Franco De Donno (da https://www.ilcorrieredellacitta.com/wp-content/uploads/2017/09/21433099_ 381868112232291_7635281749981002281_n-640×640.jpg)

«La mafia ad Ostia c’è da tempo, almeno dall’inizio dell’anno 2000, quando con Tano Grasso abbiamo aperto lo sportello antiusura, ma Ostia non è mafiosa» sottolinea Franco De Donno, l’ex parroco di Santa Monica che alle recentissime elezioni per il rinnovo del municipio romano è stato il candidato presidente della lista “Laboratorio civico X”, che ha portato a casa un lusinghiero 8,6 per cento di consensi”. L’ex don misura le parole e nel clamore sui fatti delle ultime settimane, vuole distinguere il grano dal loglio. E il grano – le cose buone, le esperienze positive, la voglia di legalità – in questa estrema propaggine di Roma ve n’è più di quanto si possa pensare. Insomma, non ci sono solo gli Spada, i Fasciani, gli agguati in pieno centro pistola in pugno, i regolamenti dei conti tra la mafia autoctona. Non c’è solo il controllo degli Spada su Nuova Ostia. «C’è anche, e maggioritaria nella società, una voglia di riscatto che la politica – dopo due anni di commissariamento del municipio – deve saper raccogliere».

Criminalità e politica, come spezzare questo rapporto venefico che ha inquinato le istituzioni per anni? Basterà mandare l’esercito ad Ostia per fermare il far west sul litorale?

Può essere utile, ma non basta. Bisogna fare rete con l’associazionismo in maniera da far emergere la quantità oltre che la qualità delle persone impegnate nel sociale. Perché la mafia si sconfigge anche con una moltitudine di persone che si mettono assieme e che fanno argine al malaffare. Se, invece, siamo in ordine sparso, se stiamo in silenzio, se ci chiudiamo in casa, lasciamo uno spazio libero a chiunque lo voglia occupare per le proprie scorribande e i propri interessi economici.

Pochi giorni fa a Nuova Ostia c’è stato un blitz delle forze dell’ordine: 250 uomini impegnati nel territorio degli Spada. Basterà a far sentire ai cittadini perbene di quel quartiere che lo Stato c’è?

Questo dispiegamento di forze andava messo in campo prima della famosa testata di Roberto Spada. Tutte le cose per cui le forze dell’ordine sono intervenute le conoscevano già. Bene ha fatto il capo della Polizia Gabrielli a dire che quello del 28 novembre non deve essere uno spot (il 29 novembre c’è stato infatti un nuovo intervento di polizia e carabinieri con perquisizioni mirate coordinate dalla procura di Roma, ndr), ma a mio avviso, oltre allo Stato in divisa, gli abitanti di Nuova Ostia devono poter vedere anche lo stato sociale. Serve costruire un retroterra sociale, politico e culturale. In altre parole, la liberazione del territorio dalla presenza soffocante della malavita passa soprattutto per la riqualificazione di Nuova Ostia, la creazione di opportunità lavorative per i ragazzi del quartiere, l’apertura di spazi di socialità.

Roberto Spada, attualmente in carcere di massima sicurezza (da http://1.citynews-romatoday.stgy.ovh/~media/original-hi/66586584694838/robertospada-2.jpg)

Dove non c’è lo Stato, con la sua presenza, con le sue norme, si fa strada l’antistato. È accaduto così anche a Ostia?

La mafia si affronta stando perennemente all’attacco. L’istituzione su questo territorio ha dormito per un po’ di tempo, oppure si è distratta in questioni tutte interne. E mentre i partiti si sfidavano in schermaglie vuote, in pure rappresentazioni teatrali lontane anni luce da un’idea di bene comune, si è fatta spazio la criminalità. Una criminalità – la storia ce lo insegna – che mentre imponeva le sue regole ha finito per costruire attorno a sé un sistema mistificante di valori in cui tutto si è capovolto. Il mafioso è assurto al ruolo di “benefattore”. Vuoi un lavoro e lo Stato non te lo dà? Ci pensano loro. Vuoi una casa? Eccoli lì pronti a dartela. È quello che è successo per anni a Nuova Ostia senza che le istituzioni dicessero o facessero alcunché per interrompere questa spirale. La legalità non può essere solo lo slogan di una marcia, la legalità la dobbiamo vivere e respirare ogni giorno come chance di cambiamento e riscatto.

Roberto Spada oggi è in un carcere di massima sicurezza. La magistratura romana ha riconosciuto il metodo mafioso, come aggravante all’aggressione nei confronti della troupe Rai. Quanto ha pesato il sostegno degli Spada nel successo elettorale di CasaPound?

Lo Stato sapeva, conosceva, non doveva aspettare la testata per intervenire. Detto questo, mi preme sottolineare che a Nuova Ostia, che viene troppo semplicisticamente tratteggiata come un dominio degli Spada, circa l’83 per cento dei votanti non ha votato CasaPound. Si parla del circa 18 per cento raccolto da Marsella, eppure occorrerebbe anche ricordare la stragrande maggioranza degli elettori che ha scelto diversamente (e anche i tantissimi che hanno espresso il loro malessere rispetto alla politica con l’arma del non voto). Uomini e donne che non hanno ceduto ai richiami fascistoidi o alle pressioni malavitose e che aspettano una risposta. Adesso. Perché l’innegabile affermazione di CasaPound ci parla certamente di una capacità comunicativa di questi cosiddetti fascisti del terzo millennio – che hanno peraltro iniziato la campagna elettorale mesi prima – ma ci interroga soprattutto sull’assenza della sinistra. CasaPound ha saputo riempire quel vuoto lasciato dalla sinistra, facendo leva sulla disperazione e sul disagio sociale, non per risolverli ma, al contrario, per soffiarci sopra e alimentare razzismo e intolleranza.

Con la tua lista hai preso l’8,6 per cento. Un risultato per molti aspetti eccezionale.

Sì, tanto più che la lista è nata a ridosso del voto. La mia candidatura è stata considerata da subito “di estrema sinistra”, anche se abbiamo sempre rimarcato che eravamo una lista civica apartitica. Non a caso CasaPound ha individuato in me e nella lista che mi sosteneva il nemico, l’antagonista da colpire e denigrare. Nel X municipio i collegamenti diretti tra cittadinanza e politica si sono slabbrati: noi ci siamo proposti di recuperare quel rapporto, di fare il primo passo verso le persone e i loro bisogni ignorati, di fare davvero di Ostia un municipio aperto alle istanze migliori che si levano dalla società.

Da http://www.wakeupnews.eu/wp-content/uploads/2013/02/329551_scritta-muro-pro-astensionismo1.jpg

Il 5 novembre solo il 36 per cento degli aventi diritto si sono presentati alle urne e ancora peggio è andata col ballottaggio, dove ha votato appena il 33,6 per cento dei cittadini. Ha ragione chi dice che ad Ostia il vero vincitore è l’astensionismo?

L’astensionismo è un dato che deve preoccupare tutti. Se un cittadino rinuncia al diritto-dovere del voto è perché ritiene che la politica sia incapace – e anche indifferente – rispetto ai suoi bisogni e alle sue aspettative. L’astensionismo è figlio del “sono tutti uguali”. La gente è stanca delle promesse e delle parole, di una politica fatta non come servizio alla collettività, ma come forma di privilegio e arricchimento personale. Ecco allora che compito nostro è mostrare che non è vero che siamo tutti uguali, che ci sono idee diverse di società su cui le persone sono chiamate a confrontarsi e a partecipare. L’esito del voto deve far riflettere tutti, a partire da chi ha vinto: più che dei bei discorsi è il momento di mettersi in ascolto. E dopo aver ascoltato assumersi la responsabilità delle scelte.

A poche ore dalla chiusura delle urne il M5S ha fatto una parziale retromarcia sul lungomuro di Ostia: ci vorranno almeno due anni per abbatterlo. Quanto pesano i balneari sul Lido di Roma?

Io spero che i balneari, che per troppo tempo hanno fatto il bello e cattivo tempo, capiscano che devono avviare un dialogo costruttivo con le istituzioni. Quanto al lungomuro, una soluzione immediata si può mettere in campo già da domani: allargare i varchi a mare, che adesso sono angusti budelli di appena un metro, a 5-6 metri. Sarebbe un segnale importante che il mare ha smesso di essere ingabbiato e torna alla libera fruizione dei cittadini romani.

Una suggestiva immagine del pontile di Ostia (da https://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/0a/a7/8c/3e/pontile.jpg)

Hai sostenuto che «la democrazia è essere antifascista». Una affermazione che nei tempi in cui viviamo, soffocati da relativismo d’accatto e interessate marmellate ideologiche sulla fine della dicotomia fascismo/antifascismo, suona quasi scandalosa.

La democrazia non è una margherita che si può sfogliare a piacimento, “via questo che non mi garba, ci metto quest’altro”. La democrazia va presa in toto come una realtà che ci garantisce la libertà e l’eguaglianza e soprattutto ci insegna che per portare avanti un progetto bisogna passare per la condivisione e l’ascolto. E aggiungo che la democrazia non si esaurisce nel solo momento elettorale, ma vive e respira ed è tanto più forte quanto più i suoi principi attraversano la società. Questo per dire che non necessariamente partecipare a una competizione democratica dà una patente di democratico. Il fascismo e i movimenti che ad esso si richiamano non sono meno pericolosi per il fatto di partecipare alle elezioni. Con il fascismo, con una ideologia e una pratica che utilizza ed esalta il metodo della violenza, non si può dialogare. L’errore dei nostri tempi è considerare il fascismo un’opinione tra le tante. No, il fascismo non è una opinione, è un sistema che nega alla base il principio delle libertà e contro cui le democrazie si devono difendere.

Da prete di strada, spesso in conflitto con le istituzioni locali, a consigliere municipale. Come pensi di trovarti ora nella veste del politico?

Sono circa 25 anni che conduco battaglie per dare voce a chi non ha voce. Ho consumato le scarpe per incontrare le persone, per ascoltare le loro storie e raccogliere le loro richieste. Ed è esattamente quello che intendo continuare a fare.

Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra; oggi collabora col Venerdì di Repubblica