È la mattina del 2 settembre 1939 a Parigi. I muri emanano odore di colla e d’inchiostro e nell’aria riecheggia la notizia del giorno prima: Hitler ha invaso la Polonia. Due ragazzi di circa quindici anni salgono sull’autobus per Tournon: il primo avanza sicuro, l’altro lo segue a tastoni. Seduti, attendono il momento della partenza.

Jacques Lusseyran all’età di nove anni

L’autista agita la mano davanti agli occhi del secondo giovane, si accerta che il suo sguardo sia spento e gli dice: “Ebbene giovanotto sei cieco, beato te. Per la prima volta nella tua vita puoi ritenerti fortunato. La guerra potrà durare anche cento anni, ma una cosa è certa: tu non verrai coinvolto negli scontri. Sei salvo!”. L’autista ha torto, perché quel ragazzo è cieco, ma non è vero che non potrà dare il suo contributo alla lotta contro i nazisti.

Si chiama Jacques Lussyeran, è nato il 19 settembre 1924 a Parigi, figlio di genitori che lo educano affinché il suo animo non venga inquinato dai sentimenti della violenza, dell’incertezza, dell’ombrosità e dell’ambiguità. È cieco dall’età di sette anni, da quando a scuola un incidente gli è costato prima l’asportazione di un occhio e, successivamente, per le complicazioni legate all’operazione, anche del secondo. La sua forza e la sua determinazione, però, non sono state compromesse dal drammatico episodio. I genitori lo supportano: la madre ha imparato il Braille per riuscire a seguirlo ma, d’accordo con il marito, lo ha iscritto a una scuola “normale”, dove ben presto si è rivelato uno dei migliori studenti.

Nel frattempo, l’Europa ha visto l’ascesa di Hitler. Già all’annessione dell’Austria, nel 1938, per comprendere cosa stesse accadendo, Jacques inizia a studiare il tedesco riuscendo a padroneggiarlo in soli sei mesi. Il mondo intorno a lui è cambiato rapidamente: l’esercito tedesco nel maggio 1940 è penetrato in Francia. Il generale De Gaulle si è rivolto al Paese dai microfoni della Bbc: “A quell’appello – scrive Jacques nelle sue memorie – migliaia di cittadini francesi hanno risposto sì, tra costoro c’eravamo io e Jean, amico fraterno, non avevamo dubbi sul da farsi; stavamo per diventare i soldati della Francia Libera”.

1940: Pétain con Hitler
1940: Pétain con Hitler

In realtà i due giovani pur animati da buone intenzioni, non sanno come realizzarle. Il territorio nazionale è diviso in due: il nord controllato dalle truppe naziste e il sud sotto il governo di Pétain, con sede a Vichy. Jacques descrive Parigi in quei giorni come “un immenso convento con i suoi chiostri deserti e solitari (…) dove una donna prega in attesa di un miracolo, una preghiera votata a chiamare l’attenzione di qualcuno, ma il suo è un grido afono”. L’11 novembre 1940 la capitale viene scossa da una manifestazione studentesca agli Champs Elysées per festeggiare la vittoria della Francia nella Grande guerra: un modo per non dimenticare la grandezza della patria e per non accettare l’umiliazione del dominio nazista, ma Jacques non vi partecipa a causa del suo handicap.

Lusseyran all’età di 17 anni, studente del Lycée Louis Grand

Poi per Jacques inizia un periodo di intenso impegno: a scuola il ragazzo è un punto di riferimento per molti suoi compagni e l’impegno politico diventa una priorità. Tra i suoi amici spicca François, nato in Francia da genitori polacchi giunti nel Paese vent’anni prima. Tra i docenti, uno in particolare affascina Jacques con il suo amore per la materia: è il professore di storia, che invita gli studenti “a guardare oltre le frontiere, sono come stecche di un vecchio corsetto lacero e consunto che sta per scoppiare nel corpo prosperoso di una giovane. (…) Ogni nazionalista oramai è un bastone marcio”.

Alcuni giorni dopo, Jacques apprende che il fratello di un suo amico è stato arrestato dalla Gestapo e trattenuto nelle carceri de la Santé solo perché il padre si è arruolato a Londra nelle forze francesi libere. La notizia lo prostra, abbassando le difese immunitarie, si ammala e si rende conto che non sta combattendo “contro un male fisico, ma morale (…): l’occupazione è la mia malattia”. Prende così la decisione di reagire, resistere, senza però dire nulla ai familiari. Nei giorni seguenti condivide gli intenti con gli amici più intimi: François, Georges e Jean. Il primo scoppia a piangere, lo abbraccia e inizia a balbettare: “Ci aspettavamo tutti questo da te”. Georges, pieno di audacia e amante della praticità, gli chiede di stilare dei piani, di progettare azioni, di individuare gli obiettivi da colpire. In quel momento Jacques si rende conto che la sua è solo una vaga idea: “Con che tipo di persone vuoi entrare in contatto? Di quanto denaro avremo bisogno? Dove collocheremo il quartier generale della struttura? Che metodo adotteremo per mantenere la disciplina? Come riusciremo a entrare in contatto con il governo francese di De Gaulle e con la resistenza?”.

I quattro ragazzi stabiliscono di dover fare proseliti, si rivolgeranno ad amici, compagni di scuola e conoscenti, ognuno individuerà un potenziale neofita, lo osserverà e, se fidato, lo coinvolgerà. Dopo una settimana, il numero del gruppo sale a dieci e durante un incontro sollecita Jacques ad agire: “Questo mi mette a disagio, mi sento imbarazzato e impaurito, i miei muscoli sono tesi soprattutto nella parte posteriore del collo. Mi sono chiesto: di che azione posso essere capace io che sono cieco?”. Nonostante tutto riconvoca il gruppo a casa sua e rimane basito quando l’appartamento viene invaso da ben cinquantadue giovani. Superati sorpresa e sconcerto iniziali, Jacques si rivolge ai compagni e propone di dar vita a un movimento di resistenza: aderire o abbandonare. In ogni caso dovranno tacere. Dopo un coro di “aderisco!”, precisa: “abbiamo un vantaggio e dobbiamo sfruttarlo, tutti ci considereranno bambini, nessuno sospetterà di noi, almeno non subito”.

Da questo momento Jacques adotta uno stile di vita degno di un soldato: «ogni giorno, domenica compresa, mi sono alzato alle quattro e mezza, prima che facesse luce. Pregavo Dio perché quei giovani un vicino domani potessero diventare un centinaio e aspettavano i miei ordini». La costanza e la volontà gli permettono di seguire le lezioni con buoni risultati e la nascente organizzazione. Trascorso un mese, i quattro giovani fondatori sentono l’esigenza di istituire un comitato centrale per gestire il gruppo resistente.

La prima riunione del Comitato si tiene in un appartamento, nei pressi della Porte d’Orléans, zona popolare a sud di Parigi, vi partecipano tutti i cinquantadue aderenti, a turni di tre. Il cieco Jacques, per i tre mesi successivi, sarà responsabile del reclutamento. La sua memoria prodigiosa gli permette di fissare nomi, luoghi, indirizzi e numeri di telefono: “grazie alla fiducia dei miei amici io, che non avevo altre possibilità di svolgere un ruolo serio, arrivai direttamente in prima linea”. Ogni adepto dovrà studiare un compagno, valutarne il comportamento e le capacità, cercare di carpirne le idee e al termine del periodo di osservazione gli dirà di recarsi da Jacques “per confidenze importanti. Ti dovrai presentare il tal giorno, a tal orario, ritardando al massimo cinque minuti, dovrai suonare due squilli brevi e uno lungo”: sarà poi Jacques, dal timbro, a testarne carattere, ideologia e affidabilità. Nelle prime settimane si presentano solo giovanissimi, ragazzi tra i diciassette e i diciannove anni, successivamente suonano alla porta studenti universitari di varie facoltà. In breve il movimento raggiunge i seicento affiliati e il comitato centrale stabilisce che è giunto il momento di darsi un nome: Volontari della Libertà.

Resistenza in Francia (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Lo scopo principale è svegliare le coscienze della popolazione attraverso l’informazione: raccolgono e stampano il maggior numero di notizie diffuse da Londra e dalle emittenti svizzere. Allo stesso modo, “dall’interno” reperiscono informazioni riguardo alle difese, alla collocazione dei controlli, alle attività nelle stazioni ferroviarie: nessuno farà caso a dei ragazzi che giocano a pallone, oppure che fingono di guardare una ragazza. Tutte le informazioni dovranno essere inviate a Londra, per aiutare l’attività degli Alleati sia d’infiltrazione che di attacco. “È rischioso – sottolinea Georges – non è il caso di usare delle armi?” I tre fondatori del comitato sono restii, ma dopo una lunga discussione, acconsentono di formare all’uso delle armi i venti mobilitati della prima ora, che vengono addestrati nelle zone rurali intorno a Parigi. Ma dove trovare armi e munizioni? A procurarle ci pensa il giovane Georges e il comitato decide che i primi addestrati ne prepareranno altre cento.

Nel frattempo, Jacques continua le selezioni: “A volte in una sera ne ho ricevuti tre o quattro. Ognuno sapeva solo una cosa di me, quella più evidente e caratterizzante: cieco. È stato costretto a seguirmi al buio lungo il corridoio, dal momento che quasi sempre ho dimenticato di accendere la luce. Ha dovuto muoversi con cautela per evitare di sbattere contro i mobili: il letto, una poltrona, una sedia, una cassapanca lunga e stretta”. Jacques informa i genitori della sua doppia vita, loro approvano ma chiedono di non essere messi al corrente di nulla perché in caso di arresto e tortura non sono certi di riuscire a resistere. Cerca sostegno morale nell’ex insegnante di storia, che lo accoglie a braccia aperte: “Hai la mia approvazione e piena fiducia. Torna a trovarmi una volta alla settimana. Ogni volta ti dedicherò due ore. Condividerò angosce e preoccupazioni, ti aiuterò ogni volta che potrò”.

(Archivio fotografico Anpi nazionale)

Il 22 giugno 1941 le armate tedesche invadono l’Unione Sovietica e due mesi dopo vengono fucilati due eroi francesi: Gabriel Péri, un leader comunista, e Honoré d’Estienne d’Orves, un ufficiale cattolico conservatore. Per diffondere il più possibile la notizia, si decide di realizzare due fogli clandestini: France Continue e Résistance, entrambi scritti a mano. Il comitato vorrebbe stamparli in centinaia di copie, ma serve carta (in vendita sotto attento controllo dei nazisti), inchiostro e un ciclostile. Con furto a una cartiera il primo materiale è reperito e con lo stesso metodo si provvede all’inchiostro. Però come stampare? In quel momento il comitato si rende conto di aver bisogno di aiutanti, pur con il rischio di esporre l’intera organizzazione alla delazione. Per puro caso, si reca a colloquio da Jacques un giovane laureato in psichiatra mandato da un iscritto alla facoltà di Medicina perché ha delle informazioni utili: lavora presso l’ospedale psichiatrico di Sainte-Anne. Henry gli parla delle stanze imbottite (molte delle quali inutilizzate) dove vengono rinchiusi i ricoverati violenti. Ecco la soluzione: installare la stamperia in una stanza dell’ospedale. In poco tempo Parigi viene tappezzata di fogli clandestini, grazie alla distribuzione capillare di tre squadre. Con la conseguenza che la Gestapo inizia a mettersi alla ricerca dei resistenti impiegando infiltrati.

Nell’autunno del 1941, Jacques è ammesso all’Università di Parigi e, grazie all’appoggio dei suoi insegnanti, ottiene di frequentare una classe speciale che lo preparerà all’École normale supérieure, da cui uscirà abilitato all’insegnamento. Continua a dividersi tra studio e azione: “la mattina, tra le quattro e le sette, studiavo, profondamente. Dalle otto fino alle dodici stavo in classe ad ascoltare i miei insegnanti, a prendere appunti frenetici e a cercare di assorbire tutte le informazioni che mi venivano fornite. Nel pomeriggio, dalle due alle quattro, ero ancora in classe. Poi alle quattro vestivo i panni dell’uomo della Resistenza, compivo degli spostamenti attraverso Parigi, seguendo dei percorsi stabiliti per una maggiore sicurezza, per poter partecipare a riunioni, sondaggi, giudizi, discussioni, infondere coraggio nel cuore dei dubbiosi, supervisionare i gruppi, chiedere autocontrollo a chi guardava alla Resistenza come a un romanzo d’avventura, approvare i testi degli articoli per il bollettino, reperire notizie, dal momento che molte informazioni non potevano essere comunicate né per posta né al telefono, a causa della censura e delle intercettazioni. In questo turbinio di attività, le lancette dell’orologio segnavano le undici di sera ero costretto dal coprifuoco a fermarmi. Finalmente solo nella mia stanza, m’immergevo nei miei studi e continuavo a memorizzare fino a che le dita non s’irrigidivano per il freddo”.

(Archivio fotografico Anpi nazionale)

Il 1942 porta brutte notizie: l’attacco, a sorpresa, dei giapponesi a Pearl Harbor nel dicembre precedente, la vittoria quasi totale dei tedeschi su tutti i fronti, ad eccezione di Stalingrado. Bisognerà attendere quasi la fine dell’anno, l’8 novembre, per una buona nuova: gli alleati sono sbarcati in Nord Africa. Con l’operazione Torch si liberano quei territori e si crea una testa di ponte per arrivare in Europa. Una gioia che si rivela effimera: i tedeschi invadono la Francia del sud. Nel frattempo, la stampa del notiziario ristagna: è quasi impossibile ciclostilare più di 600 copie. Jacques propone di diversificare le attività e di estendere il raggio d’azione del gruppo al salvataggio degli aviatori alleati abbattuti sul territorio francese. Tutte le sezioni periferiche vengono allertate e si chiede di accompagnare ogni aviatore a Parigi, per poi instradarlo verso i Pirenei e permettergli di salvarsi. Georges annuncia di avere “l’uomo giusto” e presenta Robert, un quarantenne sposato che gestisce da due anni una “ferrovia sotterranea per aiutare gli aviatori a fuggire”.

La sua rete conta cinquanta attivisti, posti lungo il confine spagnolo, ma manca di persone capaci di raccogliere informazioni nei vari dipartimenti, lavoro che può essere svolto dai Volontari della libertà. Alcuni mesi dopo, Jacques decide di produrre documenti falsi per sopperire alle esigenze dei profughi e degli aviatori e, per riuscire nell’intento, chiede ai gruppi di Arras e di Lille di fornire i nomi dei dispersi, certi che nessuno potrà controllare a seguito della distruzione degli uffici anagrafici.

Agli inizi del 1943, Robert comunica a Jacques che sente stringere la rete della polizia, per cui decide di tagliare i contatti con il gruppo, ma lascia un uomo di cui si fida: Philippe. Jacques, insieme ai suoi compagni, lo incontra a casa sua: “non appena è entrato ci siamo resi conto che ha poco del soldato. Era un uomo grande e forte, alto oltre il metro e ottanta, petto largo, braccia forti e mani potenti, passo veloce e pesante, tutto il suo essere emanava un forte senso di protezione fraterna. Inoltre, aveva una voce che era calda anche se poco risonante, una voce che ci ha avvolti e ci ha convinto. In realtà non era un uomo, ma forza pura per cui lo nominiamo leader”.

Al termine del colloquio scoprono che Philippe è un ex studente universitario fondatore del movimento di resistenza Défense de la France, nato nello stesso periodo dei Volontari. Anche il suo gruppo stampa, “ciclostila un giornale, un giornale clandestino che ha una tiratura di diecimila copie al mese”. Le tipografie stampano in diversi luoghi, le pareti sono imbottite da fogli di sughero, con il chiaro intento di attutire il rumore; le copie vengono distribuite mediante furgoni recanti le scritte di varie ditte di trasporti. Vengono stampati anche documenti falsi, circa 520 al mese, e hanno a disposizione una radiotrasmittente, seppur improvvisata, riuscendo così a stabilire un valido contatto con il governo del generale de Gaulle a Londra.

Queste notizie rianimano il comitato centrale e quando Philippe gli propone di confluire nella sua organizzazione e partecipare alla pubblicazione e distribuzione della Défense de la France, Jacques e i suoi compagni approvano. I fondatori entrano di diritto nel comitato di redazione del giornale, Jacques viene nominato caporedattore e Georges diventa la sua ombra. “Il nostro giornale è ben lungi dall’essere nazionalista – dice Jacques durante al prima seduta del comitato di redazione –. (…) Dalle nostre pagine promuoviamo  la resistenza passiva e raccontiamo la resistenza attiva che ogni giorno opera e cresce. (…) Al pubblico chiediamo di aiutarci con il silenzio, se fossimo ricercati, e di fornire notizie, in questo modo possiamo salvare la nostra nazione e la popolazione”.

Ben presto al giornale collaborano non solo i ragazzi, ma anche personaggi eminenti, tra cui vi sono membri dell’Accademia di Francia come Robert d’Harcourt e Monsignor Chevrot.

Nel febbraio 1943, il comitato esecutivo decide di bloccare i reclutamenti per frenare il pericolo delle delazioni. La struttura è organizzata a piramide, la base conosce solo i capigruppo, che a loro volta conoscono i pari e il capo dipartimento. Il 16 febbraio il governo tedesco stabilisce che tutti i giovani sopra i vent’anni dovranno prestare servizio in Germania per sostenere lo sforzo bellico tedesco, e il comitato centrale decide di nascondere i membri che hanno ventuno anni. Nel frattempo, la redazione decide di far giungere le copie del giornale a Marsiglia e a Lione, ma per riuscire bisogna avere dei corrieri sicuri e che non destino l’attenzione della polizia. Dopo molte discussioni, Jacques propone di coinvolgere le ragazze. L’idea viene accolta dalla maggioranza con favore, i pochi oppositori, tra cui Georges, vengono gelati da Philippe che dice: “Siete degli idioti. Imparerete il valore delle donne quotidianamente se solo avrete pazienza”. Ed ecco le due giovani: Catherine e Simone, le prime due arruolate, a cui si aggiungono altre risorse per coprire Lione, Bordeaux, Marsiglia e Tolosa.

Verso la fine di marzo, però, la Gestapo individua un negozio dove si stampa DF i ragazzi si danno da fare per distrarre gli agenti appostati e permettere al resto dei compagni di smontare le macchine e imballarle in casse recanti la scritta “Fragile-Strumenti Ottici”, per poi caricarle in furgoni dell’Osservatorio meteorologico nazionale. Questi successi aumentano la pressione della Gestapo e della Brigade politique, costituita con lo scopo di snidare la Resistenza e stroncarla. Succede ai primi di aprile, quando viene catturato Robert, che riesce a far pervenire il messaggio “Catturato alla Gare du Nord con tre uccelli. Pregate per me”. Meno di una settimana dopo, quattro membri del gruppo di Lione scompaiono e, ai primi di maggio, le loro famiglie vengono informate, da una telefonata della Brigade politique, che sono stati uccisi per essersi rifiutati di tradire i propri compagni.

Charles De Gaulle

Nel frattempo, il generale De Gaulle chiede alle organizzazioni della Resistenza di coordinarsi; la complessità delle operazioni locali e la crescita spropositata del numero di proseliti fa sì che il comitato esecutivo ricorra a un personaggio la cui fedeltà non è provata: Elio, studente di medicina che si presenta senza appuntamento nell’appartamento di Jacques, destando sospetti. “Questo giovane – scrive Jacques nel suo diario – mette in crisi il mio sesto senso, come l’ago di una bussola nei pressi di un campo magnetico, (…) parla a bassa voce, troppo bassa. La sua voce è avvolgente, manca di chiarezza e semplicità”. Alla fine, dopo un lungo confronto con i vertici, si giunge alla conclusione che non si può diffidare sempre, per cui lo si ammette e gli viene assegnato il compito di coprire il ruolo di capogruppo nella zona mineraria di Lille, da cui proviene.

In breve Elio riesce a implementare una vasta rete di contatti e informa in maniera dettagliata Jacques e Georges, ai quali chiede anche la carta per i documenti falsi. In vista del 14 luglio, la Défense de France organizza l’uscita di un numero straordinario e si propone di raggiungere la tiratura di 250.000 copie. Quaranta squadre, ognuna composta da dieci membri, distribuiscono per l’intera giornata 70.000 copie del giornale: “non un giornale è stato lasciato in un angolo, non uno è stato stracciato, non una squadra sciolta, nemmeno un compagno arrestato”, il commento del comitato esecutivo a conclusione di “un’operazione perfetta”. Jacques però registra una sconfitta nella vita privata: il decreto a firma del Ministro Bonnard gli preclude, a causa della cecità, l’accesso alla Scuola Superiore propedeutica per diventare docente.

Il 19 luglio alle cinque del mattino Jacques viene svegliato dalla voce del padre: “Jacques, c’è la polizia tedesca!”. Il primo pensiero del giovane è riuscire a evitare l’arresto dei genitori e del fratello, mentre sei tedeschi iniziano a perquisire le sue stanze, spargendo sul pavimento libri e fogli d’appunti in Braille, convinti di trovare scritti con inchiostro nero. Un ufficiale cita dei nomi e gli chiede se sa perché siano stati arrestati, ma Jacques riesce a mostrarsi confuso e viene accompagnato “in modo paterno” fino all’auto, viene fatto sedere in mezzo a due soldati tedeschi e condotto alla sede della Gestapo in rue des Saussaies. Qui attende varie ore, “senza ricevere alcuna spiegazione, sono stato portato da un ufficio all’altro e da un piano all’altro da dieci scontrosi tedeschi, ma silenziosi, che mi hanno trattato come se fossi un bicchiere di cristallo recante la scritta fragile. L’unica cosa che mi hanno chiesto, ogni volta, Sei davvero cieco!. Io ho sempre risposto in modo meccanico: Sì, sono cieco, e questo sembrava rendere le cose più facili per loro. (…) Ho capito che stava per iniziare il mio interrogatorio. A un certo punto ho chiesto il motivo del mio arresto. Tutti i presenti hanno riso; una voce mi ha detto che erano stati arrestati altri dieci compagni di cui hanno citato i nomi”. Jacques cerca di depistarli e chiede se il motivo è la festa svoltasi a Saint-Germain-en-Laye, in realtà mai avvenuta, ma la domanda getta in confusione i suoi inquisitori. L’interrogatorio riprende il giorno dopo e Jacques viene informato dei reati ascrittigli e dell’imminente fucilazione.

Il giovane con freddezza risponde “non è vero che mi avete condannato a morte”, lasciando il maggiore costernato, e chiede alla segretaria di leggere le cinquanta pagine di accuse nei suoi confronti. Jacques rimane colpito dalla data d’inizio della relazione – il 6 maggio. Segue con attenzione la lettura e la dettagliata descrizione delle attività in cui risulta coinvolto, ascolta i nomi dei suoi compagni, ma ben presto si rende conto che non viene fatto alcun accenno alla sua posizione all’interno del comitato esecutivo. In quel momento la sua mente s’illumina e comprende chi è il traditore: Elio, e lo grida al maggiore. Jacques viene condotto alla prigione di Fresnes. Dal 22 luglio all’8 settembre viene riportato ben 38 volte alla sede della Gestapo per subire un interrogatorio martellante, in cui si alternano, a staffetta, cinque ufficiali SS. Ma Jacques gioca con la loro pazienza al punto che un “giorno uno dei cinque decide di picchiarmi, con tutte le sue forze mi ha afferrato e scagliato contro la parete della stanza, quindi mi ha raccolto di nuovo e mi ha gettato di nuovo”. Jacques gli grida: “Sei un codardo. Anche se volessi non potrei difendermi”, l’inquisitore gli ride in faccia, ma interrompe i maltrattamenti. Jacques trascorre circa sei mesi nella prigione di Fresnes, da lui definita una “chiesa sotterranea”, dove sono rinchiusi circa “7.000 prigionieri, la quasi totalità composta da aderenti alla Resistenza”. In quelle stanze “sono rinchiusi uomini senza speranza”.

Ben presto Jacques viene a sapere che molti compagni sono stati uccisi senza processo, si consola dicendosi che è vivo e sorride all’idea che sulla porta della cella campeggia l’iscrizione: Attenzione! Prigioniero pericoloso. Una mattina, due carcerieri lo vanno a prelevare e lo introducono in una nuova cella, dove ci sono altri tre uomini convinti che “La Resistenza non è un posto per un cieco”. Agli inizi di novembre viene accompagnato dal medico per una visita attenta e scrupolosa: è quella che spetta ai prigionieri destinati ai campi di lavoro in Germania. Il 16 gennaio un tenente delle SS ordina a Jacques di preparare le sue cose e, quando chiede dove lo condurranno, si sente rispondere: “In Germania, perché la mia patria è un paese generoso, nonostante tutto!”. Quindi viene aiutato a salire sul camion, dove trova Denis, Gérard, Frédéric e altri compagni: vengono condotti in un’unica cella dove trascorrono alcuni giorni. Poi una mattina, alle prime luci dell’alba, la porta viene aperta e “noi ebbri di amicizia e ubriachi della fredda luce di gennaio, siamo saliti su un autobus. Abbiamo attraversato, lentamente Parigi, fino alla Gare du Nord dove ci hanno fatto salire su un treno che ci ha condotto a cinquanta miglia a nord dalla capitale, per la precisione a Compiègne, dove ai margini del bosco è stato allestito un campo di smistamento”.

Qui apprendono che dovranno attendere di essere spediti in Germania. In 2.000 vengono stipati su venti carri bestiame, le porte vengono sigillate e, dopo tre giorni e due notti di viaggio, il convoglio si ferma alla stazione di Treviri, i prigionieri ricevono una zuppa salata caldissima che non riescono a trangugiare perché vengono costretti a risalire. Il treno “giunge nei pressi di Coblenza, sul fiume Reno”, la sete attanaglia i prigionieri, i più vicini leccano il ghiaccio degli angoli, ma il resto soffre la sete. Jacques racconta: “per quarantotto ore mi muovo con circospezione, come l’esperienza della cecità mi ha insegnato. Con delicatezza, ho insinuato un piede nell’unico spazio esistente, tra due teste, per poter raggiungere un sofferente”.

Buchenwald

Quando il treno si ferma si aprono le porte dei vagoni e ai prigionieri disperati per la sete piovono nerbate che li piegano a terra. Ben presto si rendono conto di essere giunti al campo di concentramento di Buchenwald, dove una banda musicale gli dà tristemente il benvenuto. Tutti i prigionieri vengono inviati agli uffici, dove rilasciano informazioni e i loro averi. Quando Jacques si presenta al tavolo, viene subito annotata l’informazione sulla sua cecità e quando dichiara di essere uno studente dell’università di Parigi, il prigioniero addetto al controllo gli consiglia sottovoce: “Non dirlo mai. Una volta che sapranno che sei un intellettuale ti uccideranno. Pensa un’altra cosa, non importa cosa”. Jacques senza rendersene conto afferma: “Professione: interprete di francese, tedesco e russo”. Il prigioniero annota e gli augura in bocca al lupo con una voce sollevata.

I nuovi vengono confinati in blocchi, costretti a vivere stipati. Il freddo li consuma, dal momento che sono vestiti con abiti leggeri, ma la cosa più difficile con cui convivere “sono gli uomini, i compagni di sventura che la sofferenza ha trasformato in bestie. Per anni le SS hanno introiettato il terrore nei loro cuori, la maggioranza di loro sembrano stregati sia nel corpo che nell’anima. Non sono più vittime, ma anime possedute che producono danni a se stessi e agli altri”. Ai primi di marzo, tutti gli abili al lavoro vengono inviati nei sottocampi vicini, per cui Jacques saluta i suoi compagni, mentre lui rimane nella baracca “dove ogni giorno sono stato soggetto al furto, da parte degli altri prigionieri, del mio pane o della mia minestra, con la conseguenza che sono diventato molto debole”. Dopo una settimana Jacques viene trasferito alla baracca degli invalidi, al cui interno si trovano ammassati circa 1.500 uomini con difetti fisici di qualunque tipo e patologie psichiatriche. “Le morti sono avvenute a un ritmo pauroso, a tal punto che è stato più facile incontrare un morto che un vivo. Questi ultimi rappresentavano un grosso pericolo, perché hanno voluto rimanere tali a qualunque costo, per cui sono stati disposti a tutto”.

Lusseyran a Buchenwald

Jacques si ammala gravemente di pleurite, ben presto lo assale la dissenteria, un’infezione a entrambe le orecchie e, infine, l’erisipela, un sintomo della setticemia. Quando le sue condizioni peggiorano viene prelevato e condotto in ospedale, dove tutti attendono la sua morte, ma Jacques riesce a strappare la “forza alla primavera in arrivo” e, con grande stupore dei suoi compagni, guarisce e l’8 maggio torna alla baracca. Da quel momento nessuno gli ruba più il cibo. Lentamente, Jacques deve dimenticare “tutti i dispersi, i compagni in pericolo, la mia famiglia, i vivi e, soprattutto, i morti”, per poter riuscire a rimanere aggrappato alla vita. “I ricordi consumano energie, per questo ho imparato a vivere nel presente. Per ottenere questo risultato, quando ricevi la tua razione di pane, non accumularla. Mangia subito, avidamente, boccone dopo boccone come se ogni briciola fosse tutto il cibo del mondo. (…) Non pensare mai che un’ora prima avevi freddo e che un’ora dopo avrai di nuovo freddo. Vivi”.

Passano i mesi. Il giovane cieco si propone di dare una speranza ai propri amici e comincia a prendere nota di tutte le notizie trasmesse dalla radio tedesca attraverso gli altoparlanti. Jacques interpreta i bollettini, cerca di leggere tra le righe per comprendere la verità e poi come un cantastorie si reca da un blocco all’altro per raccontare. Annuncia le notizie in tedesco e in francese, mentre quando si tratta di russo, polacco, ceco, ungherese e olandese ricorre a persone fidate che lo possano aiutare. Inoltre, scopre che in uno dei blocchi riservato agli esperimenti medici, nelle cantine, alcuni prigionieri avevano collocato una stazione radio frutto dell’assemblaggio di parti rubate. Questo permette a Jacques di poter rendersi conto del reale andamento della guerra, ma sa benissimo che non potrà divulgare le notizie per paura di essere scoperti dalle innumerevoli spie. A seguito della vittoria, lenta, ma inesorabile degli Alleati, la vita all’interno del campo peggiora, le razioni diminuiscono e i corpi vengono infiacchiti e svuotati.

Nel mese di marzo 1945 le SS iniziano a compiere punizioni brutali e dimostrative, ma presto decidono di abbandonare e offrire, almeno in apparenza, l’opportunità ai prigionieri di seguire le guardie oppure morire nel campo. Jacques scrive a riguardo: “Ho visto il panico tutto intorno a me. L’ultima assurdità, la falsa libertà di scegliere il proprio destino”. Decide di restare e tenta con tutte le sue forze di convincere gli altri , riuscendovi solo in parte: in ventimila rimangono in un campo vuoto, senza cibo, per cui dopo dieci giorni gli uomini iniziano a brucare l’erba pur “d’ingannare gli stomaci”. Jacques non si arrende e continua il suo compito di raccoglitore di notizie e in questo modo apprende dell’ordine di uccidere entro mezz’ora tutti i prigionieri. Venti minuti dopo un ragazzo russo, salito sul tetto di un blocco grida “Americani, stanno arrivando gli americani!”. Si tratta della Terza armata che taglia alle SS la possibilità di accedere al campo, impedendo di attuare l’ordine di distruzione totale.

Il 18 aprile Jacques si sente chiamare da una voce commossa: è Philippe, l’ex capo della Défense divenuto capitano dell’esercito di Liberazione che “ha deciso di sfidare ogni prudenza e di correre a Buchenwald ad abbracciare i compagni sopravvissuti”. Oltre a Jacques Lussyeran altri due sono ancora vivi, Philippe li fa salire su un’automobile della DF, divenuta adesso di France Soir, il quotidiano più importante della capitale, e li conduce a Parigi. L’autista, “un ragazzo che non era mai stato in prigione, ci ha accompagnato in macchina per Place d’Appel” per rendere omaggio a quei valorosi. Subito dopo si recano alla sede del nuovo giornale, dove Jacques e i suoi compagni apprendono che François è morto il 31 marzo, dodici giorni prima della liberazione di Buchenwald, da qualche parte vicino a Lipsia, in circostanze sconosciute. Georges è caduto nei primi giorni di aprile, a bordo di un blindato, nei pressi di Halle an der Saale. Denis è morto in Cecoslovacchia il 9 aprile, ucciso da un proiettile delle SS sul ciglio della strada. E altri ventiquattro membri della DF, arrestati con Jacques, sono stati uccisi. Jacques riprende a scrivere, riesce a conseguire il titolo di abilitazione all’insegnamento di Letteratura francese, successivamente, si trasferisce negli Stati Uniti. Qui si sposa tre volte, morirà in un incidente stradale il 27 luglio 1971.

Stefano Coletta