Arriva una mail. Una ricercatrice dell’Università di Parma scrive all’Anpi nazionale per proporre la sua tesi triennale. Ha un titolo curioso: “Boborosso, che paura!”. Una mail come tante, si direbbe, ma la conclusione rimanda a una forte personalità: “non vorrei che questo lavoro rimanesse a prendere polvere negli scaffali delle biblioteche”. Contatto, ricevo la tesi. Colpisce già la prima parte dell’introduzione. Si legge, fra l’altro: “Il testo non nasce così, come lo leggerete. La prima stesura si incentrava sullo studio dei processi di italianizzazione che hanno causato una progressiva scomparsa di una delle più importanti individualità di ogni paese, il dialetto. Poi un cambio di rotta, una virata improvvisa”.

La ricercatrice ha 26 anni, si chiama Laura Bologna. Continuando la lettura apprendo che la svolta arriva con un nome. Di battaglia. E di una donna: Sonia, una staffetta partigiana, nella vita civile Vanda Bianchi, figlia di un sovversivo, entrata nella lotta di Liberazione ad appena diciassette anni.

Vanda Bianchi “Sonia”

Per conoscere quella figura la giovane ha consultato il libro di Pino Marchini Un berretto pieno di speranze e a quel punto sono nate le domande, irrimandabili: avevano tutte e tutti uno pseudonimo e perché? “Da questa forte carica emotiva prende forma la mia tesi”, scrive Laura. Una tesi sui nomi di battaglia dei partigiani!

Uno primo piano dell’ormai anziano Erminio Masiero “Neri”

Da responsabile della formazione Anpi non poteva non colpirmi il fatto che la curiosità invoglia la ricerca e soprattutto fa approdare all’emozione. Ma c’è di più. L’appellativo Boborosso ha una storia importante, tutta da scoprire. Anni fa nel territorio di Udine venne indetto un premio letterario dall’Associazione culturale Boborosso, in ricordo di Erminio Masiero “Neri”. Nella Bassa friulana, ci spiega Laura, è il papavero ad essere chiamato così: “Come quella creatura misteriosa e diabolica che nelle leggende può essere vinta solo se affrontata con coraggio e curiosità. Il papavero è un fiore libero, cresce nei prati, tra il grano, ci accompagna lungo le strade e lungo i binari dei treni”. È anche un fiore fragile: “Ci colpiscono alla vista i coloratissimi campi di papaveri caratteristici dei quadri macchiaioli. Se colto e imprigionato in un vaso appassisce immediatamente. I suoi petali sono rossi come il fuoco, come la Resistenza”.

(Unsplash)

Ragiona la ricercatrice: “A questo, forse, si ispirò il cantautore Fabrizio De André per i versi della sua notissima La guerra di Piero: Dormi sepolto in un campo di grano/Non è la rosa non è il tulipano/Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi /Ma sono mille papaveri rossi”.

Proseguo la lettura. Citare Fabrizio De André mi “costringe” a imbracciare la chitarra e suonare. Non è tutto, perché nel finale dell’introduzione, la ricercatrice si schiera: “Mi sono immaginata quale pseudonimo avrei scelto se fossi stata una resistente. Dopo svariate ricerche, ho deciso: mi sarei proprio chiamata Boborosso. I motivi sono molti, rispecchia il mio carattere, la mia indole, ho pensato che sicuramente avrei scelto un nome che facesse paura al nemico, proprio come la creatura diabolica leggendaria friulana; al contempo che fosse uno pseudonimo che rispecchiasse anche la donna: quale scelta migliore di un fiore?”.

La giovane autrice della tesi, Laura Bologna

Dunque, dalla curiosità alla ricerca e all’impegno. Bello! Contatto Laura per una chiacchierata. Mi racconta che attualmente vive a Marina di Carrara, originaria di Castelnuovo Magra, La Spezia, cresciuta fra i libri, la campagna e l’amore per i nonni. Si definisce “una studiosa appassionata di storia e di onomastica”. Laureata a Pisa in Lettere moderne, ha da poco concluso un tirocinio come assistente al docente universitario di sociologia e processi culturali all’Università di Parma. Tocca a me ora chiedere.

La storia della Resistenza che hai studiato alle scuole medie e superiori è stata propedeutica alla tua tesi, oppure è stata vissuta solo come una materia tra le altre?

In primo piano la bellissima Rosi Romelli

Sia alle medie sia alle superiori avevo una conoscenza troppo acerba per capire davvero che cosa significasse Resistenza. Sono stati i miei studi universitari ad avermi fatta maturare, mi hanno permesso di avere una preparazione tale da affrontare l’elaborato della tesi. La Resistenza va studiata, ma soprattutto va capita. Ed è difficile quando sei giovane, anche perché coloro che l’hanno vissuta per ragioni anagrafiche stanno scomparendo, portandosi via un enorme bagaglio culturale, una testimonianza di vita che io, nel mio piccolo, assolutamente non mi sono voluta perdere. Mentre scrivevo la tesi avvertivo un estremo bisogno di conoscere, incontrare persone, farmi raccontare. Gli studi universitari mi hanno donato, per me è stato un grande dono, un occhiale adatto a vedere la portata di certi fenomeni storici. A mio avviso, per quello che durante i miei studi primari e secondari ho potuto percepire, la Resistenza viene considerata solo un capitolo tra i tanti di un manuale di storia. Invece è “il” capitolo di svolta, perché è proprio grazie a quell’atto di disobbedienza che oggi noi “abbiamo un terreno su cui poetare”, citando le parole di Vinicio Capossela.

Da qui il tuo interesse per i partigiani.

Il paesino in cui sono cresciuta, Castelnuovo Magra, nella Bassa Val di Magra, è stato un luogo molto colpito dal secondo conflitto mondiale, il rastrellamento nazifascista del 29 novembre 1944 ha segnato fortemente il territorio, tant’è che oggi viene celebrato un anniversario. Sono cresciuta fra le storie dei partigiani del paese che ho voluto ricordare nella mia tesi, fra cui Vanda Bianchi, meglio conosciuta come la partigiana Sonia.

Matrimonio partigiano (Cgil Biella)

Per parlare dei partigiani hai usato il criterio dei riti e delle simbologie. Hai “messo da parte” gli aspetti del conflitto bellico?

Siamo abituati a vedere la Resistenza attraverso date, battaglie, rastrellamenti, ma difficilmente vediamo i partigiani come persone ed è proprio attraverso la loro umanità che ho portato avanti la mia tesi. L’uomo, inteso come singolo e come appartenente a una comunità, è destinato a riti, usanze e simbologie attraverso i quali si identifica e si differenzia rispetto ad “altro”, a un qualcosa che non gli appartiene, che gli è estraneo e nel quale egli non si riconosce. L’obiettivo della tesi di laurea, dopo aver dipinto un quadro generale sui riti e sulle simbologie che fanno di un uomo un vero e proprio partigiano, era porre l’attenzione sui nomi di battaglia.

Matrimonio partigiano

La tesi di Laura Bologna apre gli occhi sul quotidiano di quei venti mesi di lotta. Su come e in che modo venivano attribuiti o si sceglievano i nomi di battaglia.

Offre uno spaccato di vita attraverso l’illustrazione di documenti matrimoniali e di funerali, dalle nozze fra “garibaldino” e “garibaldina” celebrate dal comandante, atti riconosciuti anche successivamente, all’ultimo saluto ai combattenti Caduti.

Funerali del tenente partigiano Federico Marescotti, ucciso il 18 ottobre 1944

Fa notare Laura: “Nessuno si nasconde, nessun funerale viene fatto a porte chiuse; le chiesine di paese sono affollate, sono luoghi in cui si onorano i partigiani caduti in battaglia. Nonostante la paura occupasse i loro cuori, il recupero e il riscatto della salma di un compagno era di assoluta importanza”.

Funerali per l’eccidio del caseificio Castagnetti (Anpi Mirandola)
Funerali di alcuni partigiani in Veneto

E mette questi eventi in relazione al comportamento terroristico dei nazifascisti: “dopo le fucilazioni e le morti violente c’era l’umiliazione, la spoliazione, la distruzione, l’esposizione dei cadaveri, come ai tempi ei briganti e dei pirati. All’eliminazione degli avversari, solitamente mediante fucilazione, seguiva l’ordine di lasciare i corpi sul posto come pubblico ammonimento”.

Ancora. L’elaborato descrive l’abbigliamento del partigiano e, in alcuni casi, all’attenzione riservata allo stile, un segno di gigantesca fierezza in chi poteva contare solo in divise improvvisate. Entra nel merito dell’alimentazione e del rito di mangiare in gruppo e, in ultimo, del canto. Insomma, quei tratti che, anche se ci pensiamo, non sempre, coniughiamo a una “straordinaria normalità”.

Sono aspetti che caratterizzarono una scelta e un periodo storico e ci permettono di conoscere di più. Perché le partigiane e i partigiani erano persone. Documentatissima e approfondita la ricerca sui nomi di battaglia: collocazioni regionali, classificazione per argomento, derivazione dei nomi e numerose interviste. Una ricerca storica e insieme un’offerta di documentazione su cui riflettere e costruire progetti di conoscenza. Una ricchezza che si spinge oltre.

Festa nella Verona liberata

Dagli aspetti del quotidiano si passa ai valori, considerati attualissimi, della Resistenza. La ricerca storica ti ha aiutata?

Il valore più importante che ho davvero compreso è stato quello di libertà. Il primo significato di libertà che assume la scelta resistenziale è implicito nell’essere un atto di disobbedienza. Nel momento in cui dico no, ho già scelto e mi preparo a subire tutte le conseguenze. In quel periodo storico la scelta era fra vivere o morire, o meglio, consegnare la tua libertà nelle mani di un regime totalitario oppure lottare anche a costo di morire per una vita migliore, per un Paese libero e democratco, una chiamata in causa per tutti. Quei valori sono arrivati fino a me.

(Imagoeconomica)

Come si confronta la tua generazione con la lotta di Liberazione e il 25 aprile?

Ne ha una vaga percezione, sente certamente l’importanza dell’anniversario, tuttavia mi piacerebbe comprendesse pienamente cosa ha significato e significa anche oggi. Che non è condividere una foto sui social. Viviamo in una società governata dalla superficialità, in pochi si spingono oltre, purtroppo non c’è abbastanza conoscenza e voglia di capire. Invece, se l’uomo di oggi è libero di scegliere, lo è grazie a chi in passato ha lottato per un Paese democratico, nel senso etimologico, démos-popolo e krátos-potere. È come se potessimo aprire un armadio e indossare il vestito che più ci piace, ci rappresenta, ci distingue, ci fa sentire bene e unici come persone, anche rispetto a chi indossa il medesimo abito. Perché ognuno lo porterà e interpreterà in modo diverso. La maggior parte degli uomini di oggi invece “sceglie di non scegliere”, o meglio si mette addosso un impermeabile e osserva con indifferenza l’armadio variopinto costruito con i valori della democrazia.

La tua tesi può contribuire dal punto di vista pedagogico, a comprendere il significato della libertà conquistata.

La generazione degli anni Duemila ha i nonni nati dopo la lotta di Liberazione. Quel periodo è ancora più lontano proprio perché non direttamente raccontato dalla memoria di chi c’era. Cercare di far rivivere prima di tutto le persone che scelsero in un momento così difficile, significa prima di tutto parlare di loro, di come erano e di cosa significasse vivere sui monti o nelle città occupate. Certamente, forse proprio perché la Resistenza è osservata da un lato più umano, diverso perché si parla di abiti, di matrimoni, di trofei, ma soprattutto del grandissimo e affascinante mondo dei nomi di battaglia, spero possano essere argomenti capaci di catturare l’attenzione dei giovani e spingerli a una conoscenza più approfondita.

Lo Stato Maggiore dell’8° brigata Garibaldi a Meldola (FC)

Oggi c’è chi si professa “fascista del terzo millennio”.

Io sono antifascista, altrimenti la mia tesi non avrebbe senso. Il mio essere antifascista è il filo invisibile che tiene unite le righe, le parole di questo elaborato. E voglio continuare col mio lavoro cercando negli archivi di altri territori. Spero intanto che quanto ho fatto possa essere da stimolo anche per altre ricerche. Tra fonti a cui ho attinto c’è anche Patria Indipendente,. Tra l’altro, appena potrò, vorrei recarmi alle anagrafi e realizzare uno studio su quanti nomi di battesimo sono affini a nomi partigiani e/o al regime fascista. In questa tesi ho voluto scrivere dell’uomo che, sia come singolo sia come parte di un popolo, è destinato a riti, usanze e simbologie attraverso cui si identifica e si differenzia rispetto ad “altro”, ad un qualcosa che non gli appartiene, gli è estraneo e nel quale non si riconosce. L’obiettivo di questa tesi di laurea è la pittura di un quadro generale sui riti e le simbologie che fanno di un uomo un vero partigiano.

Paolo Papotti, componente della Segreteria nazionale Anpi, responsabile Formazione