Per parlare di Bruno Neri bisogna partire per forza dalla fine, a Gamogna nella Romagna toscana, un pugno di case in pietra vicino a Marradi.
Ci sono gli alberi in fiore, fa molto caldo e la luce del sole filtra tra i rami rischiarando uno spiazzo dove si trova, riverso a pancia in giù, il vicecomandante Berni del Battaglione Ravenna. Al suo fianco, anche lui esanime, il comandante Nico. Questi altri non è che il partigiano Vittorio Bellenghi, l’altro invece, il Berni, è proprio Bruno Neri.
Nato nel 1910 a Faenza, da quando era piccolo non aveva fatto altro che correre dietro un pallone, tanto da arrivare in Serie A alla Fiorentina. Ma per raccontare veramente chi, ma anche cosa, è stato Bruno Neri è obbligatorio partire da Gamogna. Dalla perlustrazione che lui e Bellenghi, detto Nico, devono fare sul Monte Lavane per recuperare dei pezzi di un aviolancio degli alleati. Da quel 10 luglio 1944 in cui, a soli trentaquattro anni, il petto di Bruno Neri che tanti palloni aveva stoppato nella sua florida carriera di mediano, non è riuscito a far forza contro le raffiche degli Schmeiser nazisti. Per parlare di Bruno Neri bisogna parlare di Resistenza.
Nel 1931 la Fiorentina gioca allo Stadio Giovanni Berta la gara inaugurale del nuovo impianto, la cui costruzione è stata fatta ad hoc per il Duce, tanto che a vederlo dall’alto il Berta non è altro che un gigantesca D che pullula di fascistissimi tifosi. Sono anni ruggenti per il fascismo, a nove anni dalla Marcia su Roma ormai il potere è stabilmente nelle mani di Benito Mussolini e ogni attività contraria al regime è vista di cattivo occhio e, dunque, rimessa in riga a suon di maniere forti. In quel pomeriggio del 1931 a Firenze ci sono tutte le autorità fasciste anche se manca il Duce in persona, del quale si era vociferata la presenza. Nella Viola gioca un giovanissimo centrocampista nato a Faenza e cresciuto nel Faenza – anche se a dire il vero aveva la passione per le auto e aveva studiato agraria. Dopo il passaggio al Livorno era approdato alla Fiorentina della quale era il perno davanti alla difesa. Bruno Neri si chiama, e quel giorno del ’31 ha deciso che per lui anche un semplice saluto è un atto di propaganda da combattere.
Le squadre si schierano in campo e quando c’è da tendere il braccio Bruno Neri rimane con le mani ai fianchi, conscio di aver dato una piega decisa alla sua carriera e alla sua vita. Neri, nonostante il cognome possa indurre in errore, ha un cuore rosso e grande come quello di un bove.
È antifascista, dichiaratamente e orgogliosamente antifascista.
Bruno Neri è calciatore ma sotto a quella maglia viola c’è un uomo con degli ideali e anche degli interessi. Si dice che frequenti degli ambiti particolari del mondo dell’arte e della cultura: ama Montale, studia Campana, legge un giovane Pavese, si diletta di pittura e anche di recitazione, intrattenendosi spesso con attori o artisti. Non è un semplice mediano, riesce a coniugare la sua straordinaria abilità di interdizione sul campo a una raffinatezza culturale senza eguali, atipica anche negli anni Trenta. Gioca anche in Nazionale il Neri, tre partite tra il 1936 e il 1937 prima di passare al Torino e chiudere la carriera giusto qualche anno prima che il Toro diventi la squadra più forte della storia d’Italia. Lascia il calcio, definitivamente: rileva a Milano un’officina e la porta avanti finché i tempi lo permettono. Poi, per un terribile scherzo del destino si trova ancora a dover lottare con gli avversari, a parlare di manovre di accerchiamenti, di attacchi e di difese.
Stavolta però il calcio non c’entra e la battaglia non è metafora di pressing asfissiante e di ruvidità da mediano, è quella vera, è la guerra. La guerra sui monti.
La fascistissima Italia decide di rimanere a guardare e spera in una blitzkrieg degli alleati nazisti, un gesto veramente onorevole per una nazione che fa dell’intrepidezza e dell’orgoglio i suoi massicci punti di forza. Al momento dell’entrata in guerra Neri ha già ripreso contatti con il calcio perché nel tempo libero allena il Faenza, ma segretamente collabora con le forze antifascista, con le mani mai protese verso il cielo, semmai serrati in un pugno e, forse, nascoste nelle tasche. Il cugino Virgilio gli fa conoscere Giovanni Gronchi e don Luigi Sturzo e, proprio grazie a queste nuove amicizie, dopo l’armistizio di Cassibile del 1943 Neri sa che scelta fare: quella giusta.
Niente Salò, si va sui monti a fare resistenza ai nazisti e ai fascisti.
Dino Fiorini per dirne uno è un centrocampista del Bologna e si aggrega ai repubblichini, non lo ritroveranno mai anche se è certo che sia stato fucilato. Neri è un uomo contro, un mediano che, per quanto il ruolo del mediano imponga certi dettami precisi e rigidi, si ribella alle convenzioni.
Tornato nella sua Faenza, Bruno sotto la copertura lavorativa di un officina meccanica e di allenatore della compagine locale, diviene ben presto punto di riferimento.
Scoperto dal regime, sale sugli appennini tosco-emiliani ricoprendo il ruolo di vice comandante del battaglione Ravenna assumendo il nome di Berni.
Il “Ravenna” si segnalò nel recupero dei aviolanci alleati una prima volta, il 10 giugno 1944 sul monte Castellaccio, quindi in una analoga operazione il 23 giugno successivo e, in fine preparandosi per un lancio previsto tra il 16 e 20 luglio ‘44 sul monte Lavane.
Il 10 luglio 1944 in perlustrazione con il comandante Vittorio Bellenghi “Nico”, ove verificare il territorio per lo spostamento del battaglione, è intercettato dalle forze nazifasciste all’Eremo di Gamogna nel comune di Marrani.
È con Bellenghi a Gamogna, fuma un bel po’ di sigarette mentre imbraccia lo Sten. Non sente arrivare i nazisti, forse non sente nemmeno la raffica che gli attraversa il corpo.
A Bruno Neri sono state dedicate negli anni molte iniziative ed altre si stanno organizzando.
Nella sua città, Faenza, il Consiglio comunale in data 11 luglio 1946 gli ha dedicato lo stadio comunale.
Nel 1955 una lapide è stata apposta sulla facciata della casa natale, in corso Garibaldi 22.
Risale invece in occasione del quarantennale (1994) della sua uccisione, il cippo monumentale in suo ricordo e di Vittorio Bellenghi, posto nel luogo ove vennero uccisi all’Eremo di Gamogna nel comune di Marradi.
Nel ventesimo anniversario della fondazione (4 maggio 1968) del Toro Club Faenza Valerio Bacicalupo è stato pubblicato in collaborazione con il Comune di Faenza e dell’allora presidente dell’A.C. Torino Calcio Mario Gerbi, il libro “Bruno Neri atleta e partigiano”.
Un altro libro “Bruno Neri il calciatore partigiano e altre storie di sport e guerra” scritto da Massimo Novelli è stato pubblicato nel 2002 a cura dell’editrice Graphot.
La compagnia teatrale Faber teater con testo di Beppe Turletti, ispirandosi al libro del Torino club Faenza e ai racconti di Lisandro Michelini, ha realizzato nel 2004 lo spettacolo “Bruno Neri calciatore partigiano”.
“L’ultimo tackle”, testo di Domenico Mungo, eseguita dalla banda rock Totòzingaro Contromungo è la canzone dedicata a Neri nell’album “ la grande discesa”.
Sempre a Neri nel 2017 la Casa della Musica – MEI – in collaborazione con la Regione Emilia Romagna ha dedicato un concorso musicale nell’ambito di Materiale Resistente, conclusosi con tre spettacoli ed un album contenente le canzoni vincenti.
Dal 2016 il Toro club Faenza Valerio Bacicalupo e l’Associazione Bruno Neri organizzano nel mese di maggio un Memorial presso lo stadio San Rocco.
Sulla storia di Bruno Neri, un video in lingua inglese è stato realizzato da California Granata.
Nel 2017 il docufilm “L’allenatore errante”, regia di Pier Dario Marzi ed Emmanuel Pesi, dedicato all’allenatore Erno Egri Erbstein che allenò Neri alla Lucchese e poi al Torino, contiene alcune immagini, storie e curriculum del giocatore.
Una maglia di Bruno Neri indossata in un incontro della nazionale italiana, è esposta presso il Museo del Grande Torino e della leggenda Granata attualmente ospitato presso Villa Claretta di Grugliasco (Torino).
Renato Appiano, vicepresidente Anpi provinciale di Torino
Pubblicato martedì 23 Aprile 2019
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