Con l’8 settembre si avvia fino alla Liberazione quell’epico percorso di riscatto e di sofferenza che ha preso il nome di Resistenza. Non si trattò soltanto di un contrasto ai nazifascisti condotto dai partigiani, ma di un complesso processo sia armato che pacifico, che portò al 25 aprile. Un aspetto fondamentale della Resistenza fu la lotta di tanta parte delle Forze Armate italiane contro i nazisti. Uno degli eventi più drammatici di tale lotta avvenne nell’isola di Cefalonia, oggi meta turistica, posta fra la leggendaria terra di Ulisse, Itaca, e Zante, l’isola che diede i natali ad Ugo Foscolo. A Cefalonia, al termine di una lunga battaglia, i nazisti fucilarono migliaia di ufficiali e soldati italiani.
Pubblichiamo la testimonianza dell’allora Capitano Amos Pampaloni (1910-2006), fiorentino, che rievoca i drammatici momenti in cui ordinò alla sua batteria di aprire il fuoco su natanti tedeschi che tentavano di sbarcare truppe; lo seguirono altri comandanti di batteria.
Dopo l’euforia seguita alla notizia dell’armistizio dell’8 settembre, fra le truppe della Divisione «Acqui» a Cefalonia aumentava di giorno in giorno la tensione e, in mancanza di comunicati ufficiali, circolavano le notizie più pessimistiche; aderendo alle direttive contenute nel proclama dell’armistizio il Comando Divisione dispose uno schieramento dei reparti con l’obiettivo di stroncare qualsiasi tentativo di aggressione. II Comando tedesco intavolò subito trattative per accertare le intenzioni e formulò tre proposte: collaborare coi tedeschi; combattere contro i tedeschi; cedere le armi ai tedeschi. Tali proposte costituivano nella forma e nella sostanza un vero e proprio «ultimatum» e, nella psicosi del momento, diffusasi rapidamente fra i reparti, provocarono notevole tensione.
Il 12 settembre fu una giornata di eventi drammatici e di grande significato che determinarono l’atmosfera preliminare di uno stato di guerra. II mattino le trattative fra iI Comando Divisione Italiano ed il Comando tedesco sembravano raggiunte nei termini che prevedevano il rimpatrio di tutta la Divisione «Acqui» e la cessione ai tedeschi – una volta che l’ultimo reparto avesse raggiunto l’Italia – delle artiglierie di preda bellica.
Nella stessa mattinata numerose furono le provocazioni dei tedeschi: un tre alberi della Marina Italiana tentò di uscire dalla baia di Argostoli ma una batteria tedesca sparò intimando il ritorno; dalla mia batteria, che dominava il Golfo di Argostoli, osservai la manovra e telefonai al Comandante il Reggimento chiedendo l’autorizzazione di aprire il fuoco contro la batteria tedesca che aveva sparato contro la nave italiana ma il Col. Romagnoli mi invitò alla calma e mi assicurò che il Comando Divisione stava orientandosi verso la decisione di resistere alla pretesa tedesca di cedere le armi.
Nella stessa mattinata i tedeschi – con la complicità di alcuni ufficiali italiani fascisti – si impadronirono di due batterie italiane dislocate nella periferica zona di Lixouri: fra gli ufficiali e la truppa di Cefalonia aumentò il fermento e prevalse il convincimento che i tedeschi volessero disarmare la Divisione per internare gli italiani in Germania; tutti ritenevano che questo evento si sarebbe potuto evitare soltanto con l’allontanamento delle forze tedesche dall’isola.
Nelle prime ore del pomeriggio fui ricevuto a rapporto dal Gen. Gandin, insieme al Capitano di Fanteria Pantano, al Ten. Abele Ambrosini ed al Ten. Renzo Apollonio, alla presenza del Gen. Gherzi, del Capo di stato maggiore Col. Fioretti e del Col. Romagnoli. Il colloquio fu drammatico: erano evidenti le preoccupazioni del Gen. Gandin di sapere la Divisione isolata con scarse possibilità di aiuto da parte dell’Italia o degli Anglo-Americani; cercò di convincerci che ogni atto di guerra non avrebbe avuto per gli italiani un risultato positivo perché i tedeschi sarebbero stati rafforzati dagli uomini provenienti dalla terraferma e l’aviazione ci avrebbe sopraffatti; confermò inoltre che in tutta la Grecia gli italiani avevano deposto le armi. Io e gli altri ufficiali insistemmo nel ripetere la volontà nostra e della truppa di intraprendere le ostilità per ottenere il rispetto dell’onore militare che il Comando tedesco aveva tentato di violare mediante la richiesta della consegna delle armi; al termine del rapporto il Gen. Gandin ci assicurò di essere propenso a non cedere alle richieste tedesche precisando che qualsiasi azione tedesca tendente a modificare lo «status quo» nell’isola nel corso delle ulteriori trattative sarebbe stata repressa col fuoco.
La sera stessa il Comando tedesco ripete al Comandante la Divisione «Acqui» il suo «ultimatum». Gandin inviò un messaggio al Comando tedesco di Atene in cui dichiarava di non rispondere all’ultimatum ma di essere pronto a proseguire le trattative con un inviato suo pari grado o con un plenipotenziario munito di delega scritta a trattare. La notte fra il 12 ed il 13 fu particolarmente movimentata a causa dell’ordine di arretramento dato al battaglione di fanteria che proteggeva la mia batteria, ordine revocato la notte stessa dopo un mio energico intervento presso il Col. Romagnoli e di questi presso il Gen. Gandin. Verso le ore 7 del 13 settembre entrarono nel Golfo di Argostoli due grossi pontoni da sbarco tedeschi armati ciascuno di cannoni da 120 e mitragliere quadrinate da 40 mm. L’Ufficiale di guardia mi chiamò ed il sottocomandante la batteria, Ten. Tognato, mi avvertì che i serventi erano già ai pezzi, pronti a sparare; anche il Ten. Gentilomo – che dal 9 settembre si era rifugiato nel mio caposaldo con due mitragliere da 20 mm., un sottufficiale e 16 uomini – mi sollecitò l’ordine di aprire il fuoco. In quegli attimi pensai che se i due pontoni fossero giunti nel porto e avessero sbarcato uomini e mezzi si sarebbe rafforzato il presidio tedesco di Argostoli e si sarebbe fatta più critica la posizione degli italiani e dello stesso Comando Divisione che era vicinissimo al porto. Pensai anche che durante il rapporto del giorno precedente il Gen. Gandin aveva detto che i due comandi italiano e tedesco si erano reciprocamente impegnati a non effettuare, durante le trattative, spostamenti di truppe e di mezzi. Telefonai al Ten. Ambrosini ed al Ten. Apollonio, rispettivamente comandanti la V e la III batteria dislocate più nell’interno ed ebbi da loro assicurazione che erano pronti ad aprire il fuoco; i mezzi navali si avvicinavano lentamente in mezzo al golfo, ad un certo momento le navi virarono verso il porto ed allora gridai “FUOCO! FUOCO!”: le mitragliere del Ten. Gentilomo furono le prime, subito seguite dai pezzi della mia batteria e poi da quelli delle batterie di Ambrosini e di Apollonio; anche la batteria della Marina poco dopo sparò alcuni colpi isolati.
Intanto·i tedeschi con una batteria di semoventi iniziarono un tiro contro la mia batteria ed alle 7.15 il primo ferito italiano bagnò col suo sangue la terra di Cefalonia: l’artigliere Gino Cruciani nonostante quattro ferite alle braccia ed alle gambe rifiutò di abbandonare il pezzo e dovetti intervenire io stesso per farlo trasportare al posto di medicazione: in seguito gli venne amputato l’avambraccio destro.
L’episodio in sé fu la naturale conseguenza della volontà dei soldati di non cedere le armi ai tedeschi e dello stesso Comando Divisione che – sia pure nell’incertezza di una decisione per mancanza di chiari ordini superiori – aveva in modo univoco precisato che non si doveva modificare lo «status quo» nell’isola.
L’azione si esaurì in una ventina di minuti, i natanti vennero affondati, il Comando Divisione inviò un motociclista con l’ordine scritto di cessare il fuoco, ordine che giunse in batteria quando il fuoco era già finito.
In mattinata giunse un aereo da Atene con un colonnello tedesco che voleva sapere – ma Gandin rifiutò – i nomi dei comandanti delle batterie che avevano sparato. È evidente che l’iniziativa fu pienamente accettata anche dal Comando Superiore come prova il fatto che, dopo l’ordine di cessare il fuoco, non vennero presi provvedimenti di alcun genere nei confronti miei e degli altri comandanti di batteria. L’iniziativa dell’ostilità venne, in quelle particolari circostanze, ritenuta come una reazione non solo aderente all’orientamento contenuto nel proclama di armistizio ma anche alle conclusioni del Gen. Gandin nel rapporto del giorno precedente.
Infatti il Comandante del Reggimento d’Artiglieria Col. Romagnoli venne il pomeriggio stesso nel mio reparto e rivolse un vivo elogio a batteria schierata e lo stesso Gen. Gherzi, incontrato all’ospedale al capezzale dell’artigliere Cruciani, mi rivolse parole gentili e confortò il ferito.
Il 13 settembre fu una giornata di tale tensione che il Gen. Gandin ritenne opportuno intervenire inviando il seguente dispaccio: “C.do Div. Fant. «Acqui» li 13-9-1943. A tutti i corpi e reparti dipendenti, loro sedi. Comunico che sono in corso trattative con rappresentanti del C.do Supremo tedesco allo scopo di ottenere che alla Divisione vengano lasciate le armi e le relative munizioni. Il Gen. Div. C.te f.to A. Gandin”.
Verso la mezzanotte, allo scopo di raccogliere un preciso elemento di valutazione in merito allo spirito delle truppe, Gandin ordinò a tutti i reparti di interpellare i militari dipendenti sulle alternative poste nell’ultimatum tedesco: con i tedeschi, contro i tedeschi, cedere le armi. Mentre dai reparti pervenivano risposte unanimi, concordi e plebiscitarie contro i tedeschi, giunse finalmente da Brindisi un radiogramma, a firma del Gen. Rossi, così concepito: «Considerate le truppe tedesche nemiche. Reagire a qualsiasi imposizione tedesca a mano armata». II mattino del 14 settembre venne diramato a tutta la Divisione l’ordine del Comando Supremo e lo stesso Gen. Gandin, passando in macchina davanti alla mia batteria, scese, mi fece chiamare e battendomi una mano sulla spalla, quasi con compiacimento, mi chiese: «Sei contento ora?».
Alle ore 12 del 14 il Comando Divisione trasmise al Comando tedesco il seguente messaggio: «Per ordine del Comando Supremo e per volontà degli ufficiali e dei soldati la Divisione “Acqui” non cede le armi»; il giorno dopo alle ore 14 la lotta era ufficialmente aperta, il cielo coperto da dense formazioni di caccia bombardieri tedeschi. Nello stesso pomeriggio cadde in combattimento il primo artigliere della battaglia di Cefalonia, abbracciato ad un pezzo della sua sezione, il sottotenente Alfredo Acquistapace della mia batteria.
L’epopea di Cefalonia appartiene oramai alla storia e ritengo inutile dilungarmi sul sacrificio, sul valore dei nostri soldati, sul barbaro eccidio compiuto dai tedeschi fucilando in massa 450 ufficiali e 5.500 uomini di truppa e compiendo uno dei crimini più feroci ed inauditi che la storia ricordi.
Pubblicato giovedì 10 Settembre 2015
Stampato il 11/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/13-settembre-ero-a-cefalonia-e-ordinai-il-fuoco-contro-i-nazisti/