“A conclusione del nostro progetto triennale, dopo i temi della libertà e della uguaglianza, quest’anno affrontiamo quello della giustizia, come obiettivo da perseguire, faro che ci orienta nelle scelte”. Così Romano Colombini, presidente della Commissione scuola Anpi “Dolores Abbiati” di Brescia, presentava il convegno “Obiettivo giustizia” dello scorso anno. Per proseguire: “La giustizia è, infatti, nodo fondante dell’organizzazione comunitaria democratica nei suoi aspetti sociali, economici e ambientali. Ci domandiamo, quindi, che cosa è giusto e che cosa è ingiusto; in base a quali criteri; chi lo stabilisce, perché detiene il potere di deciderlo, in che modo lo si propone o impone. (…) E può sempre verificarsi un duro conflitto tra il senso di giustizia presente nelle consuetudini di un popolo e le leggi promulgate in un singolo Stato, come è ben drammatizzato nell’Antigone, la tragedia greca di Sofocle messa in scena ad Atene nel 442 a.C. (…) Un grave ostacolo sul cammino della giustizia è certamente la criminalità organizzata sempre più diffusa anche in Italia: metteremo a fuoco questo problema”.

Poi la pandemia, il lockdown e la (vana) speranza di poter organizzare nuovamente l’incontro entro la fine dell’anno scolastico. La Commissione “Dolores Abbiati” lo ha riproposto lo scorso 12 marzo in collaborazione con l’ufficio scolastico territoriale di Brescia, con il patrocinio del Comune, dell’associazione “Fiamme verdi” e dell’Aned provinciale, con le stesse motivazioni, con lo stesso impianto, gli stessi protagonisti. È stato dedicato alla memoria di Romano Colombini, che ci ha lasciato nell’agosto del 2020, e che tanto lo aveva voluto, realizzandolo nell’unico modo possibile, in diretta streaming, grazie alla preziosa collaborazione del dirigente dell’istituto Mantegna, prof. Rosa, e del suo staff tecnico.

Claudia Foletti e Davide Bernardi recitano un passo tratto dall’Antigone

L’incontro viene introdotto da Claudia Foletti e Davide Bernardi, già studenti del liceo Gambara, che recitano un brano tratto dall’Antigone, opera emblematica e in linea con i temi trattati. Dopo il saluto degli esponenti delle istituzioni cittadine, la parola va agli allievi, coprotagonisti dell’evento insieme a Enzo Ciconte, scrittore, uomo politico calabrese, docente universitario di storia della criminalità organizzata, un tema, quest’ultimo, anche al centro dell’intervento del professore. Prende avvio il lavoro di documentazione guidato dal prof Molinari: il “gruppo della memoria”, composto dagli allievi del liceo classico Arnaldo, illustra il sistema “mafia”, concentrandosi soprattutto su Cosa nostra e ’ndrangheta. Ne mette in luce le prerogative, le strutture di potere al vertice, ma anche le diramazioni e le modalità di diffusione e penetrazione nelle maglie delle istituzioni e della realtà economico-produttiva.

Un momento della relazione del gruppo di studenti del Liceo Arnaldo

L’analisi si allarga poi all’aspetto giuridico e al complesso rapporto tra mafia, chiesa e religione. Seguono la disamina del binomio mafia-donna, attraverso figure di madri e mogli sia “pentite” sia “complici”, e dello “spettacolo della mafia” in cui si documenta la rappresentazione (spesso non realistica) del fenomeno a opera di cinema, letteratura e musica. Si conclude con “il caso Roma”, a chiarire la presenza della criminalità organizzata nella capitale, con precisi riferimenti al libro del prof. Ciconte, L’assedio.

Introdotti dal prof. Marino Ruzzenenti, che ha fatto da moderatore, gli allievi della classe V sez. I del Liceo scientifico Calini, guidati dalla prof.ssa Felice, esaminano il rapporto complesso tra legge e giustizia, evidenziando come la prima, pur essendo istituto fondamentale per raggiungere e custodire il bene comune, non sempre risulta uno strumento infallibile per perseguire la giustizia. La riflessione degli studenti si focalizza sull’esistenza, nella storia umana, di leggi giuste e leggi ingiuste, analizzando alcuni passaggi in cui le leggi non hanno garantito giustizia per tutti, ma benessere di pochi e sottomissione di molti, mettendo in evidenza quei momenti nevralgici per l’umanità in cui “giusto” non equivale a “legale”.

Un momento della relazione della classe del Liceo Calini

Tra le fonti bibliografiche, L’angelo di Auschwitz di Frediano Sessi, che si affianca a pietre miliari del pensiero e della letteratura, come È lecito mentire? di Benjamin Constant e Immanuel Kant e Se questo è un uomo di Primo Levi. A questi testi c si lega l’analisi di due processi, quello storico di Norimberga e quello al sociologo Danilo Dolci e alla gente di Partinico, del 1956; nel primo caso, infatti, per fare giustizia si è dovuti ricorrere a definire nuove categorie di reati, i “crimini contro l’umanità”, mentre nel secondo caso, l’esame del processo a Dolci, arrestato per lo “sciopero alla rovescia” nella cittadina tra Trapani e Palermo, si mette in luce come, pur in presenza di un buon fondamento giuridico come la Costituzione italiana, si sia agita una lettura “ingiusta” della legge. Lo stesso Calamandrei, nell’arringa di difesa a Dolci sostenne: “Anche qui il contrasto è come quello tra Antigone e Creonte: tra la umana giustizia e i regolamenti di polizia; con questo solo di diverso, che qui Danilo non invoca leggi non scritte”. E ancora l’Antigone di Sofocle dialoga con Mala Zimetbaum, la giovane ebrea polacca detenuta ad Auschwitz con il ruolo di capo interprete che sfruttò la sua posizione privilegiata a vantaggio degli altri prigionieri. Entrambe resistenti a una legge “ingiusta”, a sottolineare l’atemporalità del comportamento etico. A seguire, immagini efficaci e parole incisive sulle leggi razziali della Germania nazista e dell’Italia fascista, con un approfondimento su quelle del lager, dai dettagli iconografici sconvolgenti.

Un momento della relazione della classe del Liceo Gambara

Intervengono con il loro lavoro anche gli studenti della classe V sez. A del Liceo di scienze umane Gambara che, sotto la guida del prof. Marchetti, presentano un’indagine a carattere locale, ma non per questo meno pregnante, per smontare lo stereotipo che la mafia sia un fenomeno che non interessa il Nord. “La mafia vive a cento passi dalle nostre case” ci dicono, consegnandoci una triste, ma ormai acclarata verità: Brescia, con il suo dinamismo economico e i continui scambi di denaro, è territorio della “nuova” mafia. Una mafia di tipo imprenditoriale, che non ha bisogno di ricorrere a gesti eclatanti, che opera attraverso i reati fiscali, con minori rischi e maggiori guadagni. Lapidari, questi studenti scrivono: “La mafia a Brescia agisce non con la violenza, ma con gli F24”. E, nella provincia, il Garda, con le molte opportunità di investimento grazie al turismo, è la migliore “lavatrice” per il denaro sporco proveniente dal narcotraffico. E, Infine si e ci chiedono: “Che fare?”. E rispondono che necessitiamo di indagini scrupolose e professionali sui patrimoni per scoprire gli illeciti. Ma suggeriscono che il che fare? riguarda tutti. E mettono a disposizione bibliografia, sitografia e videografia utili alla documentazione, grafici eloquenti dei beni confiscati alle mafie e del loro riutilizzo e una foto ricca di speranza: un gruppo di giovani in mascherina, volontarie e volontari di Libera, a Padenghe del Garda. Perché qualcosa che si può fare, evidentemente c’è e si fa già!

Il cantautore bresciano Alessandro Sipolo durante l’intermezzo musicale

E Alessandro Sipolo, cantautore bresciano, da sempre vicino all’Anpi di Brescia, si è personalmente confrontato con queste tematiche e ci regala la sua “Le mani sulla città”, canzone che esemplifica gli argomenti trattati nel corso del convegno:

“Cosa ti spinge stasera a parlarmi di Nord? (…)
Cosa ti spinge stasera a parlarmi di noi?
dei nostri scheletri in banca dei nostri silenzi persino dei tuoi
di una madonnina che paga per il suo altare
di una leonessa drogata che traffica sogni, sul lago, la sera
Ma che bell’estate, tutto va bene
le palazzine abusive sorridono in coro
a chi ha già le mani sulla città.”

Il professor Enzo Ciconte durante la sua relazione

E, riorganizzando tutti gli spunti, il prof. Ciconte nel suo intervento ci spiega che il primo fattore del perdurare e dilagare del fenomeno mafioso consiste nell’averne per lungo tempo negata o comunque sottovalutata l’esistenza, connotando il fenomeno perfino di un alone di positività. Proseguendo la sua analisi, lo studioso denuncia l’altro equivoco: la convinzione che la mafia abbia sempre interessato soltanto le zone arretrate del Sud, definendolo un errore storico in quanto, fin dalle sue origini, la mafia caratterizzava anche le zone più floride del Meridione. E cita gli agrumeti della Conca d’oro di Palermo, gli uliveti della piana di Gioia Tauro, luoghi dove già nell’800 erano presenti mafie locali a cui pagare tangenti per la commercializzazione dei prodotti. Il presunto legame tra le organizzazioni mafiose e le zone di arretratezza economica e culturale ha avuto come corollario l’idea che mai Cosa nostra, ’ndrangheta o camorra avrebbero potuto insediarsi nelle regioni economicamente più ricche del nostro Paese. Il relatore conferma come anche la collusione tra mafia e istituzioni risalga a tempi remoti, citando episodi risalenti all’Unità d’Italia e sottolineando il fattore potenziante della collusione tra mafia e Chiesa.

Il professor Romano Colombini (1929-2020)

L’attenzione dello studioso si sposta sull’oggi, sui meccanismi di attrazione a Nord, e nota come alcuni imprenditori, con l’intento di aggirare la legge, sfruttino i “servizi” della mafia. Ma questo, ci dice, ha un costo piuttosto caro: nessuno di loro è mai uscito indenne. La mafia presta la sua opera con un fine preciso e cambia il suo volto, passando dalle ben note situazioni del Sud alle connivenze meno visibili delle zone settentrionali.

Interrogato su quali ulteriori pericoli di infiltrazione mafiosa si nascondano nell’attuale crisi, Ciconte non nasconde la sua preoccupazione. I magistrati sono già all’opera, ma non basta: serve un percorso parallelo che coinvolga la società civile. E chiama a un tavolo di lavoro istituzioni locali, categorie produttive, sindacati e banche affinché insieme individuino i soggetti deboli, alla ricerca di una soluzione, prima che intervengano i capitali mafiosi a offrire rimedio. E in questo processo si rivelano indispensabili istituzioni come la scuola – conclude il relatore Ciconte – che deve dimostrarsi capace di intercettare le problematiche contemporanee, fornendo ai giovani gli strumenti per guardare al futuro con consapevolezza e spirito critico.

Nella Macrì, Commissione scuola “Dolores Abbiati”