Un paio di scarponi militari risuolati e una camicia oppure un paio di calzoni di tela e ben 5mila lire. Questo è quanto viene consegnato a Furio Aceto, militare e partigiano, e a tutti gli altri Volontari della Libertà come “Premio di smobilitazione” all’indomani della Liberazione. La stessa somma era stata erogata ai combattenti della Prima Guerra mondiale nel 1919, annota il comandante Aceto nelle sue memorie, ma “non ci sono commenti – scrive –, tanta è la gioia di essere in vita e la speranza di rifare l’Italia”.

Furio Aceto, generale di divisione e comandante partigiano

In La via della libertà. Storia di un ufficiale che divenne partigiano di Furio Aceto, pubblicato da Terre di Mezzo editore, diario vincitore del Premio Pieve Saverio Tutino 2021, traspare pagina dopo pagina l’amore autenticamente patriota e puro per una terra da condurre al sicuro, fuori dall’incubo del fascismo al costo dell’estremo sacrificio. Per salvare l’onore perduto. Scegliere da che parte stare, agire con convinzione, se necessario morire.

La storia che narra Furio Aceto nel suo diario è un affresco dell’Italia in cui decine di migliaia di giovani, la stragrande maggioranza dei quali privi di qualsiasi educazione politica, decisero di salire in montagna e diventare partigiani. Aceto, sottotenente, “portastendardo” del Reggimento lancieri di Vittorio Emanuele II, entrato in servizio nel 1942, in uno dei momenti più difficili del Regio Esercito a cui apparteneva con orgoglio, fu costretto subito dopo a scelte drammatiche.

Aceto con questo appassionato memoir  – arricchito da una appendice bibliografica e fotografica  – ci consegna un ritratto storico, morale, civile dell’Italia attraverso la sua esperienza. Queste sue memorie sono state infatti consegnate all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, pochi mesi prima di morire, nel 2020. In questo dono per coltivare la memoria civile c’è tutta l’urgenza di voler tramandare a chi verrà dopo la lotta contro i soprusi, la tirannia, le ingiustizie. Furio Aceto, giovane ufficiale monarchico, deve scegliere se aderire alla Repubblica di Salò o darsi alla macchia. Dopo aver partecipato alla difesa di Roma nel settembre 1943, sceglie la Resistenza armata. Come già ha deciso prima di lui il fratello Ezio. Il giovane Furio, dopo mille peripezie, contribuirà alla liberazione di Savona nel luglio del 1945.

Partigiani nelle Langhe

Fresco di matrimonio con l’amatissima Vittorina, Aceto sceglie quindi il dovere e l’abnegazione per consegnare un’Italia libera ai suoi cari. “Mia moglie segue i miei ragionamenti e comprende: appare combattuta tra infiniti timori e considerazioni contrastanti, ma accetta la mia decisione di tornare in montagna. La sua gravidanza – racconta Aceto – le impedisce ormai di seguirmi come ha fatto nei primi mesi della nostra resistenza disarmata”.

Nel diario, oltre alle precise spiegazioni strategico-militari, viene fuori il ragazzo, l’uomo che si fa strada facendosi, in montagna, protagonista della storia nel suo particolare percorso in mezzo agli altri con i dubbi e le riflessioni a caldo su tutti gli incontri svolti, tra altri uomini e donne inquieti in un tempo difficile. “La mia attuale vita è umiliante e precaria – scrive a un certo punto – ma sono risoluto a non scambiarla con quella tranquilla e sicura che potrei ancora ottenere con il semplice giuramento formale alla Repubblica Sociale. Mi sono deciso – continua Aceto – per la strada difficile, piena di incognite, ricca solo di speranze e dignità, verso la resistenza armata. Prevalgono in me la coscienza del patriota, il sentimento dell’onor militare e la ribellione all’arbitrio nazifascista”. In queste poche annotazioni, ferme e cariche di orgoglio, Aceto mostra la difficile scelta di lasciare gli affetti familiari e dare il suo contributo in montagna.

Il pathos che accompagna i momenti più drammatici de La via della libertà. Storia di un ufficiale che divenne partigiano tiene il lettore con il fiato sospeso. Immaginiamo la madre del giovane Aceto che con la tristezza in petto accompagna il figlio per la via della montagna senza sapere se lo rivedrà. “Un milite chiede dove andiamo. Mia madre risponde: A cercare viveri per i miei figli. Penso al dramma che lei sta vivendo in questo momento pieno di incognite, in cui la mia vita è in gioco”, annota nel diario.

E ancora, dopo il saluto con la madre. “Un montanaro mi invita a seguirlo e, salita una stretta scala nella casa vicina, mi presenta a un giovane che giace tutto vestito e con gli scarponi ai piedi sopra un lettuccio di ferro. Questi mi guarda e mi chiede il biglietto di presentazione. Dopo averlo letto, mi porge la mano dicendomi: Benvenuto in montagna. Poi mi affida alla mia guida – continua –. Il mio accompagnatore prende due sacchi di lardo da un nascondiglio e me ne porge uno, aiutandomi a legarlo sopra lo zaino”.

La battaglia per la difesa di Roma

Ecco che la scelta si compie, Aceto diventa sceneggiatore del suo periodo in montagna, la descrive minuziosamente non solo come senso di scoperta ma perché sembra intuire che la sua storia e le sue gesta saranno parte della grande storia.

Prima di consegnare le sue dense memorie all’archivio – in questo secolo che è condannato a incasellare, a spiegare, a tramandare e a custodire tutto quanto accaduto nel maledetto “Secolo breve” perché non accada ancora e ancora – Aceto si lascia andare nel testo a delle riflessioni sul “post” in quello che nel volume viene intitolato Epilogo. Nel quarantennale della Liberazione. Qualcuno nel leggerle potrà pensare a riflessioni amare, ma la parola che più viene in mente è onestà: “Anche nei momenti crudi, io non ho mai odiato i nemici, se non per brevi istanti di fronte ad assurde efferatezze. Ma ho combattuto il male – scrive – dove si manifestava, usando le armi, ma deponendole non appena l’avversario non poteva più nuocere”. Infine confessa: “Certo non è questa l’Italia che sognavamo: la democrazia non è questa licenza, questa incoerenza demagogica, questa ingiustizia sociale, questa corruzione, questa violenza assurda di estremisti fanatici e velleitari”, aggiunge.

Partigiani liguri (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Tutti i sacrifici compiuti dai “ragazzi in montagna” riuscirono a bloccare circa metà delle divisioni tedesche scese in Italia e quasi tutte le forze della Repubblica di Salò, impegnandole nella difesa degli obiettivi militari e delle vie di comunicazione, nonché nella lotta specificamente antipartigiana. “Così noi Resistenti armati dimostrammo al mondo intero che non tutto il popolo italiano era fascista”.

Antonella De Biasi, giornalista e autrice di vari libri tra cui: “Astana e i 7 mari – Russia, Turchia, Iran: orologio, bussola e sestante dell’Eurasia”, Orizzonti Geopolitici, 2021; e “Zehra – la ragazza che dipingeva la guerra”, Mondadori, 2021