Un post del 10 gennaio (da facebook.com/shamsia.hassani)

“L’arte cambia la mente delle persone e le persone cambiano il mondo”: così la giovane Shamsia Hassani accoglie il visitatore che approda sul suo sito ufficiale in rete. Concretizzando le parole, Shamsia Hassani, la prima street artist donna in Afghanistan, pittrice e docente di scultura all’accademia di Belle Arti di Kabul, dov’è tornata volontariamente nel 2005 rischiando la vita, dopo i molti successi e riconoscimenti in Occidente, anima i muri disastrati della città.

Li rende vivi e li fa parlare con figure femminili volanti e aggraziate, spesso avvolte nel lungo chador blu lapislazzulo come novelle madonne, circondate di fiori, farfalle, conchiglie. Abbracciate a strumenti musicali e immerse nelle note danzanti che sprigionano suonando, hanno la forza di rompere il muro della violenza con leggiadria e leggerezza, con la tenacia di un sorriso.

(da instagram.com/shamsiahassani/)

Arte, la sua, che si fa impegno politico fin da subito – dal 2014 è uno dei 100 pensatori globali più importanti per la rivista statunitense Foreign Policy, è inclusa nel secondo volume di Goodnight Stories for Rebel Girls, ritratti di donne rivoluzionarie di tutto il mondo ed è cofondatrice di Berang, organizzazione no profit che in Afghanistan promuove l’arte e la cultura – scelta che oggi la obbliga a nascondersi in un luogo segreto dal quale continua a lavorare alla serie di opere Death to Darkness.

Le opere di Shamsia Hassani ora vivono nel cuore della tragedia, aggrappate a muri che si stanno sgretolando sotto le bombe della dittatura, diventando emblema di impegno, solidarietà, consapevolezza. Guardiamole nei begli occhi dalle lunghe ciglia, queste colorate donne coraggiose, figlie di un’artista unica e tenace che con le sue armi – spray e pennelli – ogni giorno cerca di creare un mondo migliore.

“Gli uccelli di nessuna nazione non hanno voce per cantare, sono tutti prigionieri”: dai volti senza labbra escono frasi in lingua dari e non si può far finta di non leggerle. Non si può girare la testa dall’altra parte.

Negli anni, Shamsia Hassani ha esposto e realizzato opere in tutto il mondo, da Los Angeles a New York fino in Germania, Norvegia e anche in Italia, a Firenze.

Samshia Hassani, Ritratto con murales

A guidarla, sempre, una convinzione: “l’arte è più forte della guerra. Voglio colorare i brutti ricordi della guerra sui muri. Forse, se riesco a colorare questi brutti ricordi, allora riesco anche a cancellare la guerra dalla mente della gente. Voglio rendere l’Afghanistan famoso per la sua arte, non per la guerra”, diceva.

Negli ultimi giorni ha pubblicato sul suo profilo Instagram alcune opere che racchiudono la profonda disperazione delle donne afghane. Nell’immagine più simbolica viene raffigurata la banconota da un dollaro americano come se fosse il sipario di un teatro: sul palcoscenico, tra le scene di distruzione, c’è il volto fiero, a testa alta, di una donna.

In un altro post c’è una ragazza vestita di azzurro che stringe a sé una pianola mentre una schiera di guardiani neri la sorveglia. La didascalia riassume i pensieri di tutti: Nightmare. L’incubo che stanno vivendo le donne afghane e non solo.

Shamsia Hassani

Sebbene la strada da percorrere per giungere alla meta sia ancora lunga, la giovane street artist desidera impiegare le proprie forze per far sì che l’Afghanistan, l’Iran e tutti quei luoghi in cui ancora l’educazione e la parità sembrano essere irraggiungibili, possano un giorno ricostruire la storia del Paese a partire da quelle stesse pietre che oggi cedono sotto bombe e proiettili che stanno distruggendo città e speranze.

Sebbene Kabul sia avvolta da nubi di macerie e da una cultura maschilista e patriarcale, Shamsia Hassani ancora crede nel valore e nella forza dell’arte, intesa come strumento comunicativo ed educativo.

Come affermare il ruolo dell’arte in uno scenario ove a regnare sovrane sono la distruzione, l’abolizione dei diritti umani e l’incertezza del domani? Hassani, attraverso i murales, cerca di portare colore tra le vie di una città ridotta a brandelli dai “potenti” e di far sentire la propria vicinanza alle “impotenti”. Ed ecco che, oltre il velo e il capo chino, si palesano le vere protagoniste delle sue opere: la vicinanza e l’unione.

Elisabetta Dellavalle, giornalista e docente, collabora con La Stampa