Il 1939 è l’anno in cui si passa dalla guerra di Spagna all’aggressione contro la Polonia, da una guerra civile localizzata al principio di una lotta generalizzata in Europa. Attraverso una interruzione di qualche mese dalla primavera all’autunno – si compie il salto fino allo “scatenamento” di quello che sarà il secondo conflitto mondiale. In quel breve intervallo fra una guerra e l’altra le potenze dell’Asse si affrettano a stringere il Patto d’Acciaio e fagocitano, a oriente, gli ultimi resti della Cecoslovacchia e l’Albania, mentre Hitler pone in termini ultimativi la questione di Danzica.

Ci si può domandare in quale relazione stanno i mutamenti nel rapporto di forze tra i diversi schieramenti internazionali e la realtà più fragile e fluida delle correnti ideali e morali che animano la società civile e attraversano dall’interno la dinamica di quegli eventi. In altre parole, qual è su scala europea la reale posizione dell’antifascismo, che sembra spegnersi definitivamente in Spagna? La risposta può essere solo indiretta.

È a Monaco di Baviera, al culmine della disastrosa politica di compromesso condotta da Parigi e da Londra con il suo riscontro nel “non intervento” in Spagna – divenuta un autentico campo sperimentale delle armi e delle forze nazifasciste – che si delinea la forbice fra gli schieramenti di lotta contro il fascismo internazionale e la diplomazia delle grandi potenze.

Dicendo questo, ovviamente, ci si limita a constatare una divaricazione angosciosa che è nei fatti, e che verrà saldata soltanto quando l’antifascismo e la resistenza dei popoli e delle masse si cementeranno nuovamente nella lotta armata contro le aggressioni del Tripartito. Ma non bisogna compiere nemmeno l’errore di rivestire ideologicamente i fatti il più delle volte per scarsa coscienza critica e per puro idealismo, ma anche per passionalità politica e di parte, ritenendo che il loro corso sia da giudicare come si trattasse di un odierno confronto di idee!

Per questo insieme di ragioni è oggi più che mai opportuno piegarsi a considerare l’agonia della repubblica spagnola, la fine della guerra civile, quando ancora non era stata scatenata, ma si preparava la guerra nazifascista, come guerra d’aggressione, nel cuore dell’Europa, a cominciare dalla Polonia.

Nel caso della Spagna, fra il 1938 e le prime settimane del 1939, si deve individuare in tutta la sua portata e nei suoi intimi nessi l’intreccio fra i dati militari e i dati politici, fra la dinamica economico-sociale e la capacità di resistenza dei due fronti in lotta. Il 1938, sul fronte repubblicano, è l’anno dell’esperimento Negrin, avviato subito dopo la pagina drammatica dei fatti di Barcellona (uno spezzone di “guerra civile nella guerra civile”), che realizza l’ultimo tentativo di riprendere in mano l’iniziativa strategica e le sorti della guerra, spezzando la tenaglia messa in campo sul territorio da un generale coloniale e golpista come il generale Franco. Il 1938 è anche l’anno del consolidamento economico e diplomatico della zona franchista, che riceve riconoscimenti e aiuti dal Regno Unito, dopo la conquista dell’enclave basca. Il 1938 è l’anno del ritiro dei volontari dall’una e dall’altra parte; ma le armi e specialmente gli strumenti della guerra aerea rimangono e il fronte nazionalista ne sarà avvantaggiato.

Il 1938, infine, è l’anno di Monaco, che vede il compromesso tra le democrazie (Londra e Parigi) e il fascismo in Europa (Berlino e Roma), con conseguenze da tutti immaginabili sui repubblicani, i socialisti e i comunisti spagnoli, che precipitano in un grave isolamento. Solo l’Unione Sovietica e il Messico, dopo le campane a morto di quel tardo autunno, suonate a Monaco di Baviera, per qualche mese ancora sostengono il governo di Valencia. Del resto gli elementi più combattivi della repubblica e la parte socialista che è responsabile della politica estera, puntano sul prolungamento della resistenza in Spagna, per saldarsi ai futuri schieramenti della lotta antifascista in Europa, quando il momento verrà. Ma è una corsa contro il tempo, che si consuma interamente nelle strette del 1939. Una posizione e prospettiva analoga a quella di Del Vajo, è portata avanti da Nenni a Parigi, nel cuore di quanto rimane del vecchio antifascismo e attraverso la stessa Unione popolare italiana e consimili comitati, operanti fra le masse degli emigrati italiani.

È questo un punto chiave per intendere fino in fondo la forbice ormai in atto fra l’estrema proiezione dell’antifascismo militante e una realtà diplomatica che dopo la conferenza di Monaco marciava in altra direzione. Alla Conferenza internazionale per la difesa della democrazia, che si tiene a Parigi il 13 e 14 maggio 1939 – dunque immediatamente dopo la infausta fine della guerra di Spagna, preludio e incitamento a ben altra guerra – Nenni enuncia la teoria del barrage: «Noi misuriamo oggi – riferisce La Voce degli italiani in un resoconto intitolato Per il partito della resistenza – tre anni di capitolazione e di abbandono (…). La situazione sembra oggi meno tragica di alcune settimane or sono perché lo sbarramento comincia a organizzarsi. Esso sarà del tutto solido quando si appoggerà sull’unione di Londra e di Parigi con Mosca, senza la quale la resistenza non è possibile. Lo sbarramento deve essere economico e militare, ma soprattutto politico e morale».

Inutile aggiungere che se la Conferenza di Parigi per la difesa della democrazia (per gli italiani vi parteciparono Trentin, Cocchi, Schettini e Campolonghi, per i francesi, tra gli altri, Cachin e Langevin) aveva mostrato qualche ulteriore fiducia e speranza su una linea improbabile ma giusta, che sarebbe stata riscattata da un avvenire non immediato, si doveva alle avviate trattative fra Londra, Parigi e Mosca, condotte dalle prime due di malavoglia e con grande lentezza (sono in proposito eloquenti le sferzanti critiche di Winston Churchill pronunciate in Parlamento) e dalla terza con crudo realismo e non ingiustificata diffidenza.

In questo clima generale, che nel 1938-39 forma un continuum da cui non si può prescindere per una corretta valutazione, la guerra di Spagna precipita verso l’epilogo sia per l’aggravarsi delle condizioni internazionali, sia per il peggioramento della situazione interna alla repubblica.

Nell’inverno del 1938-39 l’orizzonte si stava chiudendo in ogni punto, sul fronte militare come su quello economico. Fino dall’aprile del 1938 la Catalogna e le regioni del centro, con Madrid, erano state divise dall’offensiva delle forze nazionaliste in due tronconi separati. E nella battaglia controffensiva dell’Ebro i repubblicani avevano compiuto uno sforzo supremo. Ma la lenta progressione che via via aveva sovrapposto a una guerra civile popolare le forme e le fortune di una guerra moderna, condotta con mezzi inusitati, doveva ancora procedere, nonostante le ultime resistenze opposte dai combattenti repubblicani e dalle popolazioni. Specialmente negli ultimi tempi, la resistenza era divenuta sempre più difficile e pesante sul fronte interno, per difetto di prospettive, e le grandi città risentivano con acutezza l’escalation della guerra aerea, che per la prima volta veniva sperimentata su una scala di massa.

Nella didascalia si legge: “le magnifiche fanterie della Spagna Nazionale e i prodi Legionari d’Italia entrano a Madrid”

Da quanto si è detto finora appare chiaro il rilievo che i dati politici e strategici, intrecciandosi tra loro, ebbero in una vicenda che per la parte repubblicana stava trascorrendo verso la sconfitta per motivi interni ed esterni. Ben prima della battaglia dell’Ebro, quel che rimaneva della Spagna repubblicana viveva ormai nelle condizioni di un territorio assediato senza immediate retrovie e senza scampo. II fattore aereo, in queste condizioni non fu affatto sottostimato dai comandi fascisti, e nel 1938 fu impiegato in modo del tutto emblematico, che stava a significare l’ormai inarrestabile prevalenza dei mezzi tecnici sulle forze residue della controparte. Barcellona, come porto principale della Catalogna e centro di smistamento dei rifornimenti, ma anche come città rossa, dall’inizio dell’anno fu sottoposta a bombardamenti sistematici. Nella sola giornata del 18 marzo la popolazione contò un migliaio di morti e tremila feriti in seguito a un attacco terroristico dell’«Aviazione legionaria».

Questa sigla di sapore dannunziano, ma anche un po’ mercenario (sullo stampo della Legione straniera) si era letta sui giornali fascisti fin dal 1937, per dissimulare e nel medesimo tempo esaltare le imprese dell’aviazione italiana che in Spagna, sotto le insegne del fascismo, concorreva con il CTV (Corpo Truppe Volontarie, gli spagnoli leggevano Cuando ten vai?) alla guerra civile, dalla parte di Franco e contro “i rossi”. Si era letta, con uno scritto di prima pagina siglato da Gabriele D’Annunzio l’8 novembre di quell’anno, in testa a uno splendido “documentario” dell’Editoriale Aeronautica di Roma, stampato in rotocalco e ricco di fotografie aeree, alcune delle quali documentavano i bombardamenti su Bilbao. Ma dal 1937 al 1938 e al 1939 si era passati, appunto, dall’assedio e dal bombardamento contro i Paesi Baschi, all’assedio e al bombardamento contro il cuore ardente della Catalogna. Era l’agonia della repubblica. «L’Aviazione legionaria – aveva scritto il vecchio poeta dal suo ritiro sul Garda, a poche settimane dalla morte – allarga d’ora in ora la sua supremazia aerea e rende perpetuo il suo predominio del cielo».

Guido Mattioli, propagandista inesauribile dell’aviazione fascista, dell’industria aviatoria e di Mussolini aviatore, ci ha lasciato una traccia documentaria (esempio peraltro di una pubblicistica largamente infiltrata dalla retorica del tempo) attraverso la quale si può sommariamente riandare alla prevalenza e allo spirito di sopraffazione dell’aviazione italiana nei cieli di Spagna. Senza farsi trarre in inganno, ovviamente, anche l’impresa «letteraria» del Mattioli è da tenere nella giusta considerazione: dopo aver editato due libri su L’Aviazione fascista in Africa Orientale e L’Aviazione fascista in Africa Settentrionale (dedicata alle operazioni di controguerriglia di cui ha trattato Rochat), nel 1940 pubblica una «grande edizione» con oltre trecento illustrazioni de L’Aviazione legionaria in Spagna, il cui nucleo originale risaliva al 1937.

È in questo periodo – per chiudere questa parentesi sulla stampa aviatoria del regime – che l’Editoriale Aeronautica che bene esprimeva la larghezza di mezzi della propaganda posta in atto fra le masse e fra i giovani, per ottenerne il consenso, esce con un altro numero speciale dedicato alla “Guerra aerea”, dove ricorrevano, con le esperienze dei giapponesi sulla Cina, quelle dei bombardieri e degli aviatori italiani sulla Spagna. Insieme a fotografie di straordinario interesse, apriva l’impaginato un grande disegno di Mario Sironi, che illuminava di fuoco il bombardamento di una città moderna, sullo sfondo delle fabbriche e del porto.

Certamente la guerra aerea e il predominio nell’aria non sono tutto nel tramonto e nella caduta della repubblica, ma i dati addotti dalla stessa aeronautica del tempo fascista non sono da ignorare. L’aviazione repubblicana, in origine, aveva contrastato tale prevalenza. Un buon nucleo di aviatori si era schierato con la repubblica, ma i mezzi erano scarsi. II problema del ricambio degli apparecchi divenne dominante e gli stessi rapporti di forze gradualmente vennero a mutare. Fino dal 1936, il passaggio sul continente del Tercio marocchino, la legione coloniale spagnola, fu opera dei Caproni italiani, e la popolazione di Madrid fu in buona parte costretta ad evacuare a causa dei bombardamenti degli Junkers, protetti da squadriglie di caccia.

La guerra di Spagna nella fantasia nazionalista del fumetto italiano. Da notare nel testo “il fronte dei rossi” (da http://www.ereticamente.net/wp-content/uploads/2017/07/s79-OK.jpg)

È anche vero che l’aviazione repubblicana riuscì a resistere e a battersi, come le altre armi, per oltre due anni e mezzo. Hidalgo de Cisneros e Constancia de la Mora ci hanno lasciato opere di memoria, in cui sono ritratti dall’interno gli sforzi di organizzazione dei repubblicani per contrastare il più a lungo possibile ai fascisti il dominio dell’aria. Dalla metà del 1937, stando a Tuñon de Lara il governo repubblicano non aveva ricevuto dall’estero un solo aereo, mentre, nello stesso tempo, il governo di Burgos aveva ricevuto 250 aerei da caccia e 200 bombardieri. In questo senso l’arroganza dei propagandisti fascisti non appare del tutto fuori luogo. Nel corso della battaglia dell’Ebro la situazione risultò impari, ma impari fu soprattutto dove e quando stormi numerosi poterono attaccare città come Barcellona, influenzando le sorti dei rifornimenti e del fronte interno.

Il “partito della resistenza” non poté sopravvivere in Spagna, dove pure aveva compiuto le sue prime prove e ricevuto una sorta di investitura ideale, su scala europea e mondiale. Nella penisola iberica, di fatto aveva rappresentato, fin dal 1936-37 uno schieramento di sinistra privo di un sufficiente sostegno fra l’opinione democratica dell’Occidente, sempre più incline a istanze di appeasement, che assolsero a un ruolo strategico isolando il Messico e l’Unione Sovietica, mentre il Portogallo, l’Italia e la Germania (e su altro piano lo stesso Vaticano) poterono impegnarsi fino in fondo a sostegno del blocco di potere guidato dal generale Franco.

Ai repubblicani, ai “rossi” mancava il raccordo con la forza consistente di uno o più Stati. La repubblica governata da forze democratico-borghesi e da forze di sinistra nazionalmente delimitate, era esposta ai colpi del nemico come una guerriglia priva di “santuari” o basi oltre frontiera e non aveva sufficiente copertura ideologica e diplomatica.

Così, la guerra civile spagnola si esaurì per una crisi definitiva del fronte repubblicano, in seguito alla caduta di Barcellona (27 gennaio 1939) e al golpe del colonnello Casado a Madrid (29 marzo), mentre la lotta stava o avrebbe potuto riaccendersi in Europa.

In entrambe le zone, quella nazionalista e quella repubblicana, al terzo anno di guerra erano ben visibili i segni di un profondo logoramento. Ma i nazionalfascisti, dall’inizio avevano conservato quasi di continuo il vantaggio dell’iniziativa e avevano goduto delle simpatie e dell’aiuto, diretto o indiretto, di potenti vicini e alleati. Proprio quando la paralisi dei rifornimenti e la crisi logistica divennero decisive, a Madrid, a Barcellona, a Valencia l’Aviazione legionaria poté condurre le ultime imprese, e poté continuare a propagandarle di fronte all’Europa. È un elemento di un quadro molto più vasto e complesso, che comunque sta a testimoniare la divaricazione di cui si è parlato all’inizio, fra l’idealità e la causa dell’antifascismo e la politica delle potenze democratiche. Di fatto anche la vendita di armi sul mercato, e l’embargo imposto ai due contendenti da parte degli Stati Uniti finì in qualche misura col delegittimare la Repubblica, e con l’aiutare la controparte, come ammise lo stesso Roosevelt.

Le stesse democrazie europee, in quei tre anni dal 1936 al 1939 furono poste in una situazione difensiva davanti all’Italia e soprattutto alla Germania. Tutto questo sta a testimoniare la forza degli eventi, che per intanto finirono col travolgere anche sul restante territorio quanto aveva resistito, per forza di popolo, della «Gloriosa España». Dalla fine della guerra civile, dichiarata da Franco il 1°aprile 1939, Madrid e gli spagnoli vissero fino alla metà degli anni Settanta, sotto un regime dittatoriale. Ma lo strangolamento della repubblica non allontano l’incendio in Europa e forse, indirettamente, lo alimentò e accelerò incoraggiando Hitler e Mussolini nella loro inesausta aggressività. Ma è anche importante – per finire con la Spagna e per collocarsi nella prospettiva che sarà aperta dal secondo conflitto mondiale, ormai più che imminente – tornare per un momento a quel “partito della resistenza” che si era formato, si era riconosciuto negli ultimi tempi della guerra civile e della repubblica. E lo faremo sommariamente, richiamando il titolo e il sottotitolo di un testo fondamentale, appunto sulla fase ultima dell’epopea spagnola, dovuto a un personaggio non secondario, il generale Vicente Rojo. Un libro dell’esilio – uscito a Buenos Aires nel 1939 – nella transizione da un conflitto all’altro.

Si presentava come un appello motivato dall’esperienza: Alerta los pueblos. Estudio politico-militar del périodo final de la guerra española.

(da Patria Indipendente n. 12-13 del luglio 1989)