«Quando il regime fregandosi le mani parla della gioventù/somiglia a chi/contemplando il fianco nevoso di un colle/si frega le mani e dice/“Che fresco mi godrò d’estate/con tanta neve!”»[1]. Purtroppo sembra che, almeno in parte, Brecht si sia dimostrato troppo ottimista. Il neonazismo e il neofascismo hanno infatti smentito l’ultimo verso della poesia citata: la neve non si scioglie, anzi il ghiaccio penetra nel cuore e nelle coscienze dei giovani, in modo che, da adulti, essi possano mettere a frutto tutte le pressioni e le suggestioni violente e razziste assorbite da ragazzi.

L’agguato del neonazismo e del neofascismo alle coscienze giovanili occupa con forza quella dimensione che possiamo definire “prepolitica”, lo spazio oscuro al quale si accede attraverso i simboli, il linguaggio non verbale, la musica, lo sport, i fumetti, la danza, il web: uno spazio che non può essere semplicemente ignorato o peggio demonizzato da chi vuole diffondere una cultura antifascista. I metodi e le categorie di questa presa di possesso delle coscienze giovanili costituiscono un aggiornamento dei punti di forza dei totalitarismi di destra del XX secolo.

Anzitutto il ruolo del gruppo: sappiamo quanta importanza ha la vita di gruppo per i neonazisti e neofascisti, nei loro ritrovi e nelle imprese criminali che insieme conducono: sappiamo anche che il gruppo è decisivo soprattutto in età adolescenziale, come spazio al contempo di nascondimento e di potenziamento dell’individuo. Ma il gruppo neonazista protegge l’individuo chiedendogli in cambio la sua individualità e irripetibilità. Far parte di un gruppo significa spegnere lo spirito critico, prendere per vero tutto ciò che il gruppo afferma ed esige. Ma il singolo non viene semplicemente liquidato o relegato al ruolo di esecutore di ordini: l’individuo viene esaltato nelle dimensioni del “lupo solitario” o della leaderless resistance (resistenza senza leader). Il ragazzo ottiene dal gruppo dunque sia uno spazio di protezione sia l’input per azioni individuali: incendiare un campo rom può essere una iniziativa di gruppo, ma anche un gesto individuale che il gruppo approverà silenziosamente.

Uno stadio italiano (da http://www.razzismoecalcio.altervista.org/flexslider/images2/simboli4.jpg)

Una particolare funzione simbolica rivestono le vittime delle nuove destre: siano essi gli ebrei, i rom, i neri, questi soggetti favoriscono l’interiorizzazione dell’idea paranoide che le proprie sventure sono causate da altri gruppi cattivi, permettendo e legittimando le azioni violente contro di esse. Ovviamente le vittime delle violenze quotidiane non hanno mai alcuna relazione con le reali sventure e i reali problemi del ragazzo: il neonazismo e il neofascismo offrono la possibilità di ottenere oggetti sui quali scaricare le tensioni sadiche. La parola d’ordine della purezza, tipica del fascismo e del nazismo del XX secolo, viene inoltre rimessa in circolazione nella società multiculturale tanto odiata dalle nuove destre: solo che alla purezza della razza viene affiancata e in alcuni casi sostituita l’idea della purezza delle culture, in un nuovo razzismo differenzialista che finge di tutelare le differenze ma crea invece nuove gerarchie.

Ma sono i simboli ad essere gli elementi più interessanti per chi vuole studiare la colonizzazione della coscienza giovanile: il linguaggio, l’utilizzo modificato e aggiornato dei simboli del passato (la svastica su tutti), le feste, la musica, lo sport, la narrativa, sono dimensioni da studiare con precisione soprattutto nel loro continuo aggiornarsi. È interessante notare un aumento tra i giovanissimi dei simboli nazisti a detrimento almeno parziale di quelli legati al fascismo e a Salò: i simboli nazisti sono più netti e più immediati, la mitologia nazista è più forte di quella fascista, la fine di Hitler è stata più mitologizzabile di quella del Duce. Il neonazismo è estremamente abile ad operare il ribaltamento dei simboli della sinistra o del pensiero democratico (forse anche per la sua difficoltà a inventare nuove simbologie); così i simboli vengono svuotati di senso e ne viene utilizzato il mero involucro.

Il triste primato del mezzo di comunicazione maggiormente efficace in questo senso appartiene ovviamente alla rete. Senza il web il neonazismo sarebbe un’altra cosa e sicuramente avrebbe meno successo tra i giovani.

Quali sono dunque i vantaggi della rete? Gli autori Stevens e Neumann[2] parlano della possibilità di proporre un pacchetto ideologico composto di materiali svariati e prontamente disponibili, la comodità del non doversi recare di persona a meeting o incontri, il vantaggio della creazione di nuove reti sociali nelle quali diventano normali comportamenti di solito non accettati nella società.

Ma a nostro parere proprio la specificità della rete permette un suo utilizzo per la diffusione di un modo di pensare neonazista piuttosto che semplicemente di idee neonaziste che potrebbero essere diffuse anche con altri mezzi. Il web permette infatti quel primato della visibilità sulla logica che è tipico del ragionamento neonazista: per chi vuole diffondere l’odio e il razzismo non c’è necessità di argomentazione e di contestualizzazione (anzi questi comportamenti costituiscono un ostacolo per le posizioni di estrema destra); mettere in homepage una immagine particolarmente forte, una svastica, un simbolo neonazista, una vignetta particolarmente violenta, corredare il sito di frasi ad effetto contro gli ebrei o di slogan negazionisti ottiene un risultato di immediata conferma delle idee di chi sta navigando o di orientamento immediato di chi è capitato sul sito per caso o per curiosità. È un po’ triste pensare a quanto lavoro di alta qualità è stato ed è tuttora svolto nelle scuole per l’analisi dei quotidiani (struttura della prima pagina, tagli degli articoli e corpo dei titoli, differenza tra notizia e commento, analisi delle incoerenze tra titolo e contenuto dell’articolo) e quanto rari siano i progetti in questo senso a proposito del web che è la prima fonte di informazione per i ragazzi.

Il web permette poi strutturalmente la comodità dell’anonimato (in molti blog posso “postare” ciò che voglio senza svelare la mia identità o nascondendola dietro il gioco degli avatar e dei nicknames). Si abituano così i ragazzi da un lato alla mancanza di responsabilità dell’enunciato, che una volta “postato” rimane in rete senza che sia possibile attribuire ad alcuno la sua paternità (pensiamo a una responsabilità etica prima ancora che giuridica), dall’altro all’equivalenza di tutti i discorsi, per cui il “post” di un deportato e quello di un negazionista sono collocati sullo stesso piano, differenziati al massimo dall’ora di inserimento in rete. I ragazzi dunque imparano (dal web in se stesso prima che dai siti nazisti) a de-responsabilizzarsi quando sostengono un’idea o una opinione (pensiamo alla differenza tra scrivere su un blog firmandosi con un nickname e inviare una lettera firmata a un quotidiano) e a mettere tutte le opinioni sullo stesso piano senza vagliarle alla prova dei fatti o delle argomentazioni, in una tristissima parodia della democrazia (che non prevede la equivalenza di tutte le opinioni ma la possibilità per ciascuno di esprimersi purché non vengano alterati i fatti e dunque la differenza qualitativa tra una opinione basata su fatti oggettivamente veri e una basata su falsità).

Infine il web è particolarmente efficace per il ritardo strutturale di ogni forma di censura[3]: l’immediatezza della comunicazione, tanto amata dai navigatori, in realtà permette a qualsiasi contenuto di rimanere a disposizione degli utenti (anche casuali) per lungo tempo prima che un eventuale intervento censorio sia messo in atto.

Questi elementi, uniti ad altri, favoriscono dunque quel congelamento della coscienza e della psiche che è il tipico approccio neonazista e neofascista ai giovani, i quali, crescendo, rischiano di mantenere quella caratteristica di “apparecchio per rispondere a segnali” che è il vero segreto della mentalità degli adepti delle nuove destre.

Per i ragazzi la cui psiche viene modellata da questi gruppi, i sentimenti veri diventano fonte di pericolo e dunque di svalutazione, sostituiti da durezza e impassibilità (una delle chiavi di lettura dell’omofobia nazista e fascista è in questa difesa da qualunque affettivizzazione dei rapporti). Come ebbe a scrivere Werner Sombart nel 1935, anche oggi possiamo dire che per questi gruppi “L’arte della discussione è finita. Nessuna discussione bensì la decisione domina ora la scena”: al posto del ragionamento critico e dell’argomentazione l’Io si sostiene sulla base di una struttura di comandi e divieti che diventano una sorta di dittatura interiore, nella logica del ragionamento on-off tipico della moderna tecnologia. Per questo la propaganda neofascista deve far leva sulle emozioni evitando qualsiasi riferimento alle argomentazioni obiettive.

È questa la struttura del dispositivo pedagogico del neonazismo. Ogni giorno non impegnato a prevenire queste azioni e a rispondere loro colpo su colpo è un giorno che ci avvicina pericolosamente al bordo del piano inclinato che ci fa rotolare lentamente verso la barbarie.

Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia generale e sociale all’Università degli Studi di Milano Bicocca

[1] Bertolt Brecht, “La gioventù e il terzo Reich”, ora in Poesie vol. II, Torino, Einaudi, 2005 p. 259

[2] Cit. in Guido Caldiron, op. cit. pp. 423-255

[3] Sarà chiaro che siamo degli appassionati sostenitori della censura per qualsiasi comunicazione di contenuto esplicitamente antisemita, razzista, neonazista ecc. Diverso è il caso degli storici negazionisti, che andrebbe discusso