Da http://amisnet.org/agenzia/2014/01/31/porrajmos-sempre/tumblr_lihcult4up1qh2eobo1_1280/#main

Il 16 maggio del 1944 ad Auschwitz ci fu una rivolta. Nello Zigeunerlager, “il campo degli zingari”, avvenne l’unico episodio di resistenza in un lager. Le SS quel giorno avevano intenzione di sterminare circa 5mila uomini, donne e bambini, tra rom, sinti e manush, a cui era stato permesso di stare insieme, nelle stesse baracche, ultimi tra gli ultimi.

Le condizioni di vita nel settore occupato dai rom e sinti ad Auschwitz-Birkenau contribuirono al diffondersi delle epidemie di tifo, vaiolo e dissenteria che decimarono la popolazione del campo. Alla fine di marzo, le SS uccisero nelle camere a gas circa 1.700 rom, giunti pochi giorni prima dalla regione di Bialystock. Molti di loro erano già malati. Così quel giorno di primavera, il 16 maggio del 1944, gli amministratori del campo decisero di trucidare tutti gli abitanti dello Zigeunerlager.

Le guardie delle SS circondarono il settore nel quale vivevano i rom, per impedire a chiunque di fuggire. Quando fu loro ordinato di uscire, i rom e i sinti si rifiutarono perché erano stati avvertiti delle intenzioni dei tedeschi e si erano armati di tubi di ferro, vanghe e altri attrezzi usati normalmente per il lavoro.

I capi delle SS decisero così di evitare lo scontro diretto con quei rom caparbi e stremati e si ritirarono. Dopo aver trasferito 3mila tra rom e sinti ancora in grado di lavorare ad Auschwitz I e in altri campi di concentramento in Germania, tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate 1944, il 2 agosto le SS deportarono i rimanenti 2.898, come si legge sul portale dell’Holocaust Memorial Museum degli Stati Uniti. La maggior parte di quei prigionieri era costituita da malati, anziani, donne e bambini. Furono uccisi quasi tutti nelle camere a gas di Birkenau. Un piccolo gruppo di ragazzini che erano riusciti a nascondersi durante le operazioni di trasferimento fu catturato e ucciso nei giorni successivi. Almeno 19mila dei 23mila rom che furono inviati ad Auschwitz morirono nel campo.

Auschwitz

Eppure donne e uomini di un’etnia tanto denigrata ancora oggi – deperita per la fame e il freddo, maltrattata dagli aguzzini, sfiancata dai lavori forzati – riuscì a reagire, ad alzare la testa per non arrendersi alla brutalità e alla morte quel giorno di maggio nel lager. Erano uomini e donne che difendevano i loro bambini con le ultime forze rimaste: «non vi daremo i nostri piccoli perché li facciate uscire dai vostri camini. I vostri medici ne hanno già straziati tanti sperimentando la loro scienza mostruosa su di loro» gridavano, come si legge nella ricostruzione fatta da Davide Casadio, presidente della Federazione rom e sinti insieme in Italia sul suo blog.

Nel discorso pubblico il dolore e lo sterminio subìto dai rom e dai sinti durante il Terzo Reich non ha avuto – nel corso di più di settant’anni dagli eventi – pari dignità con le altre vittime dell’Olocausto. Furono mezzo milione i rom a perire vittime delle atrocità del nazifascismo durante il Porrajimos o Samudaripen, cioè i termini in lingua romaní usati per indicare lo sterminio del popolo rom durante la seconda guerra mondiale. Secondo Franciszek Piper, lo storico che dirige il Museo Statale Auschwitz-Birkenau, la maggior parte dei rom e sinti sono morti di fame e malattie. Dopo gli ebrei e i polacchi, i rom sono stati per numero il terzo gruppo nazionale sterminato dai nazisti ad Auschwitz-Birkenau.

Ad Auschwitz intere famiglie vivevano ammassate nel settore destinato ai rom e sinti.

I medici assegnati a quel complesso, come il capitano delle SS Josef Mengele, ricevettero l’autorizzazione a selezionare soggetti umani tra quei “particolari” prigionieri – considerati di “razza inferiore” – per i loro esperimenti pseudoscientifici. Mengele per i suoi test selezionò gemelli e nani, alcuni provenienti dalle famiglie rom e sinti del campo. Circa 35mila rom, adulti e adolescenti, erano rinchiusi in altri campi di concentramento tedeschi: i medici selezionarono i soggetti per le loro ricerche anche negli altri lager. Gli esperimenti avvenivano o nei campi stessi o in istituti situati poco lontano.

Nell’opera di narrativa Io non mi chiamo Miriam (edizioni Iperborea 2016), che abbiamo recensito su Patria Indipendente, la scrittrice e giornalista svedese Majgull Axelsson, raccontando la storia della protagonista, si è basata su eventi realmente accaduti: in particolare proprio sulla descrizione della resistenza opposta nel settore dei rom e sinti ad Auschwitz. Il documento da cui Axelsson ha attinto si chiama Voices of Memory 7: Roma in Auschwitz e riporta anche informazioni sulla cosiddetta “notte degli zingari” in cui appunto si consuma la vendetta nazista alla Resistenza dei rom nella quale, tra il 2 e 3 agosto 1944, circa in 3mila vennero uccisi con i gas e bruciati.

Dopo la guerra, la discriminazione contro i rom continuò in tutta l’Europa dell’est e in quella centrale. La Repubblica federale tedesca determinò che tutte le misure prese contro i rom prima del 1943 erano state misure ufficiali e legittime contro persone che avevano commesso atti criminali e non, invece, il risultato di politiche dettate dai pregiudizi razziali. Questa decisione impedì di fatto il riconoscimento di un risarcimento ai sopravvissuti per le migliaia di vittime rom, sinti, manush incarcerate, sterilizzate e deportate dalla Germania senza aver commesso alcun crimine. La polizia criminale della Baviera, dopo la guerra, prese possesso dei documenti frutto delle ricerche del regime nazista, incluso il registro dei rom residenti nella “grande Germania”. Nel 1979 infine il Parlamento della Germania occidentale riconobbe ufficialmente che la persecuzione dei rom e sinti ad opera dei nazisti era stata motivata dal pregiudizio razziale, consentendo così ai sopravvissuti di poter fare richiesta di risarcimento per le sofferenze e le perdite subite. A quel punto, però, molti tra coloro che avrebbero potuto presentare domanda erano già morti.

Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. È stata redattrice del settimanale La Rinascita. Ha scritto La Spa nell’orto (Ultra – Castelvecchi 2014) e curato il vademecum Il mio nome è ROM. Tutto ciò che devi sapere per non chiamarli “zingari”, con il contributo del programma “Fundamental Rights and Citizenship” dell’Unione Europea