Bergoglio in partenza per l’Iraq (Imagoeconomica)

Una visita senza precedenti e densa di significati si è conclusa nel migliore dei modi. Papa Francesco ha visitato l’Iraq in piena pandemia, nel suo primo viaggio all’estero nel mondo post-Covid, in luoghi ancora divisi dal conflitto settario e con l’ombra dell’Isis che ha ripreso i suoi attacchi nella regione e in molte città irachene, Baghdad compresa.

Francesco è stato il primo pontefice a visitare l’Iraq sia per portare solidarietà agli ultimi gruppi di fedeli cristiani sopravvissuti a guerre e violenze, alla mancanza di lavoro e diritti, sia per tessere la tela di quel dialogo religioso promessa di un futuro più stabile nell’area mediorientale.

Sono trascorsi esattamente 30 anni dalla fine di Desert Storm, la guerra tra l’Iraq di Saddam Hussein e la coalizione a guida statunitense intervenuta a difesa del Kuwait e l’Iraq è ancora lontano dalla stabilità.

La moschea dell’Imām ʿAlī, celebre santuario di Najaf (wikipedia)

Francesco non è andato in Iraq in quanto Capo dello Stato Vaticano ma come leader della Chiesa cattolica mondiale, hanno sottolineato dal Consiglio iracheno per il dialogo interreligioso. Papa Francesco ha infatti incontrato, nella città santa sciita di Najaf, il grande ayatollah Ali al Sistani, considerato alla stregua di un pontefice dagli sciiti di tutto il mondo. Agli occhi degli iraniani ciò potrebbe sembrare un atto di riconoscimento di Najaf quale riferimento religioso e quindi della guida suprema iraniana Ali Khamenei e non della città iraniana di Qom.

Papa Francesco e lo ayatollah Ali al Sistani

Pochi giorni prima della visita storica, per più aspetti oltre a quello religioso, era stata attaccata la base militare di Balad. Una rappresaglia contro il bombardamento statunitense – il primo dell’era Biden – delle postazioni filo-iraniane in Siria, al confine con l’Iraq.

A febbraio infatti dei razzi avevano colpito la base militare Usa nei pressi dell’aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Nell’attacco un contractor statunitense è stato ucciso e altri sono rimasti feriti.

Un altro passaggio cardine della visita papale è stato il sito archeologico di Ur, luogo che ha dato i natali ad Abramo, padre delle tre grandi religioni monoteiste e che si trova nel governatorato di Dhi Qar da dove nell’ottobre 2019 sono partite le proteste dei giovani iracheni senza prospettive e senza futuro sfociate poi in duri scontri.

Il sito archeologico di Ur (wikipedia)

In questa occasione Francesco ha ricordato le vittime delle persecuzioni e della furia dell’Isis nel nord dell’Iraq: la comunità yazida che ha patito il genocidio con donne, ragazze e bambine rapiti e venduti come schiavi.

Verso la fine dell’impero ottomano, nel 1914, i cristiani erano circa il 24 per cento della popolazione, negli anni Novanta i cristiani residenti nel Vicino Oriente non raggiungevano il 5 per cento. Oggi, in seguito alle guerre in Iraq e Siria, e dopo la crisi in Libano, il numero è ulteriormente diminuito. Prima del 2003 c’erano in Iraq oltre 1,3 milioni di cristiani. Oggi ne sono rimasti meno di 300mila.

Papa Francesco è stato anche nel Kurdistan iracheno, dove ha avuto un breve incontro con il presidente Nechirvan Barzani e con il primo ministro della regione Masrour Barzani. Infine Francesco ha fatto tappa a Mosul, considerata dai miliziani dell’Isis capitale dello Stato islamico e dove è forte la presenza dei cristiani, e poi nella cittadina di Qaraqosh, dove prima della presenza del califfato di Al Baghdadi viveva la più grande comunità cristiana del Paese.

Qaraqosh fu occupata dagli uomini del califfato nel 2014 e sottoposta a una feroce opera di distruzione, la sua popolazione visse in gran parte l’esodo per mettersi in salvo. Qui Francesco ha fatto visita alla chiesa dell’Immacolata concezione, distrutta dall’Isis e ora ricostruita. Nella chiesa è stato accolto da molti fedeli e anche da musulmani, curdi, yazidi, tenendo conto delle precauzioni legate alla pandemia per mostrare al mondo l’immagine di un Iraq multireligioso e multietnico che però oggi deve ancora combattere contro i demoni dell’odio e della sopraffazione, cercando di ricostruire quello che è rimasto nonostante tutto. L’Isis aveva completamente distrutto quella cittadina che ha costituito uno degli esempi estremi di come quei miliziani avevano operato una deliberata cancellazione di tutte le comunità che avevano catturato.

A Mosul

L’importanza della visita di Francesco quindi non va inserita solo nella dimensione religiosa, va sottolineato anche il suo tempismo e le condizioni in cui vivono oggi gli iracheni, colpiti da divisioni e fratture nella sfera politica per non parlare delle difficoltà legate alla pandemia che si moltiplicano in un Paese che non sempre ha accesso ad acqua potabile, elettricità o a un sistema sanitario ed educativo con standard accettabili.

La visita del papa è un appello esplicito a tutte le religioni in Iraq, per tornare sui passi seppure difficili di un dialogo e allo stesso tempo è un messaggio al Medio Oriente e al mondo intero nel segno dell’impegno alla coesistenza e all’accettazione del diverso.

La componente economica fragile e provata dalla guerra e dalla pandemia dell’Iraq ha fatto sì che il governo non possa più provvedere nel breve periodo al pagamento degli stipendi degli impiegati statali, perciò potrebbero ricominciare altre ondate di proteste nel Paese. Il consiglio dei ministri iracheno ha intanto posticipato le elezioni per il parlamento al 10 ottobre 2021 anche per cercare di garantire elezioni libere evitando le ingerenze esterne e allentando il cappio della corruzione dilagante.

Va ricordato che la transizione demografica del dopoguerra dal 2003 ha trasformato il Paese in uno dei più giovani al mondo, più del 60% della popolazione ha meno di 25 anni e di questi il 40% è al di sotto dei 14 anni. La popolazione dell’Iraq cresce di un milione di persone ogni anno. I tassi di disoccupazione si attestano sopra il 35% con quasi il 60% di donne. La disoccupazione giovanile è l’elemento che crea e creerà instabilità nel Paese, nonostante l’Iraq sia uno dei territori più ricchi di petrolio al mondo non riesce a distribuire la ricchezza sempre appannaggio di pochi, tra clan e ingerenze esterne.

In questo scenario pesano le relazioni internazionali del Paese e le azioni future dell’amministrazione Biden: gli Stati Uniti da sempre mirano al contenimento dell’influenza iraniana nel Paese del Golfo oltre naturalmente a continuare nell’opera di sradicamento della minaccia Isis da quei territori. Con l’amministrazione Trump era iniziato un graduale disimpegno dall’Iraq con meno basi e meno soldati. Ma con i recenti attentati, anche a poche ore dalla fine della visita di Papa Francesco, lo scenario resta mutevole e pieno di insidie.