La storia di Tina Anselmi è una storia di una donna, di passione civile, di coraggio e di integrità. Una storia di antifascismo. Quell’antifascismo terreno fertile per le democrazie dell’Europa. Il miglior modo per onorare l’Anselmi è portare avanti il suo monito: “La storia si ripete. Non c’è niente e nessuno che ci possa salvare da una storia il giorno che noi questa storia la tradissimo proprio nella memoria”. La Tina può essere un modello virtuoso per le ragazze (e ragazzi!) di oggi, futuri cittadine e cittadini; per le donne e gli uomini che saranno la classe dirigente di domani. Nei giorni, mesi, anni, successivi alla sua morte sono stati ricordati tutti i suoi traguardi come partigiana, come donna, come ministro. Nelle interviste circolanti sul web, la si ricorda come una donna divertente e spiritosa, umile e riservata. Dalle foto che la ritraggono, la si vede sempre sorridente. Balza a un occhio attento però il suo carisma, la sua passione, la sua grazia: intesa come atteggiamento ma anche come profonda fede. Anselmi era un’esponente di quel cattolicesimo democratico che seppe unire la fede e la laicità: senza mai fare un passo indietro in nessuna delle due, ma sapendo discernere quando era necessario farne uno di lato, come quando da Ministra della Sanità firmò la Legge 194 nonostante personalmente fosse contraria ma volendo rispettare, senza se e senza ma, la volontà del Parlamento.
Tina era una donna normale che ha fatto cose straordinarie: lei stessa scrive in Storia di una passione politica: “nella normalità trovammo la forza per opporci all’orrore, il coraggio, a volte mi viene da dire la nostra beata incoscienza. E così alla morte che ci minacciava, che colpiva le famiglie, gli amici, i paesi, rispondemmo con il desiderio di vita”. Tina aderì alla Resistenza (e prese come nome di battaglia “Gabriella”) quando il 26 settembre del 1944 la obbligarono ad assistere, insieme ai compagni di scuola, all’esecuzione di alcuni prigionieri politici in quella che è oggi Piazza dei Martiri, a Bassano del Grappa. Capì di non poter più stare in silenzio, di non poter più essere indifferente. Da staffetta portava i messaggi tra le varie brigate partigiane. Tina che in bicicletta percorreva le stradine fra Treviso e Padova, a continuo rischio cappio, e che un giorno decise di farsi dare un passaggio da un camion di nazisti, raggirandoli con la scusa di avere un sacco di libri pesanti dentro la valigia. Tina che usciva con la pistola nella giacca, pregando di non dover ammazzare. In uno struggente passaggio dell’intervista La Bicicletta di Gabriella, lo ricorda con queste parole: “Avremmo fatto volentieri a meno di rischiare di morire uccisi o di uccidere. Noi volevamo vivere: amavamo la vita. Intorno a noi c’era la morte ma non dentro di noi. Basta leggere le lettere dei condannati a morte per rendersi conto di quanto fosse forte l’istinto di vita e ingiusta la morte”.
Le condizioni dei combattenti erano dure, ma in modo particolare lo erano per le donne: molte le partigiane infatti che subirono violenza di genere. Tina era una appassionata sostenitrice della Repubblica delle donne: ne aveva colto infatti il potenziale inespresso, fondamentale oggi come nella Resistenza. Tina partecipò alle campagne Pro Voto. Fu sindacalista e si interessò alle condizioni di lavoro delle filandiere. Prima donna Ministro della Repubblica Italiana, sua è una delle prime leggi sulle pari opportunità e ne sostenne una all’avanguardia in Europa sul congedo di paternità. Da Ministra della Sanità è tra i principali autori della riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale. Nel 1978 guidò in Cina una delegazione tutta al femminile, tra cui Emma Bonino, Susanna Agnelli e Dacia Maraini. Anselmi era una donna che accettava le diversità con grande curiosità: traspare un’autentica attenzione per l’umano.
Tina non ha mai smesso di essere una resistente: prima alla dittatura di Mussolini, poi alla P2. Il suo essere una “Tina vagante”, la sua indipendenza dalle logiche di corrente, di partito e dalla gerarchia ecclesiastica, probabilmente l’ha salvata quando assunse la missione più rischiosa di tutta la sua vita, la Presidenza della Commissione d’inchiesta sulla Loggia Massonica P2. Le ha permesso di rimanere integerrima, con la schiena dritta, nonostante tutto ciò che sentiva, vedeva ed intuiva man mano che si scoprivano gli elenchi con i nomi degli iscritti alla Loggia; nonostante fossero coinvolte personalità di alto lignaggio, uomini che lei conosceva, esponenti del suo stesso partito. Davanti alla Commissione d’inchiesta sfilarono in molti, tutti uomini. La Commissione si concluse con l’approvazione della Legge Anselmi (“Norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento della associazione denominata Loggia P2”) in vigore ancora oggi.
La notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 2016, l’Italia ha perso la sua colonna, la sua roccia, la sua santa protettrice laica. Siamo tutti un po’ più soli. È la donna che ha fatto scudo alla democrazia dell’Italia con la sua intera esistenza; che ha difeso più strenuamente la Costituzione. Nelle notti della Repubblica, Tina ha testimoniato la sua fede: la sua fede per l’avvenire democratico di un Paese tanto bello, quanto martoriato. E non ha ricevuto l’unico vero riconoscimento adeguato: la Presidenza della Repubblica. Non è mai stata fatta nemmeno Senatrice a vita. Chi più di lei ha onorato per alti meriti la Patria?
Colei che, per la prima volta, ricoprirà la massima carica dello Stato, forse si guarderà alle spalle e vedrà Tina, sulla sua bicicletta, sorridente a darle fiducia.
La vita di Tina Anselmi dimostra essenzialmente due cose. La prima è spirituale: la necessità per il cristianesimo di esempi di laici che vivono in santità invece che di più santi. La seconda è civile: la necessità della vigilanza. “Nessuna vittoria – diceva – è irreversibile. Dopo aver vinto possiamo anche perdere, se viene meno la nostra vigilanza su quel che vive il Paese, su quel che c’è nelle istituzioni”. È un suggerimento valido anche oggi. È come se ammonisse tutti, anche le ragazze e i ragazzi nati troppo tardi per stringerle la mano, quando si domandava: “Cosa faccio io per lo Stato?”. Quanti di noi si pongono queste domande? Quanti hanno il coraggio di rispondere? Di prendere in mano il Tricolore? Di cantare in pubblico Bella ciao, magari piangendo? Di contribuire alla vita democratica del nostro Paese? È dovere di tutte e tutti, camminare a testa alta seguendo il suo esempio.
Letizia Bricchi, presidente del Centro Italiano Femminile-Provinciale di Piacenza e iscritta all’Anpi
Pubblicato giovedì 16 Novembre 2017
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