Guttuso, “Comizio di quartiere”, 1975. Tra folla, i volti di Marylin Monroe e Pablo Picasso (da https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2015/03/guttuso905.jpg)

Il terzo millennio si apre nel nome dell’impersonalità, anzi: della spersonalizzazione. Già negli Anni 90 Marc Augé aveva teorizzato la presenza di non-luoghi, quei posti privati dell’anima e abitati solo dalle necessità imposte dalla globalizzazione. Quindi, spazio ad aeroporti e centri commerciali, in cui fare dell’attesa un elemento di monetizzazione, e basta con le piazze (almeno momentaneamente), il cui ruolo sembra momentaneamente poco necessario.

La piazza è uno spazio che accoglie, ma non chiude, apre verso nuove intersezioni di gente e di strade, determina storicamente spazio e condivisione. Ma se, come è vero, l’avvento della postmodernità ha portato con sé una nuova chiave di lettura, caratterizzata dall’individualismo e dalle sue ricadute economiche, culturali e sociali, non si può dimenticare un aspetto solo apparentemente marginale: l’urbanistica, vero e proprio “specchio dell’anima” di una società in continuo cambiamento. In questo panorama sempre più rarefatto e frammentato, quindi, che ruolo giocano le piazze?

Istanbul, piazza Taksim divenne nel 2014 il simbolo della “primavera turca”. La protesta contro Erdogan venne repressa nel sangue

Come ci raccontano cronaca e storia, la piazza assume connotazioni e gradazioni ben diverse, in base all’utilizzo che se ne fa. Un po’ come una tela bianca, la piazza è strumento neutro, ma sono ben definite le operazioni (ideologiche, addirittura) che sono state condotte nei secoli a suo carico. Una neutralità che permette alla piazza di cambiare fisionomia, permettendole, al tempo stesso, di tornare sempre al punto iniziale.

Milano, Piazzale Loreto, 10 agosto 1944. I nazifascisti espongono i corpi di 15 tra partigiani e antifascisti, prelevati dal carcere di San Vittore e assassinati. In quella stessa piazza, il 29 aprile 1945, verranno esposti i cadaveri di Mussolini, Claretta Petacci e di 16 gerarchi fascisti

Piazza Tienanmen, Piazzale Loreto, Plaza de Mayo, Place de la Concorde (già de la Révolution) sono luoghi che rievocano immediatamente le figure e i fatti storici ad essi legati, tanto per l’eccezionalità degli avvenimenti, quanto per la cornice, diventata essa stessa parte attiva della narrazione storica. In altre parole, l’esecuzione in piazza di una regina ha un valore simbolico infinitamente più alto di una carcerazione: la dimensione pubblica annienta quella privata e pone in essere una rappresentazione (in alcuni casi anche teatralizzata) dell’evento storico, amplificando, di fatto, la percezione e la portata dell’avvenimento stesso e contribuendo ad accrescere la sua fama e importanza.

Buenos Aires, Argentina. Le madri dei desaparecidos, i dissidenti scomparsi durante la dittatura militare tra il 1976 e il 1983, si incontrano ogni giovedì a Plaza de Mayo, per ricordare i propri figli, reclamarne il rilascio dei figli e in seguito chiedere i processi per i responsabili della loro morte (https://i2.wp.com/www.ilgazzettinodisicilia.it/wp-content/uploads/2017/04/desaparecidos.jpg?resize=796%2C445&ssl=1)

Secoli di evoluzione della piazza hanno portato, poi, agli spazi digitali: perché, se la piazza è sinonimo di condivisione e socializzazione, allora è innegabile che anche il web, sin dalle sue prime e più rudimentali forme, sia assurto a questo ruolo. Anzi, bisogna pensare che internet nacque proprio dall’urgenza di uno scambio sempre più celere e complesso di informazioni governative. Da una dimensione puramente istituzionale e formale, il web, negli anni, diventa a uso e consumo del grande pubblico, raggiungendo, progressivamente, migliaia e poi milioni di utenti, il cui bisogno primario si ribadisce essere l’interazione e lo scambio di informazioni. Di tutti i tipi.

Foto Imagoeconomica

Dalla condivisione del sapere alla socializzazione, la grande “piazza digitale”, negli ultimi decenni, ha acquisito un ruolo ormai imprescindibile e insostituibile, che assolve (quasi in toto) alle funzioni di una piazza fisica. Del resto il web, specialmente dal 2.0 in poi, da quando, in altre parole, gli utenti stessi hanno iniziato a produrre contenuti originali e a interagire tra di loro, ha sostituito molti segmenti della società che si era affermata a partire dalla rivoluzione industriale. Si è appropriato della fabbrica, ha iniziato a mediare le transazioni economiche e ha parzialmente assorbito la socializzazione, solo per citare alcuni dei più comuni e rilevanti aspetti della vita quotidiana. Del resto, come aveva già osservato Georg Simmel agli albori del Novecento, è la metropoli l’incarnazione dello spirito moderno, fulcro delle attività intellettuali ed economiche, che trova nella piazza (affari, questa volta!) il cuore pulsante di una società caratterizzata da un livello sempre inferiore di interazione tra gli abitanti. Tuttavia, è Simmel stesso a indicare che una piazza antica (quella della polis) si rinnova per diventare espressione della città di provincia. E così, il web di oggi congiunge le esigenze della metropoli con la vocazione e il ruolo che era già appartenuto alla provincia, prima, e alla televisione, poi, la quale, nei suoi primi anni di diffusione, diventò una piccola piazza domestica: da una parte, focolare che segregava nel privato di una casa ma, dall’altra, aggregava individui e famiglie.

E se, grazie al digitale, è garantita una maggiore e più efficace interazione, una migliore diffusione delle notizie e un’apertura del singolo a molteplici tematiche, è anche innegabile che web e social abbiano riverberato tutti gli effetti collaterali del passaparola, incanalandoli in un più pericoloso e continuo flusso che sfocia nel fenomeno delle fake news. Ma, del resto, cosa sono le fake news se non delle informazioni che, con fallacia, vengono modificate o, addirittura, stravolte, per perseguire uno scopo tossico e tendenzioso? Un canale di comunicazione parallelo in cui tutto può essere divelto in virtù di convinzioni e non di prove.

10 giugno 1940, Mussolini davanti a una folle festante riunita a Piazza Venezia annunci all’entrata in guerra dell’Italia (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/ commons/7/71/Dichiarazione_di_guerra_a_ Piazza_Venezia_%2810_giugno_1940%29.jpg)

Un concetto che assomiglia incredibilmente e paurosamente alla propaganda. Un ambito di cui si conoscono più le devastanti conseguenze che le premesse teoriche, elaborate a inizi Novecento da Edward Bernays, già sostenitore di quella Psicologia delle folle di cui aveva parlato Gustave Le Bon alla fine del secolo precedente e che intrecciava in modo indissolubile la potenza delle masse e il consenso come obiettivo da perseguire.

Una teoria che, nel corso del secolo breve, ha incontrato la pratica più volte e spesso in modi tragici, per sublimarsi nelle adunate di piazza durante i totalitarismi e diventare uno dei due fuochi di un sistema ellittico che fondava la sua efficacia su persuasione e coercizione. E la grande scaltrezza dei totalitarismi risiede proprio nell’aver attribuito a ciascun valore la sua dimensione: entusiasmo pubblico e “persuasione” privata garantivano una rassicurante non-violenza formale, suffragata dalla percezione molto diffusa di un sincero entusiasmo per la figura del leader.

De Chirico, Piazza d’Italia, 1913

Politica e piazza, non è difficile dedurlo, si incrociano molto spesso, nel corso della storia, anche per identificare la sfera pubblica di un capo politico, definire i confini della sua privacy e contribuire a tratteggiare, per converso, il suo profilo privato. Fino a qualche decennio fa, ciò che avveniva durante le manifestazioni pubbliche era da considerarsi, appunto, di pubblico dominio, mentre veniva garantita una certa sacralità del momento privato. Le nuove strategie comunicative, invece, hanno sovvertito questo paradigma in tempi più recenti, già prima dell’avvento dei social network (che, senza dubbio, hanno poi esasperato il fenomeno): a partire dagli anni Ottanta, infatti, la comunicazione politica si è iniziata a nutrire avidamente della sfera privata per raccontare al grande pubblico un politico “nascosto”, certamente più umano, di cui era possibile relativizzare e ridimensionare virtù e, soprattutto, vizi. E i mass media rendono possibile anche l’accesso ai luoghi di “backstage”, dove il politico conserva la facies pubblica, ma la edulcora con azioni quotidiane, private, intime. Il risultato? Far simpatizzare l’elettorato, svestire il politico dei suoi errori istituzionali e mostrarlo nelle vesti di nonno affettuoso, amante degli animali, scherzoso e gioioso nonostante il peso delle responsabilità.

Prato 23 marzo 2019, in migliaia in piazza a Prato con l’Anpi per rispondere alla provocazione di una formazione dell’ultradestra che voleva subdolamente commemorare il centenario del partito fascista

Tuttavia, nell’accezione comune, dire “piazza” equivale (fortunatamente) a dire collettività, condivisione, comunione di intenti e di ideali non imposti, ma fioriti spontaneamente. Le grandi mobilitazioni della sinistra hanno caratterizzato il dna della piazza fino a pochi anni fa, quando le rivendicazioni sindacali e le manifestazioni per i più disparati diritti sono state adombrate da una dilagante ondata di destra, che ha preso i temi chiave e li ha infarciti di razzismo e sovranismo, trasformando la piazza in una farsa. Ciò che ha contribuito a restituire la piazza usurpata al popolo della sinistra è stato il movimento delle sardine, che nei mesi scorsi ha pacificamente invaso e affollato un gran numero di città (e piazze) italiane in nome di un sentimento anti-salviniano, a quanto pare molto diffuso, contribuendo a ricreare una coesione dell’elettorato, tanto visiva, quanto politica. Perché, appunto, la piazza è allegoria e icona: un luogo reale e, insieme, simbolico, che contiene al suo interno moltitudini di persone, intenzioni e fatti.

Roma, Piazza Venezia, Pride 2018. I manifestanti per i diritti della comunità lgbtq e la partigiana Tina Costa (scomparsa l’anno successivo) cantano Bella ciao (da https://www.youtube.com/watch?v=LEsfyBqqsV4)

Dall’agorà come nascita della democrazia, per arrivare alla stagione di ottimismo che attraversò la sinistra greca (e, di riflesso, il barlume di speranza che investì anche i cugini europei) con l’elezione di Alexis Tsipras, nel 2015, passando per l’elezione di Barack Obama, le variopinte piazze e strade dei Pride, le manifestazioni per i diritti civili e contro disparità e discriminazioni, e poi ancora, andando indietro di secoli, i roghi, le impiccagioni, le condanne esemplari: in alcuni casi, pagine buie della storia dell’umanità che, però, non fanno che rimarcare il denso valore semiotico della piazza.

Bologna, tutti in piazza con le Sardine. Il movimento, nato dall’iniziativa di un piccolo gruppo di giovani con un tam tam sui social, ha sconfitto in Emilia Romagna il dilagare del sovranismo salviniano

Ma non si tratta di un simbolo cristallizzato e immutabile, anzi: la piazza è ancora materia viva e in evoluzione, luogo di centrale importanza, come dimostrano alcuni episodi particolarmente significativi degli ultimi anni. Se il cinema e le serie tv attraversano un periodo di grande fascinazione per le suburre, le periferie urbanistiche e dell’anima, la piazza continua a vivere una stagione prolifica, nella realtà, dimostrando, ancora una volta, di essere snodo fondamentale per i cambiamenti civili e politici in atto. La piazza è rivendicazione, exemplum, teatro pubblico in cui si svolge la commedia umana: e chi siano gli attori protagonisti, è la storia, di volta in volta, a stabilirlo.

Letizia Annamaria Dabramo