Mussolini e la folla, osannante, diffusa dalle immagini ufficiali del regime

L’ultimo è stato Bruno Vespa, ma da tempo ormai, soprattutto navigando sul web ci si imbatte in ricostruzioni “fantasiose” o tendenziose, sul ventennio. Purtroppo spesso fanno presa, soprattutto fra le nuove generazioni e fra chi la storia contemporanea, materia sovente bistrattata, poco la conosce. Dunque può essere utile tornare sull’argomento del rapporto tra il regime fascista e gli italiani. E porsi qualche domanda.

Sfogliando un qualsiasi vocabolario, alla voce “consenso” si spiega che la parola intende una “conformità di voleri”, un essere d’accordo di pensiero o d’azione.

Bruno Vespa (foto Imagoeconomica)

Era questa la corrispondenza tra il numero uno del fascismo e gli italiani cui faceva riferimento Bruno Vespa quando ha affermato, promuovendo in diretta tv il suo ultimo libro: “racconto gli anni del consenso: Mussolini ha avuto un consenso enorme, all’estero e anche in Italia, per le sue opere sociali”?

Il conduttore di Porta a Porta non è uno storico e neppure un giornalista, bensì un artista, come lui stesso si definì in occasione della vicenda del tetto ai compensi Rai. Però le licenze poetiche non dovrebbero essere concesse se ci si misura con la storia. Anzi, si suppone che ogni interpretazione sia almeno documentata.

Così ci permettiamo di suggerire all’autore dell’incredibile parere sul consenso durante il fascismo, la lettura di un paio di volumi. Uno è “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo” con cui lo storico Francesco Filippi, ha smascherato tutte le falsità che celebrano un duce in fondo “buono”. È un manuale scientifico meritorio e molto istruttivo, che ogni antifascista, nonché qualsiasi cittadino italiano che si riconosce nella Costituzione, dovrebbe tenere a portata di mano.

L’altro libro che ci permettiamo di sottoporre all’attenzione dello strapagato conduttore tv è “Le veline di Mussolini”, di Giancarlo Ottaviani. Un libro agile e anche drammaticamente divertente. Le veline erano i fogli d’ordine, dattiloscritti appunto su carta velina perché, dovendo essere realizzati in molte copie con macchina da scrivere e carta carbone (copiativa), più sottile era la carta e più se ne potevano realizzare con una singola battitura (ponendo la carta carbone tra una velina e l’altra). Cominciarono a circolare dal 1935, indirizzate a quotidiani e periodici, e dal 1937, con la nascita dell’Eiar, anche alla radio (Vespa, ricordiamo è stato anche giornalista radiofonico Rai).

Il 23 settembre 1939 il Minculpop invita la stampa a pubblicare un discorso di Mussolini, indicando che «poteva essere commentato», ma precisando: «il commento ve lo inviamo noi».

Dettaglio di una “velina”

Questo dunque era il consenso “spontaneo” al regime.

Il controllo della stampa e della comunicazione è obiettivo primario che ogni dittatura mette al primo punto del proprio programma perché significa controllo della libertà di pensiero e quindi di scelta. Ancor oggi, infatti, la verifica e la denuncia della repressione della stampa e della comunicazione libera sono diventate le maggiori cartine di tornasole per valutare le odierne democrazie.

Nei primi anni del fascismo, preposto al controllo c’era l’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio. Mussolini accentrò a sé tale strumento proprio perché ne capì l’importanza a fini politici. Poi nel consolidamento del regime tra il 1923 e il 1928, attraverso diverse leggi, fu soppressa di fatto la libertà di stampa. Nel 1934 tale Ufficio divenne un Sottosegretariato per la stampa e la propaganda, diviso nelle competenze di stampa italiana, stampa estera e propaganda. Nel 1935 il Sottosegretariato divenne ministero della Stampa e Propaganda, e nel 1937 fu denominato ministero della Cultura Popolare, conosciuto in forma abbreviata come Minculpop. Esso fu autorizzato a tenere propri funzionari presso le prefetture più importanti, qualificati come addetti stampa per il giornalismo e l’editoria. Il controllo sugli organi di informazione divenne così capillare.

Il Minculpop dava quotidianamente ai giornali opportune “disposizioni di stampa” riservate, le “veline”. Le indicazioni erano sempre dettagliate e costituirono una azione di vera e propria censura da parte del regime, destinata a incidere sul tessuto sociale del Paese.

Ecco alcune perle oltremodo significative tratte dal libricino di Ottaviani:

Il “gigante” Primo Carnera (era alto quasi 2metri). Conquistò il titolo di campione mondiale dei pesi massimi nel 1933 al Madison Square Garden di New York (nella foto) vincendo contro Sharkey. Titolo però perso l’anno successivo contro Baer

– disposizione Min. Stampa e propaganda del 26.6.1935: «Non pubblicare fotografie di Carnera a terra». Primo Carnera era un famoso pugile che, dopo un’importante vittoria su un ring a New York, si era affacciato con Mussolini dal balcone di Piazza Venezia, indossando l’uniforme della milizia fascista.

– disposizione Min. Stampa e propaganda del 26.12.1936: «non occuparsi mai di nessuna cosa che riguardi Einstein».

– disposizione Min. Stampa e propaganda del 14.8.1937: «nelle corrispondenze dalla Sicilia non si deve pubblicare che il Duce ha ballato».

Eleganza al mare, secondo i dettami della moda nel ventennio

– disposizione Minculpop del 17.7.1939: «Non pubblicare fotografie e disegni di donne raffigurate con la cosiddetta ‘vita di vespa’. Disegni e foto devono rappresentare donne floride e sane».

– disposizione Minculpop del 26.1.1943: «è fatto divieto assoluto di pubblicare commenti o critiche sull’affollamento dei mezzi di trasporti urbani».

– disposizione Minculpop dell’1.6.1943: «non occuparsi per ora di questioni concernenti l’avanspettacolo e le riviste di teatro».

– disposizione Minculpop del 23.6.1943: «non occuparsi di edizioni italiane di opere di Tolstoj, Dostoevskij, ecc».

Quello che si imponeva alla stampa era chiaramente il risvolto quotidiano nella società di un clima poliziesco che si affermava a colpi di denunce, calunnie, spiate, paura, condanne, etc. gestite dal potere. Era dunque un consenso imposto, cioè un ossimoro.

A sostegno di questa convinzione, mi permetto di citare un piccolo esempio tratto dal mio lavoro “Storie di antifascisti (dal Casellario politico della provincia di Massa-Carrara)”, Pubblicato in Quaderni di fare storia, n. 5 – Istituto storico della Resistenza di Pistoia, 2006. È tratto dal fascicolo “TP – Socialista, nato a Massa, nel 1880, cavatore”. Il 26 gennaio 1936, i Carabinieri della compagnia di Massa scrivono alla Regia questura di Massa: «[…] il 25 dicembre TP malmenò e scacciò di casa il figlio, giovane fascista, perché da molto tempo disoccupato […] Il giovane riferì così al caposquadra IE che il padre aveva staccato dalla parete della camera il ritratto del Duce e dopo di averlo stracciato e bruciato di aver pronunciato le seguenti frasi “Maledetto chi comanda”, “Vigliacco sei te!”. […] il caposquadra  accompagnò il giovane dal segretario politico del luogo capomanipolo M. signor S.  al quale il denunciante confermò l’accusa. […] Il TP, socialista non schedato, è tuttora di idee contrarie al regime, è dedito alle bevande alcoliche e di carattere irascibile».

La foto riprende l’aula del tribunale speciale di Bologna durante un processo (da https://www.storiaememoriadibologna.it/ imageserver/gallery_big/files/ vecchio_archivio/seconda-guerra/ b/B6_007.jpg)

TP fu diffidato. La diffida era il primo livello dei provvedimenti previsti dalle leggi speciali del 1926, seguivano poi l’ammonizione e infine la denuncia, che poteva essere depositata alle Commissioni provinciali per il confino, o al Tribunale speciale.

Un figlio che denuncia il padre alle ridicole gerarchie del fascio in nome della politica! Questo era il clima sociale instaurato sulla delazione e le conseguenze per un litigio in famiglia di aver staccato una piccola foto del duce staccata dalla parete. E si potrebbero moltiplicare gli esempi tratti dallo studio di episodi della vita quotidiana durante il regime.

Da ultimo, avallando la necessità comunque di sorridere ancora, viene spontanea una domanda, anche un po’ cattiva (ma l’interessato son sicuro reggerà): “Chi è oggi il  Minculpop che suggerisce, con le proprie veline, a Vespa i suoi commenti apologetici del fascismo e i suoi fantasmagorici libri?”

Massimo Michelucci, direttore Istituto storico Resistenza Apuana (Isra), del direttivo sezione Anpi Massa