Quando, a fine 2013, abbiamo cominciato a lavorare alla redazione di quello che sta per diventare un patrimonio pubblico, l’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, noi ricercatori abbiamo avuto la netta percezione di essere stati coinvolti in un progetto dalla duplice natura: innanzitutto, avremmo contribuito a un’importante operazione di rilevazione scientifica, facendo confluire in un discorso complessivo i dati che per anni, individualmente o in piccoli gruppi, avevamo raccolto su specifiche esperienze locali e territoriali. Tale discorso avrebbe finalmente fornito le basi storiografiche per un’analisi e un’interpretazione di tipo comparato, che inserisse gli eventi relativi a singoli episodi di strage in un quadro e in un contesto obbligatoriamente nazionale (e quindi potenzialmente sovranazionale ed europeo/mediterraneo). Quindi, per fare un esempio di personale sintesi, avrei finalmente potuto parlare, con cognizione di causa e precisione di dettagli, di ciò che accadde nel 1943 sulla Gustav e nel 1944 sulla Gotica. Un grande risultato, a mio parere.
In secondo, ma non secondario, luogo, è stata netta, fin da subito, la percezione di essere stati coinvolti in un’operazione di ampio respiro e di preciso intento culturale e politico (nel senso bello e aristotelico del termine). A dircelo, era innanzitutto la natura di chi aveva voluto e proposto tale progetto, e di chi aveva fatto del proposito di sostenerlo un impegno irrevocabile: la commissione storica italo-tedesca, innanzitutto, con le sue indicazioni ai ministeri degli esteri dei due Paesi, e quindi il coinvolgimento diretto dell’ANPI e dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia (INSMLI). Qualcosa, nella spesso complicata relazione tra Italia e Germania – una relazione che talvolta inciampa o zoppica proprio (anche se non solo) sulle conseguenze del “passato che non passa” – stava indubbiamente cambiando: la realizzazione dell’Atlante, questo «grande memoriale virtuale» che trasforma le vittime in «uomini, donne, bambini»[1], grazie agli sforzi scientifici ed economici di Italia e Germania, sta permettendo – e lo farà ancora di più dopo la presentazione ufficiale del 6 aprile, quando il lavoro sarà utilizzabile, da tutti, online (http://www.straginazifasciste.it/) – l’inizio di un discorso comune «per giungere a una migliore comprensione del passato»[2], anch’esso comune.
Dell’Atlante, una vera e propria “guida storica” in tutti i singoli episodi di crimini di guerra accaduti in Italia dall’estate del 1943 alla primavera del 1945, conosciamo già alcuni fondamentali risultati[3]: innanzitutto, il numero degli episodi di strage, 5.300, un’enormità se si considerano lo spazio temporale e quello geografico nei quali accaddero queste centinaia di omicidi singoli o grandi eccidi, dai nomi notissimi o finora totalmente ignoti, avvenuti nell’estremo meridione del Paese e nei borghi più remoti del settentrione, ma anche nelle grandi città d’Italia. Poi, il numero delle vittime, che non sarà mai definitivo ma che è ora non solo indubbiamente più certo, ma anche notevolmente superiore a quello che avevamo fin qui ritenuto. Dalle 10-15.000 finora ipotizzate si è passati a 22.000 vittime accertate, un numero che esclude i caduti in combattimento e comprende quindi solo coloro che, inermi, furono uccisi perché catturati e disarmati, ma soprattutto – è la stragrande maggioranza dei casi – perché civili scelti appositamente quale preda di rastrellamenti, oggetto di cosiddette “rappresaglie”, pratiche di terra bruciata, stragi “eliminazioniste” o dirette contro specifiche tipologie di persone (ebrei, antifascisti, religiosi etc.). L’Atlante fornisce i nomi di queste 22.000 vittime e, quando possibile, quello dei loro carnefici, per dimostrare, anche così, che l’indicazione di responsabilità verosimili o accertate è – come ci insegna il lavoro svolto, negli ultimi anni, da una magistratura finalmente “sensibile” – l’unico sistema per sottoporre a giudizio non astratte ideologie, in pratica non condannabili, ma nomi e cognomi di esseri umani, separando da questo ciò che inferno non fu, per dirla pensando a Calvino[4].
Tuttavia, l’Atlante non è solo un censimento memoriale: è, invece e innanzitutto, una fonte da interpretare, come abbiamo fatto noi ricercatori-compilatori, talvolta con non poche difficoltà. Capire perché una strage è avvenuta, con quali modalità, nei confronti di quale tipo di vittime e – abc del mestiere – in che tipo di contesto storico-geografico, è stata la base di partenza del lavoro e il suo concreto svolgimento. Questo perché, lo sappiamo bene, i parametri della folle ira, dell’immane barbarie, della violenza inspiegabile, per i carnefici, e del martirio incolpevole, del sangue, del supplizio e del sacrificio di innocenti, per le vittime, non soddisfano la ricostruzione scientifica né, a ben guardare, la richiesta di conoscenza, memoria e giustizia espressa sempre più frequentemente dalla società civile. Se ci fossimo accontentati di questo, infatti, ci sarebbe bastato sapere che Hitler (e, forse, Mussolini) era morto. A quanto pare, invece, la storia – e chi di essa fa impegno culturale e politico quotidiano, a partire da ANPI e INSMLI – non ha alcuna intenzione di rassegnarsi né al “troppo tardi” del passato che non passa, né alla paura o all’angoscia che sembrano appartenere al presente politico europeo. A questa politica spetta, da tempo, anche il compito di risolvere la questione sospesa della giustizia di transizione, delle sentenze relative a condanne all’ergastolo nei confronti di criminali tedeschi e austriaci, emesse da corti italiane ma non rese esecutive da quelle tedesche. Il “disaccordo” giudiziario tra i due Paesi resta, per l’Unione Europea, una lacerazione profonda, che nessun investimento nella ricerca e nella memoria può autonomamente risolvere.
Isabella Insolvibile, membro del Comitato scientifico dell’INSMLI
Note
[1] C. Silingardi, Lo stato delle cose e i presupposti per la costruzione di una memoria comune, in Le stragi nazifasciste del 1943-1945. Memoria, responsabilità e riparazione, a cura dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), Roma, Carocci, 2013, p. 21.
[2] Raccomandazioni della Commissione, in Rapporto della Commissione storica italo-tedesca insediata dai Ministri degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e della Repubblica Federale di Germania il 28 marzo 2009, in “Patria Indipendente”, inserto allegato al num. del 1° gennaio 2013, p. 45, consultabile online al link http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2013/Rapporto_italo-tedesco_su_stragi_naziste_gen2013.pdf.
[3] http://www.corriere.it/cultura/16_marzo_01/stragi-nazisti-ss-guerra-fascisti-resistenza-partigiani-atlante-pezzino-57ed628c-dfdc-11e5-86bb-b40835b4a5ca.shtml
[4] Penso al Calvino che, ne Le città invisibili, invita a «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno».
Pubblicato lunedì 21 Marzo 2016
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