie, che erano state mandate in avanti, raggiunsero Civitanova Marche nel settore della 3° Divisione Carpatica e S. Lucia nel settore della 5° Divisione Kresowa”. Il giorno precedente, a quest’ultima era stato assegnato un reggimento corazzato, mentre i Lancieri di Carpazia erano passati sotto il comando della Divisione Carpatica. Direi dunque che Civitanova fu liberata il 30 e i primi a giungere in città furono i Lancieri di Carpazia. Erano esploratori e, quindi, precedevano il grosso. Diversamente può essere andata, però, per altre parti del territorio del comune assegnate alla Kresowa.

Il museo della Resistenza di Caldarola (che ha anche un contributo di Umberto Pancotto di Montecosaro, un iscritto all’Anpi) oggi è chiuso per il terremoto. Come salvarlo dall’oblio e farlo conoscere di più?
L’augurio è che si possa riaprire al più presto e che tutti i paesi colpiti possano tornare a rivivere al meglio. Suggerirei la creazione di una rete di luoghi e centri significativi della Resistenza, inseriti in un circuito di visite, sia a scopo didattico delle scuole che negli itinerari turistici. Quello di Caldarola potrebbe collegarsi proficuamente col museo della resistenza di Falconara Marittima, il primo caratterizzato da un prezioso patrimonio d’arte di grandi autori, il secondo da un materiale documentario di cultura, al cui centro c’è l’armamento di una banda partigiana delle Marche fortunosamente conservatosi, unico in Italia.

Oggi gli ideali e i valori della Resistenza sono scivolati in secondo piano?
Molto è stato fatto scientemente in questi decenni per “rottamare” il ricordo e i valori della Resistenza. Tuttavia quel periodo ha inciso profondamente col suo principale lascito che è la Costituzione, che chi ha provato a stravolgerla ha fatto naufragio di fronte all’espressione della volontà popolare. Ciò fa guardare con qualche ottimismo al futuro, anche se la crisi strutturale dell’economia del profitto favorisce il riemergere di pericolose ideologie belliciste e razziste, con imprese belliche esterne e all’interno guerre tra poveri. Passano pressoché incontrastati sperperi sempre maggiori per le spese militari, mentre, ad esempio, non si trovano i fondi necessari a una sollecita ricostruzione delle zone terremotate.