Julieta-o-la-trinità-dello-sguardoUn drappo di seta rossa vibrante come una membrana apre il nuovo film di Pedro Almodòvar. Sembra una raffigurazione del sentimento materno nelle sue contrazioni e contraddizioni. In realtà assisteremo alle sofferenze di Julieta, una donna matura ancora bella, abbandonata dalla figlia diciottenne Antia. La ragazza è sparita dopo un viaggio senza dare più notizie di sé. Sono passati dodici anni. La protagonista le scrive una lettera ripercorrendo i capitoli della sua vita, che non ha potuto raccontarle da bambina, cercando di chiarire le proprie scelte, ma non sa dove indirizzarla. È una carrellata di eventi e di reazioni dominate dal senso di colpa. La donna racconta, svelando il segreto rimorso che la ossessiona, il funesto e casuale episodio di tanti anni prima, in treno, quando, giovane ed esuberante, aveva respinto il colloquio con un uomo che supplicava ascolto. Era seduto di fronte a lei nello scompartimento, insisteva per parlare, ma lei se ne era andata. Lo sventurato poi si era suicidato. Il gesto si riverbera sull’intera esistenza di Julieta acquistando un sapore profetico. Nello stesso tempo, sullo stesso treno, aveva conosciuto un pescatore, Xoan (Daniel Grao) il futuro padre di Antia e, travolta dalla sensualità e bellezza di lui, si era gettata fra le sue braccia.

Questa figura femminile nelle trasformazioni del flash back è interpretata da due brave attrici Emma Suarez e Adriana Ugarte che esprimono con sobrietà volta a volta il tormento, la delusione e l’eccitazione del desiderio.

Julieta-scenaLa narrazione filmica è priva di toni caricati e grotteschi solitamente cari al regista spagnolo. Amore, silenzio e rifiuto sono trattati con distacco, con lo sguardo verso un’altra meta: individuare il segno dell’incomunicabilità. Partendo dal fatto concreto della perdita affettiva, il film risale al retroterra della coscienza, all’eros come fuoco liberatore e al tema centrale della comunicazione tra persone, tra madre e figlia e tra donne e uomini. La chiusura verso l’altro, incontrata all’inizio, si ritrova e reincarna nelle bugie di Xoan divenuto marito e nell’egocentrismo della stessa Julieta, innamorata, concentrata sulle proprie pulsioni e sugli interessi culturali, incapace di dialogo con la piccola Antia. Ritorna nella punizione dell’abbandono, che quest’ultima le riserba dopo la morte di Xoan.

Il pescatore uscito in mare con la barca in piena tempesta non tornerà più. Ha avuto un diverbio con Julieta, che ha scoperto il suo tradimento con Ava (Imma Ouesta) l’amica d’infanzia del marito di cui è sempre stata l’amante.

Il mare con la sua misteriosa mutevolezza, buono e cattivo, col suo pacato abbraccio e i lividi gorghi dell’uragano, acquista nel film un carattere che va oltre gli accattivanti effetti visuali divenendo un emblema di vita e di morte. Julieta ne è sempre stata attratta e impaurita leggendovi il proprio destino.

La lontananza di Antia dalla madre si aggrava con la convinzione della sua responsabilità nella scomparsa di quel padre tanto amato. Cosa gli ha detto? Perché lo ha lasciato andare col mare grosso e le nubi minacciose?

 

julieta-e1464427403837-770x439_cLa giovane (Priscilla Delgado e Blanca Parès) ha sempre cercato altrove, fin da piccola, le risposte al suo bisogno di attenzione. Sono altri ad ascoltarla, non la madre. Dopo Xoan, è la governante Marian (Rossy De Palma) figura forte, quasi stregonesca e vaticinante, che funge da testimone e giudice di persone ed eventi, e poi le amiche di scuola. Il rapporto con la compagna preferita Bea (Michele Jenner) è gratificante ma diviene poi troppo intimo e assillante. La spinge a una svolta radicale. Così raggiungerà una comunità spirituale in montagna. E romperà i ponti col passato.

Il melodramma, ispirato a tre racconti della scrittrice canadese Alice Munro, narratrice della condizione umana quotidiana, più che approfondire le dinamiche dell’azione, mira direttamente alla riflessione sull’alterità. Dentro il nuovo stile di racconto, conciso e chirurgico, i comportamenti dei personaggi sfilano tutti in una sintesi temporale portando al nodo della solitudine nei rapporti interpersonali, al relativismo, alle barriere che vanificano la comprensione, ai limiti degli slanci carnali. Quando Julieta, dopo anni tormentati da una vana attesa, è riuscita a superare l’amarezza esistenziale con un nuovo compagno, Lorenzo (Dario Grandinetti) la figlia improvvisamente si fa viva. È reduce da un grave lutto. Uno dei suoi tre figli è annegato per un incidente. Solo ora Antia, nel pieno dell’afflizione, è in grado di comprendere il dramma dell’esilio materno e di averne rimorso. “Si capisce solo ciò che si è provato” recita il proverbio. La situazione fa pensare alla pena del “contrappasso” dantesco spesso ricorrente nella commedia umana.

La conclusione che ci offre Almodovar è un brivido cartaceo. La lettera di Antia alla mamma col mittente e l’indirizzo convince Julieta, sul piede di partenza per il Portogallo, a cambiare programma a sperare e rimanere a Madrid. Lorenzo le è vicino.

Storia femminile e maschile secca, ma avvincente questa, che rispecchia i normali casi della vita. Viene a puntino per stimolare lo spettatore. Gli offre sullo schermo uno spaccato importante della malattia mortale di oggi, una società sempre più arida ed egoista, fatta di tanti singoli infelici che solo la condivisione potrebbe guarire.

Serena D’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista