Diego Armando Maradona non c’è più. Le prime notizie di stampa parlano di arresto cardiocircolatorio. Se ne va prematuramente uno dei protagonisti della fine del 900 e degli anni a cavallo dei due secoli. Genio e sregolatezza, senz’altro. Ma comunque uno dei più grandi campioni di tutti i tempi del calcio. E non solo.

Maradona era, a suo modo, un rivoluzionario, legato ai leader più autorevoli dell’America latina e dell’America centrale, ed è scomparso il giorno della morte – quattro anni fa – del suo amico più stretto: Fidel Castro. Poi, fra i suoi rapporti, Hugo Chavez, Nicolas Maduro, Dilma, Lula, Daniel Ortega, la Kirchner, Evo Morales, Pepe Mujica; insomma l’intera classe dirigente che ha cercato con alterne fortune di emancipare un continente dal dominio degli Stati Uniti e delle multinazionali, proponendo modelli di sviluppo alternativi. Alcuni, da questo punto di vista, lo hanno paragonato a Cassius Clay, Muhammad Ali.

In Europa è sempre stato considerato il re dei fuoriclasse. E basta. Semmai, anche – per alcuni aspetti – uno fuori di testa. Ma per il resto del mondo, e comunque per mezza America e specialmente per l’Argentina, forse un uomo fuori dalle righe, dalle vita sregolata, ma certamente un grande rivoluzionario. Vissuto nel mito del Che, ammiratore di Papa Bergoglio, era come lui argentino. Ma anche in un certo modo italiano, per essere più precisi, napoletano. Ha segnato la storia del calcio. Assieme, ci ha insegnato un nuovo calcio, funambolico, estremo. Ma ci ha insegnato anche qualcos’altro.