(ellyschlein.it)

Elly Schlein è nata nel maggio del 1985. Cinque anni dopo la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Svizzera di nascita (è nata a Lugano), di padre americano e di madre italiana, Schlein è arrivata a Bologna nel 2004 per studiare giurisprudenza all’università. Da allora – tranne un periodo trascorso a Chicago, dove ha partecipato alla prima campagna elettorale di Obama – non è più andata via. Qui ha concluso gli studi. Qui ha deciso che valeva la pena spendersi in prima persona per il rinnovamento della politica e della sinistra. Europarlamentare europea del Pd nel 2014, nel 2020 diventa consigliere regionale dell’Emilia-Romagna con la lista “Emilia-Romagna Coraggiosa”. Prende ben 22.098 voti. È la candidata di lista con più preferenze personali e nel febbraio di quell’anno Bonaccini la nomina vicepresidente della Regione. Le domandiamo quando ha sentito parlare per la prima volta della strage

Elly Schlein e il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (ellyschlein.it)

alla stazione e Schlein ci spiega che è successo a lei «quel che è capitato a tanti figli adottivi di Bologna e di questa straordinaria comunità regionale. Bologna ti accompagna nell’esercizio della memoria collettiva, ti fa diventare parte integrante di questa comunità che il 2 agosto marcia insieme all’Associazione tra i familiari delle vittime della strage per chiedere verità e giustizia o per celebrare i fatti più significativi della Resistenza. Questo – ci dice – è il clima politico e culturale in cui è maturata la decisione della Regione di costituirsi parte civile nel nuovo processo sulla strage alla stazione».

Il 27 novembre si è svolta l’udienza preliminare nel nuovo processo. Dopo più di 40 anni forse siamo a un passo dalla verità sulla strage. La Regione Emilia-Romagna ha deciso di costituirsi parte civile. Un atto denso di valore e significato politico per l’Associazione tra i familiari delle vittime, per i bolognesi e più in generale per il Paese tutto. Come nasce questa decisione della Regione e perché?

Funerali di Stato per le vittime della strage alla stazione di Bologna. In chiesa solo sette le bare, in mezzo alle quali camminò il Presidente della Repubblica Pertini. E solo il presidente partigiano e il sindaco di Bologna, Zangheri, tra le personalità istituzionali presenti, furono accolti dagli applausi. (stragi.it)

La decisione di costituirsi parte civile era stata presa da tempo dalla Regione e annunciata anche dal presidente Bonaccini. Io stessa ho partecipato all’udienza del 27 novembre ed è stato un momento estremamente significativo. Era per noi fondamentale, in rappresentanza della comunità regionale, essere accanto all’Associazione tra i familiari delle vittime della strage del 2 agosto, a Paolo Bolognesi, alla cui tenacia e determinazione dobbiamo molto, perché ha fatto sì che si aprisse un processo che speriamo sia un passo avanti definitivo verso la piena verità. Una verità che i familiari, la comunità e tutto il Paese aspettano ormai da troppo tempo. E questo processo speriamo possa ricostruire le responsabilità ai massimi livelli, cercando di individuare i mandanti e i finanziatori di  una delle pagine più buie della storia non solo della comunità regionale, ma di tutto il Paese. Il 27 per la Regione è stato un dovere stare accanto ai familiari delle vittime e, per quello che mi riguarda, si è trattato anche di un momento molto intenso ed emozionante.

Per Michele Leoni, presidente della Corte d’assise di Bologna, il «dilemma se la strage sia una strage “comune” o una strage “politica” non esiste perché si è trattato – dice – di una strage politica o, più esattamente di Stato». Il “documento Bologna” proverebbe un giro di denaro partito da Gelli e dalla P2 e arrivato all’estremismo fascista. Si riuscirà a ricostruire la catena delle responsabilità?

La speranza è esattamente questa e abbiamo atteso anche fin troppo per avere finalmente una parola di verità sulla strage. Si apre questo nuovo capitolo processuale grazie anche al lavoro attento e meticoloso svolto nelle indagini dalla Procura generale che riaccende le speranze di poter ricostruire la catena delle responsabilità fino in fondo e fino ai massimi livelli. Qualche giorno fa sono state depositate le motivazioni della sentenza Cavallini da parte della Corte d’assise di Bologna, che ha usato parole molto articolate ed esplicative. Ha detto che c’era una piena consapevolezza dei disegni eversivi, che coinvolgevano terrorismo e istituzioni deviate; che c’era un disegno di destabilizzazione della democrazia; che si è trattato di una strage politica, di una strage di Stato. Dagli atti processuali emergono chiari elementi che smentiscono la ricostruzione spontaneista del terrorismo di destra, quella dei cosiddetti cani sciolti. E d’altronde anche i depistaggi che sono stati messi in atto in questi anni vanno a cozzare con l’ipotesi spontaneista.

(Wikipedia)

Nella strage alla stazione troviamo tutta la galassia dell’estrema destra, con nomi vecchi e nuovi dell’estremismo italiano che avrebbero avuto connessioni con apparati della sicurezza e servizi segreti. Un filo nero che dalla fine degli anni 60, passando per la strage di Bologna, getta ombre sul presente, se è vero che i depistatori di professione sono ancora all’opera.

Sicuramente c’è un collegamento con il presente. Pasolini nel settembre del 1975 scrisse sul Correre della Sera un articolo che si chiamava “Perché il processo”, dove sosteneva: «Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia la realtà dei cosiddetti golpe fascisti. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere da quali menti e in quale sede sia stato varato il progetto della “strategia della tensione…». Avevano il diritto di sapere e di sapere la verità completa perché soltanto così, diceva Pasolini, la coscienza di quei fatti, avrebbe potuto produrre una nuova coscienza. La strategia eversiva non è finita negli anni Ottanta, come un fiume carsico, arriva fino ad oggi. Un elemento che fa riflettere, infatti, è proprio questo: l’esito delle indagini che hanno portato ad aprire questo nuovo capitolo processuale parte da depistaggi contestati nel 2019. Nel 2019! Tutto ciò ci obbliga ad una riflessione, perché un certo tipo di passato non passa o quantomeno fa fatica a passare. Peraltro in diversi processi per reati di strage è emerso un rapporto tra organizzazioni di estrema destra e apparati infedeli alla Costituzione e alla Repubblica. Sicuramente far luce su quanto accaduto in Italia negli anni passati è essenziale anche per l’oggi.

La rete criminale neofascista è ancora operativa?

(stragi.it)

Continua ad esserci ed è grave che ci sia chi continua a minimizzare l’esistenza di reti neofasciste che continuano a essere invece ben presenti nella nostra società. Trovo particolarmente prezioso il lavoro di chi – penso ad alcuni giornalisti come a Paolo Berizzi, penso all’impegno quotidiano dell’Anpi sui territori – lavora con tenacia nell’individuazione e mappatura di una galassia nera. Galassia che si muove anche negli stadi, nelle strade delle nostre città e sulla rete. L’offensiva della destra, l’attacco frontale alla democrazia è un fenomeno mondiale. Ce lo dicono anche i fatti sconvolgenti di queste ultime settimane negli Stati Uniti. La minaccia eversiva è ancora attuale e senza una piena ricostruzione dei fatti storici è difficile avere strumenti per comprendere e contrastare efficacemente questi sviluppi.

La lezione americana, il tentato golpe trumpiano, cosa ci insegna, qui in Europa e in Italia?

Ci insegna che purtroppo le democrazie hanno elementi di fragilità e che siamo in una fase di forte polarizzazione che può portare anche nei suoi estremi a dei fatti di gravità inaudita e senza precedenti nella storia americana, ma che sono elemento di preoccupazione e di allarme anche per il resto dei Paesi democratici. Quello che è accaduto ci deve preoccupare da diversi punti di vista. La polarizzazione del dibattito politico riguarda anche noi, in Europa e in Italia. E voglio dire con nettezza che è stata un’occasione sprecata quella dei nazionalisti di casa nostra: invece di prendere chiaramente le distanze da quello che stava accadendo e di schierarsi dalla parte dei principi di pacifica e democratica convivenza, che dovrebbero essere un assunto fondamentale per chiunque fa politica in un pase che ha una Costituzione democratica e antifascista, hanno fatto blande dichiarazioni in cui sono arrivati addirittura a sostenere che Trump – ovvero colui che aveva voluto e organizzato la protesta che è sfociata nell’assalto al Congresso – avesse tentato di sedare i disordini.

Alle persone che avevano messo a ferro e fuoco il Congresso Trump aveva detto testualmente: «Vi voglio bene,

Il Presidente USA Joe Biden e la Vicepresidente Kamala Harris (Imagoeconomica)

ma ora andate a casa». Non è propriamente una condanna…

L’atteggiamento di Trump, prima e dopo l’assalto a Capitol Hill, è stato di una gravità inaudita. Ha voluto ammiccare ai peggiori gruppi di suprematisti. Ma che tipo di messaggio è quello? In quell’ambiguità si coglie appieno la commistione tra una certa parte della politica e i gruppi di estrema destra neofascista. A Biden e a Kamala Harris spetterà il difficilissimo compito di ricomporre fratture profonde che l’amministrazione Trump ha scientemente e quotidianamente allargato nei suoi quattro anni di mandato. Non sarà un compito facile.

Da dove dovranno cominciare a tuo giudizio?

Dalla lotta alle diseguaglianze. Dalla riduzione di quei divari economici, sociali territoriali, di genere – e c’è anche un tema di razzismo profondo in quel Paese – che la guida di Trump ha impresso alla politica americana. La nuova amministrazione Usa dovrà impegnarsi al massimo per non lasciare un centimetro alla retorica di estrema destra che vuole sempre nell’ultimo o nel diverso la causa dei tuoi mali. Ecco perché vanno bonificati i pozzi avvelenati della politica trumpiana, a cominciare da un rilancio del welfare e dell’accesso universale alle cure in quel paese.

(Imagoeconomica)

Torniamo in Italia e al fascismo di casa nostra. Per anni si è voluto far credere che l’antifascismo fosse superato, roba per vecchi partigiani, fisima dell’Anpi. E nei talk show ma anche nelle aule parlamentari e nei consigli comunali si è sentito e si sente dire che “il fascismo ha fatto anche cose buone”.

Trovo grave che non si sia ancora trovato il coraggio di fare una cosa semplice come attuare la nostra Costituzione che dice parole chiare sul divieto di ricostituire, sotto qualsiasi forma e nome, il partito nazionale fascista. Negli anni sono intervenute sia la legge Scelba sia la legge Mancino a condannare gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. La domanda è perché è mancato il coraggio di applicare quelle norme. È mancato e manca il coraggio di fare quello che l’Anpi chiede da tempo, cioè di sciogliere le organizzazioni neofasciste che, come abbiamo visto, continuano a rappresentare una minaccia per la democrazia anche oggi. E sicuramente c’è chi ha teso colpevolmente a minimizzare questa minaccia. Non scordiamoci che fino al settembre 2019 al Viminale c’è stato anche un ministro dell’Interno che anziché sciogliere le organizzazioni neofasciste mandava segnali di tolleranza.