Stare “al di qua” della cattedra non significa soltanto avere il potere (e la responsabilità) di insegnare qualcosa e valutarne l’apprendimento con un voto, significa soprattutto godere di un punto di vista costante sulle giovani generazioni, non sempre sufficientemente nitido e ampio, ma utile a farsi un’idea non solo di cosa e quanto imparino, ma di cosa e come pensino.

Così mi sono resa conto che, in particolare tra i 15 e i 18 anni, gli studenti – maschi in prevalenza – subiscono fortissimo il fascino dell’“autorità”, l’esigenza di regole chiare e severe (quasi mai quelle “istituzionali”, tra tutte famiglia e scuola, spesso percepite come perdenti) che indichino loro come comportarsi (in un’età in cui la loro personalità è ancora in divenire), ma che soprattutto puniscano esemplarmente chi non può o non vuole rispettarle.

Certo queste righe si limitano alla mia esperienza di insegnamento, raccolgono giusto alcuni indizi…

Indizio n. 1: storia, il mito di Sparta

Sparta: 15.000 Spartiati, discendenti dei Dori conquistatori e padroni della polis, che regnano su 200.000 tra perieci, contadini e commercianti, e iloti, schiavi di Stato. Un esercito permanente di 5000 uguali” che fanno del mestiere delle armi e del cameratismo il fondamento dell’esistenza loro e della loro patria, educati fin dalla tenerissima età – se sopravvissuti all’esame “eugenetico” che elimina gli storpi nel baratro del Taigeto – a conoscere solo i compagni di addestramento. L’agoghé (educazione militare) è lunga e durissima: sviluppa la prestanza fisica e la tecnica bellica, ma altresì la scaltrezza (non si punisce chi ruba, ma chi si fa pescare con le mani nel sacco), e termina con la kripteya, un periodo di isolamento e sopravvivenza che prevede, tra l’altro, l’agguato e l’assassinio di quanti più iloti possibile, ai quali ogni anno la polis dichiarava guerra per poterli così “legalmente” uccidere.

La storia di Sparta cattura, talvolta esalta, gli studenti del biennio che spesso non si accontentato del manuale e chiedono più particolari, più letture. Ma anche l’estremismo di destra ha creato il mito di Sparta: incarnazione del primato della stirpe dorica, razza guerriera e selezionata di “uguali” che domina con la forza e la violenza su razze geneticamente inferiori e deboli.

Qualche pezza d’appoggio: il giornalista neofascista francese Maurice Bardèche (1907-1998), in Sparta e i Sudisti (1969), scrive: «L’educazione non aveva altro scopo che l’esaltazione del coraggio e della energia. I ragazzi vivevano tra loro il più presto possibile, in truppe analoghe a quelle dei balilla dell’Italia fascista o della Hitlerjugend, di cui facevano parte dalla età di sette anni». Maurizio Rossi, vicino alle edizioni AR (fondata da Franco Freda) e Thule (che traduce e pubblica in italiano scritti nazisti), sostiene: «Sparta fu senza ombra di dubbio il primo Stato razziale a base eugenetica della Storia, giustamente e rigorosamente separato dalle genti assoggettate». 

Indizio n. 2: cinema, American History X

Uno studente, qualche anno fa, mi disse di aver visto il film di Tony Kaye American History X (1998), del quale tuttavia aveva apprezzato particolarmente il personaggio secondario di Danny, perché – mi spiegò – resta fedele fino alla fine ai suoi valori, senza tradirli come fa invece Derek, fratello maggiore e protagonista.

Ecco la trama: il naziskin Derek finisce in carcere per aver ucciso un ragazzo di colore e lì comprende finalmente il grande abbaglio che era stata la sua fede ideologica; nel frattempo però il fratellino Danny aveva fatto di lui un mito, seguendone le tracce con convinzione, e ora lo considera un traditore. Il film, insomma, racconta come si possa diventare nazisti e razzisti nella California degli anni 90, in cui i ragazzi “fanno branco” in base all’etnia e ciò che li tiene uniti è solo l’odio per le altre razze e il desiderio di dominarle.

Chiesi a quello studente perché preferisse il neonazista Danny a Derek, cambiato dall’esperienza vissuta; mi ripeté spesso per Danny la parola “lealtà” e per Derek “infame” ed era lui ad essere sconcertato che io non capissi la lapalissiana gerarchia e differenza tra quei due comportamenti. 

Indizio n. 3: accessori, la croce di ferro

Quinta liceo, ora di italiano, restituzione dei temi corretti. A turno gli alunni si avvicinano alla cattedra per chiarimenti, noto così che uno di loro porta al collo un pendente a forma di “croce di ferro”, lui nota che l’ho notato e immediatamente sente la necessità di spiegare: “Non è la croce dei nazisti, prof, cioè sì, però prima, nell’antichità era un simbolo solare che…”, questa più o meno la sua giustificazione pressappochista e l’imbarazzo eccessivo dell’excusatio non petita. Lo guardo da vicino, un paio di secondi nella faccia arrossita, poi gli chiedo quale dei miei segni rossi non lo convinca: ero amareggiata, ma non eccessivamente stupita. Lo stesso ragazzo, durante una discussione in classe, aveva elogiato – non sapeva neanche lui esattamente su quali basi – le forze dell’ordine tedesche, quelle sì serie altro che le nostre, che possono menare mani e manganelli sui manifestanti a pieno titolo, senza temere di subire poi un processo come accade in Italia.

 

Secondo Agatha Christie tre indizi fanno una prova, io voglio essere più cauta e ottimista, ma certo qualche sospetto dovrebbe nascere. Niente si ripete uguale nella storia: inutile attendere, per allarmarsi, che questi ragazzi – oltre al ciondolo al collo o a qualche svastica schizzata sul diario – arrivino agghindati da avanguardisti o che scrivano le “loro battaglie”; inutile crogiolarsi al pensiero che le istituzioni democratiche europee siano immodificabili e bastino da sé a sventare il ritorno di ogni autoritarismo e xenofobia (ecco l’attuale governo ungherese, ecco i partiti all’Europarlamento: Front National, Ukip, Pvv olandese e Fpo austriaco).

Occorre invece tirarsi su le maniche e occuparsi di quanto avviene nelle fasce più giovani della società, dove si formano e rapprendono personalità e principi. Occorre – in famiglia, a scuola, nei media e specie nel web – sviluppare il ragionamento critico, far sì che i ragazzi ne abbiano dimestichezza e confidenza, diversamente si accontenteranno della più elementare e rigida serie di comandi e divieti, quella che l’estremismo di destra usa sapientemente per allevare i suoi adepti, acritici e obbedienti anche da adulti. Bisogna saper convincere chi vive la delicata e contraddittoria età in cui si vogliono sia la ribellione sia l’esempio forte che è sempre necessario mediare tra “sicurezza” e “libertà”; che conviene sempre imparare a scegliere autonomamente e criticamente, senza sottostare a un leader carismatico che decide per noi il bene e il male e che ci accetta solo se assoggettati.

Occorre indagare, vigilare, riconoscere gli indizi prima che portino, di nuovo, all’assassinio della democrazia.