L’umiliazione, la ribellione della donna esplicita o sepolta e la solidarietà non potevano trovare interprete migliore di una sensibilità femminile. Così Maysaloun Hamoud, regista palestinese di origine ungherese, le porta sullo schermo In Between “Libere disobbedienti innamorate”. Titolo originale Bar Bahr (in arabo: tra terra e mare) produzione franco-israeliana. Quest’opera prima apparsa dopo i corti “Shades of Light” (2009) “Sense of Morning” (2010) e “Salma” (2012) vincitrice al Festival norvegese di Trondheim, premiata in Canada e Israele, esplicitamente condannata dagli integralisti islamici, affronta le reazioni di tre giovani palestinesi nella moderna Tel Aviv di fronte alle chiusure della società machista.
Ciò che lega le tre protagoniste, dai percorsi e caratteri diversi, è il desiderio emblematico di indipendenza, di autodeterminazione e la speranza comune di libertà. Il film – dice la regista – è un invito alla liberazione rivolto non solo alle donne arabe ma a tutto il mondo muliebre ancora alle prese con i pregiudizi di genere.
Leila (Mouna Hawa) e la Salma (Sana Jammelieh) vivono le loro storie e sentimenti con foga esplicita, l’una avvocatessa per tribunali, l’altra disc jockey, al banco di un pub. Non si negano la gioia di vivere. Noor (Shaden Kamboura), studentessa di informatica si dibatte segretamente tra il desiderio di realizzarsi, la tradizione religiosa del suo villaggio che le impone velo e obbedienza a Wissam promesso sposo padrone.
La permanenza in uno stesso appartamento e alcune vicende scottanti avvicinano le prime due ragazze, fumatrici di canne e frequentatrici di locali, alla coinquilina studiosa, malgrado il primo impatto negativo con la sua scontrosità. Soprattutto quando Wissam per inchiodarla al destino delle tre k (in tedesco kuche, kirche kinderstube cioè cucina chiesa camera dei bambini) di nostra antica memoria, non trova di meglio che violentarla. La scena è penosa. Ci colpisce questa figura di osservante intabarrata nel niqab, umiliata e offesa. Assistiamo alla sua intima rivolta dapprima un po’ goffa, paurosa e negativa ad ogni offerta di socializzazione, poi aperta ad una forza inattesa. Per crescere bisogna anche disobbedire. Con l’aiuto delle amiche troverà il modo di liberarsi dalla vincolante promessa di matrimonio, incontrando per fortuna anche la comprensione di un padre paesano saggio.
Altrettanto autentiche nella narrazione appaiono le due compagne a volte scatenate nei loro sballi, ma con le idee chiare nel difendere la propria indipendenza.
Il muro dei comportamenti maschilisti è rappresentato, oltre che dal fidanzato integralista di Noor, dai datori di lavoro, dai parenti, ed anche dall’innamorato che Leila respingerà benché innamorata, perché conformista e succube dei pregiudizi sociali. La famiglia bigotta di Salma non accetta l’omosessualità della figlia, considerata una vergogna, nella coriacea tradizione conservatrice. Ma la ragazza, in visita ai genitori, resiste alle minacce e fugge raggiungendo l’amica del cuore.
La Hamoud nata a Budapest, cresciuta a Dur Hana in Israele, poi residente a lungo a Jaffa, ci presenta un ambiente vissuto e sperimentato nei conflitti etnici e religiosi, mostrando punti di vista diversi dagli stereotipi in corso sui palestinesi e trattando le problematiche sessuali con coraggio e delicatezza. Si tuffa, infatti, nei ritrovi arabi dell’underground metropolitano su cui in genere si sorvola e che ci ricordano i nostri anni 70 e 80. Le note musicali sfrontate dei Dam, e il folk di Yasmine Hamdan accompagnano felicemente le immagini.
Le serate con un bicchiere e una marijuana di troppo non impediscono a Salma e Leila di ragionare sulla propria identità e di sviluppare una positiva complicità e progetti per il futuro. Il rapporto coinvolgerà anche Noor e la convincerà a far fronte comune dirompente contro i tabù patriarcali e le discriminazioni di tipo occidentale.
Questa coscienza di sé è basata sul rifiuto della sottomissione, della sofferenza secolare. È questa la novità di contenuto che il film porta nel panorama del cinema palestinese monocorde, focalizzato sui temi politici radicali e collettivi. La sfera esistenziale permette nuove visuali entrando nei rapporti umani. Nello scontro tra passato e presente di fronte ai diritti delle donne scopriamo che anche in Israele, in famiglia, nei ristoranti e nei luoghi di lavoro, non tutti gli ebrei sono democratici, non tutti i cristiani sono aperti e non tutti i musulmani sono fondamentalisti. “E da noi?”, penserà lo spettatore illuminato. I femminicidi in crescita e l’omofobia ci suggeriscono che c’è ancora molto da fare!
Serena D’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista
Pubblicato lunedì 24 Aprile 2017
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