Il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, con Gennaro Spinelli, presidente nazionale di Ucri-Unione comunità Romanès Italia

Il 16 aprile scorso, Anpi e Ucri-Unione Comunità Romanès Italia, hanno annunciato un’unione pragmatica di intenti, per una “resistenza” comune. Lo scorso 27 aprile, con il patrocinio morale dell’Unar-Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali presso Palazzo Chigi e la presidenza del consiglio dei ministri, tramite il suo direttore Mattia Peradotto, il sostegno morale dell’Anpi nazionale tramite il suo presidente Gianfranco Pagliarulo e della Croatian Romani Union Kali Sara, per la prima volta nella storia la bandiera romanì, colma di firme di Rom, Sinti e attivisti per la cultura romanì di tutta Europa, è stata portata sul tetto del mondo, la cima del monte Everest.

Gennaro Spinelli con la bandiera romanì sulla cima dell’Everest

L’iniziativa è stata promossa dall’Ucri-Unione delle Comunità Romanès in Italia nel mese dell’orgoglio Rom, con l’obiettivo di unire simbolicamente le voci e le storie del popolo romanì di tutto il mondo. A portare la bandiera nella cima del monte Everest è stato l’abruzzese Gennaro Spinelli, presidente nazionale di Ucri-Unione comunità Romanès Italia. Gennaro è un violinista italiano di etnia rom, con oltre 1.500 concerti all’attivo in più di trenta nazioni, inoltre, nel 2018, l’International Romaní Union lo ha nominato ambasciatore per l’arte e la cultura romaní nel mondo. Nello stesso anno è stato ricevuto da Sergio Mattarella a nome delle comunità romanés, per testimoniare la volontà di superare ogni discriminazione. Gennaro ha anche scritto un libro, uscito per People nel 2022, intitolato Rom e sinti. Dieci cose che dovreste sapere. Vista la collaborazione con l’Anpi, nonché l’importante iniziativa sul monte Everest, abbiamo deciso di intervistarlo.

Come nasce la collaborazione con l’Anpi e cosa rappresenta per Ucri?

La collaborazione fra Ucri e Anpi è qualcosa di molto naturale e fortemente voluto. Ci accomuna la resistenza perenne e la lotta al miglioramento attraverso uguaglianza e coesistenza. Nel presidente Pagliarulo e in tutti i membri Anpi abbiamo trovato fratelli partigiani moderni dove non si cerca più la resistenza sulle montagne con i fucili ma si lotta attraverso una resistenza fatta di penne e pensieri attraverso le aule universitarie e i luoghi di pubblica discussione. La resistenza è cambiata nella forma ma non nella sostanza e Ucri sta già lavorando insieme ad Anpi per un miglioramento pragmatico e persistente della comunità romanès e la società maggioritaria che nei prossimi mesi potrete constatare con mano.

In Parlamento è arrivata una proposta di legge per far riconoscere all’Italia il Samudaripen, il genocidio dei rom e dei sinti durante la Seconda guerra mondiale. L’Unione Europea lo ha già riconosciuto nel 2015, invitando i Paesi membri a fare altrettanto, quindi quanto sarebbe importante che l’Italia lo riconoscesse?

Riconoscere vuol dire rispettare, il rispetto per le comunità passa da queste azioni e dall’autorappresentarsi. Riconoscere il genocidio dei rom vuol dire studiarlo nelle scuole, cosa che oggi non avviene come invece con altri genocidi, anche se i Rom sono passati per gli stessi forni crematori. Conoscere il Samudaripen è una forma di civiltà verso la quale la nostra società dovrebbe ambire. Questo deve essere un primo passo di civiltà e memoria da parte di uno Stato che non ha, fino a ora, mai riconosciuto la nostra minoranza etnica.

Italia, manifestazione Rom e Sinti (Imagoeconomica, Valerio Portelli)

Nel 1999 rom e sinti vennero esclusi dalla legge sulle minoranze linguistiche. Quanto sarebbe importante che un’ulteriore legge riconoscesse lo status di minoranza linguistica ai rom e sinti?

Sarebbe un primo passo e non un punto di arrivo, oggi si parla della 482 del 1999 che riconosce le lingue minoritarie in base alla zona di appartenenza ma i Rom e Sinti sono in tutta Italia, bisogna adattare il riconoscimento a ciò che più oggi necessita alla nostra comunità. Un primo passo che poi richiederà una strategia di progresso persistente sia linguistico che soprattutto sociale, inteso come diritti umani fondamentali che oggi mancano.

L’omaggio della bandiera rom a Papa Francesco

Recentemente è venuta a mancare la grande figura di Papa Francesco. Che rapporto aveva Ucri con lui e secondo lei cos’ha rappresentato la sua figura in merito alla lotta alle discriminazioni?

Ucri ha donato la bandiera che tutti noi vediamo nella foto di Papa Francesco e lui si è sempre detto vicino alle comunità. Una preghiera da parte nostra sarà sempre presente per Papa Francesco e speriamo che il suo successore, Papa Leone XIV, abbia una sensibilità simile per le nostre comunità che ad oggi sono molto credenti.

Come vi è venuta l’idea di portare la bandiera rom sul monte Everest e cosa ha significato?

Portare per la prima volta nella storia la bandiera romanì sull’Everest è stato un onore immenso. La nostra bandiera è il nostro simbolo nonché la nostra forza e il nostro futuro. Quindi portarla sulla montagna più alta del pianeta è il simbolo della bellezza, grandezza e forza della cultura romanì che dopo migliaia di anni vuole esistere e pretende di farlo con dignità in tutto il mondo. Ha rappresentato un fatto storico, ma anche un grido: “Ci siamo, ci siamo sempre stati, e oggi siamo più forti che mai”. Perché la bandiera romanì è di tutti, la cultura romanì è di tutti e simbolicamente le firme rappresentano questo, l’appartenenza e la fierezza di esserne parte. La nostra bandiera è il nostro simbolo, la nostra anima, la nostra unione. La bandiera romanì vuol dire riunirci in tutto il mondo sotto di essa e lo abbiamo fatto, l’abbiamo portata sopra tutto e tutti. Abbiamo scelto di non portare loghi di organizzazioni ma le firme di persone che sognano la nostra cultura come valore aggiunto al mondo. Portare la nostra identità lassù è stato come portare il nome di tutte le nonne, i padri, i figli e le figlie che hanno camminato, spesso scalzi, spesso soli, ma mai piegati. Un gesto di resistenza come quello dei partigiani, un gesto di dignità come tutti gli esseri umani. Proprio per questo non si è trattato solo di una scalata, bensì di gesto simbolico e potente, un filo teso tra le vette dell’Himalaya e le terre dell’Abruzzo, dei Balcani, del Rajasthan, dell’Europa intera, a rappresentare un cammino lungo mille anni, fatto di dolore, bellezza e testardaggine.

Intervista di Andrea Vitello, storico e scrittore