Il 5 maggio del 1938 Adolf Hitler è accolto trionfalmente a Napoli, secondo un cerimoniale curato sin nei minimi dettagli. Alla stazione è ricevuto da Vittorio Emanuele III, dal principe Umberto e dagli alti gerarchi fascisti, Galeazzo Ciano, Achille Starace, Dino Alfieri. Come mostrano tante foto dell’epoca, la città tirata a lucido – grazie a mirati interventi di facciata – è tutta ornata di bandiere, fasci littori e svastiche. Quasi non la si riconosce più. Il lungomare è addobbato con vessilli in cui spiccano la croce uncinata e la lupa capitolina; corso Umberto, precedentemente liberato da ogni “ingombro”, la sera è scenograficamente illuminato. “La statua di Nicola Amore – annota Elena Canino nel suo diario, Clotilde tra due guerre – è stata tolta dall’omonima piazza per fare posto al corteo e non far subire deviazioni al passo dell’oca”. Per stupire il dittatore tedesco, il fascismo ha mobilitato nella sua interezza la macchina organizzativa del regime, non badando a spese.

Il Führer della Germania nazista su una berlina nera, con i carabinieri della scorta al seguito, sfila lungo via Caracciolo tra ali di folla acclamanti e al suono del rullo dei tamburini. Accompagnato da esponenti di primo piano del Terzo Reich, tra cui Rudolf Hess, Joseph Goebbels e Heinrich Himmler, assiste dall’ammiraglia “Conte di Cavour”, insieme con Benito Mussolini e il re, a un’imponente esercitazione navale, finalizzata a suscitare la sua ammirazione per i mezzi e gli uomini delle Forze armate italiane. Dal transatlantico “Rex” centinaia di invitati privilegiati osservano la più grande parata che abbia mai avuto luogo nello specchio d’acqua tra Napoli, Capri e Ischia. «Una visione di potenza in uno scenario di incomparabile bellezza offerto dal golfo di Napoli»: così viene commentato sulla stampa l’evento, reso più gradevole dalle condizioni climaticamente molto favorevoli.

Non è superfluo aggiungere che nel corso di quel lontano 5 maggio viene messa in scena, nel capoluogo partenopeo, un’adunata oceanica, strutturata secondo le modalità della spettacolarizzazione della politica, tipiche dei totalitarismi novecenteschi. Un rito di massa, dunque, attraverso il quale si vuole magnificare da un lato la marina italiana, dall’altro il ruolo di Napoli quale naturale trampolino di lancio del neonato impero fascista, proteso a trasformare il Mediterraneo di nuovo in un Mare nostrum. Nel cortometraggio, Le manovre navali nel mare di Napoli, prodotto dall’Istituto Luce, appaiono corazzate, incrociatori, cacciatorpediniere, idrovolanti, motosiluranti (i famigerati mas), sommergibili, capaci – questi ultimi – di immergersi e di riemergere rapidamente più volte come un branco di giganteschi cetacei (ben 90, su oltre 200 unità navali complessivamente impegnate, partecipano alla simulazione di azioni belliche). In quelle sequenze si esaltano i mostri d’acciaio, i simboli della forza e di una sinistra modernità. “Con una simile flotta – dice con tono altisonante lo speaker – l’orgoglio della Nazione può essere sul mare”.

Napoli è la seconda tappa del viaggio ufficiale di Hitler in Italia, preceduto dai minuziosi preparativi predisposti dalle autorità fasciste, con l’approntamento anche di un piano di sicurezza che porta all’arresto di circa seimila antifascisti. Il soggiorno nel Bel Paese del caporale boemo, dell’imbianchino – come pure viene etichettato il Führer dai suoi avversari e detrattori – è per una parte consacrato alla visita dei principali monumenti e musei di Roma e di Firenze, per l’altra si svolge all’insegna delle parate militari. A Roma, lungo la via dell’Impero, Hitler vede marciare con passo marziale reparti dell’esercito italiano e unità del Partito Nazionale fascista (Pnf): miliziani, membri dei Guf (Gruppi universitari Fascisti) e del Dopolavoro, balilla, avanguardisti, giovani italiane.

È sullo sfondo della Capitale, interamente mobilitata per rendere omaggio all’ospite teutonico, che Ettore Scola ambienterà nel 1977 il suo intenso film, Una giornata particolare, magistralmente interpretato da Sophia Loren e Marcello Mastroianni, nei panni di una casalinga e di un omosessuale, emblemi rispettivamente della marginalizzazione e della persecuzione a cui devono sottostare le donne e i ‘diversi’ durante il Ventennio.

Il Vesuvio dipinto da Giuseppe De Nittis. Il quadro era stato acquistato da un ricco ebreo austriaco. Nel 1938 fu confiscato dai nazisti e trasferito nello Stift Kremsmünster con molte altre opere

Con i giorni trascorsi sulle rive del Tevere e dell’Arno, nonché ai piedi del Vesuvio, Hitler si prefigge di rinsaldare i legami con l’alleato fascista, in vista magari della sottoscrizione di un preciso accordo politico e militare, cosa che avverrà nel maggio 1939 con la firma del Patto d’Acciaio. Insomma, si ripromette di andare oltre l’intesa stipulata il 24 ottobre 1936 e ribattezzata pomposamente dal Duce l’Asse Roma-Berlino, nel discorso tenuto a Milano il 1° novembre di quell’anno.

Intesa che aveva avuto comunque conseguenze molto rilevanti: l’intervento congiunto italo-tedesco nella guerra civile spagnola al fianco dei nazionalisti capeggiati dal generale Francisco Franco; l’adesione dell’Italia al Patto Anticomintern (6 novembre 1937), già siglato fra il Terzo Reich e il Giappone imperiale; l’ulteriore colpo inferto al quadro internazionale dal nazismo con l’Anschluss, quando – il 12 marzo 1938 – viene fagocitata l’Austria, abbandonata alla sua sorte da Mussolini, erettosi invece nel 1934 a suo protettore dalle mire germaniche. Da quel momento la spinta espansionistica di Berlino non pare conoscere battute d’arresto: di lì a qualche mese il Terzo Reich si impadronirà pure, in Cecoslovacchia, della regione dei Sudeti, abitata per lo più da tedeschi, con la mediazione del Duce alla conferenza di Monaco.

Dal canto suo il regime fascista, mentre prosegue nella marcia di avvicinamento al nazismo, continua a sostenere con largo dispendio di uomini e mezzi lo schieramento reazionario in Spagna, in una lotta che segna sempre più l’internazionalizzazione dello scontro con le forze antifasciste. Intanto, sul piano interno alimenta un clima di tensione artificiosa; ne sono testimonianza non tanto il ripetersi delle mobilitazioni di piazza, l’imposizione del voi, il divieto della stretta di mano, l’obbligo di sostenere gli esami universitari con la divisa del Partito, quanto soprattutto il montare della campagna antisemita, che tra luglio e novembre del 1938 sfocia nella pubblicazione del Manifesto degli scienziati razzisti, nell’esordio della rivista La Difesa della Razza e nel varo di una durissima normativa antiebraica (le famigerate leggi razziali).

È questo il contesto entro cui va inscritto il fugace ma significativo passaggio di Hitler a Napoli nel cruciale 1938, anno in cui il regime mussoliniano sembra toccare lo zenit in città, scandito com’è – quell’anno – dall’esposizione della mostra della pittura napoletana del 600-700 e 800 al Maschio Angioino, dall’approvazione del piano di bonifica del quartiere di Fuorigrotta, dall’apertura dello stadio “Littorio”, dall’inaugurazione, il 28 ottobre, del liceo Sannazaro in via Puccini al Vomero, nonché dal festeggiamento in piazza Plebiscito di 225 famiglie di coloni in partenza per la quarta sponda libica.

16 anni prima, nell’ottobre 1922, alla vigilia della marcia su Roma, il Pnf aveva tenuto il congresso proprio a Napoli

Nel 1938 – è opportuno rilevarlo – il Pnf nella provincia di Napoli, che dal 1927 ha incorporato parte della soppressa Terra di Lavoro, conta 77.500 iscritti fra gli uomini e 22.683 fra le donne. Il Pnf è un canale di promozione sociale per gerarchi di rango inferiore, che si vedono aprire anche le porte dei consigli d’amministrazione del Banco di Napoli, degli Ospedali Riuniti, dell’Ente provinciale per il turismo, del Regio automobil club d’Italia. Chi nel Pnf non riesce a ottenere lucrosi impieghi, frequenti sussidi, cariche e onori, deve accontentarsi di sottrarre fondi ai gruppi rionali preposti all’assistenza pubblica, di esigere ricompense in cambio di favori e bustarelle per l’assunzione nelle nuove imprese.

La nave da guerra Giulio Cesare, 1937

Grazie al dispiegarsi del disegno imperialistico del fascismo, con la scelta dell’autarchia e della corsa al riarmo (il gran premio della morte), la grande industria napoletana, in particolare il comparto della produzione bellica, si lascia alle spalle i problemi legati alla difficile riconversione del primo dopoguerra e alle pesanti ripercussioni della crisi del 1929. Proprio nel 1938 l’Amministrazione militare, che controlla lo stabilimento di Pozzuoli originariamente dell’Armstrong, ne trasferisce la proprietà all’Ansaldo, vincolandola, per contratto, a realizzarne il potenziamento. È in tale circostanza che Mussolini fa visita ai cantieri dell’Ansaldo, il cui personale toccherà presto le 2.000 unità. Nello stesso anno a Fuorigrotta vede la luce l’Istituto per i motori e, a opera del Banco di Napoli, viene fondato l’Istituto per lo Sviluppo Economico dell’Italia Meridionale (Isveimer). Quest’ultimo, sorto per supportare e incentivare la piccola industria, attraverso l’erogazione creditizia a medio termine, ha una dotazione iniziale insufficiente (soltanto a partire dal riordino su nuove basi, nel 1953, riuscirà a essere più incisivo). Sempre nel 1938 la Società elettromeccanica, costituita il 6 luglio 1931, con sede a Napoli, assume la nuova denominazione di Officina costruzioni riparazioni elettromeccaniche napoletana (Ocren), il cui capitale sociale passa da 400.000 lire a due milioni.

Tuttavia, i dati del censimento industriale del 1937-’39, pur segnalando un’indubbia ripresa, rimarcano ancora una volta la fragilità delle imprese partenopee, lo scarso peso dell’imprenditoria locale, la modestia dei capitali investiti sul territorio. Fra il 1937 e il 1938 la stabilità interna (l’ordine) e il prestigio internazionale acquisito dal fascismo, soprattutto dopo la fondazione dell’impero nell’Africa Orientale Italiana, stridono con le dure condizioni di vita di una quota ampia di italiani e specialmente di meridionali. Cosa che si può sicuramente dire anche per il variegato mondo delle classi subalterne e dei ceti piccolo-borghesi partenopei.

Il regalo del fascismo a Napoli: la distruzione della guerra

Neppure aver eletto Napoli a porto dell’Impero, ossia a snodo nevralgico dei rapporti coi possedimenti d’oltremare, si rivela una decisione strategica in grado di risolvere, se non in minima parte, quanto angustia il popoloso centro urbano durante “l’autunno del fascismo” (Francesco Soverina). Il disastroso andamento del secondo conflitto mondiale, con il moltiplicarsi di lutti e devastazioni, di ferite materiali e morali, si incaricherà poi di decretare il fallimento del progetto fascista di «Napoli imperiale», vitale punto di congiunzione con l’Africa. Sotto un diluvio di bombe verrà seppellita la presunta vocazione mediterranea della città in chiave colonialista e militarista. In pochissimi presagiranno, mentre Adolf Hitler sosta a Napoli nel corso di quella “bella giornata” del 1938, il precipitare di lì a non molto nella rovinosa e terribile “nuttata” della guerra, che cambierà il volto e forse l’anima alla città e al mondo intero.

Francesco Soverina, storico