Come è cambiato l’articolo 9 della nostra Carta Costituzionale relativamente all’ambiente? E cosa comporta questo cambiamento? È ciò di cui hanno dibattuto, durante l’iniziativa organizzata da Anpi San Fruttuoso di Genova Stefano Bigliazzi, avvocato di Legambiente Polis; Francesca Coppola, architetta di Legambiente Polis; e Marco Baruzzo, rappresentante di Libera, moderati da Arianna Cesarone, presidente Anpi San Fruttuoso oltre che componente del comitato nazionale dell’associazione dei partigiani. Durante l’incontro sono state analizzate le varie sfaccettature del tema del paesaggio, dell’abitare, del rapporto fra paesaggio ed economia, nonché fra paesaggio, democrazia e azione civica.

Fino a poco tempo fa, l’articolo 9 della nostra Carta Costituzionale recitava: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

A seguito di una modifica dello scorso febbraio, entrata poi in vigore il 9 marzo, questo articolo è stato implementato con il seguente comma: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

La modifica interessa anche l’articolo 41 della Costituzione che è diventato il seguente: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

(Unsplash)

La responsabilità della Repubblica nella tutela del paesaggio è uno dei principi fondamentali della Costituzione italiana. Per coloro che avevano redatto gli articoli della prima parte della Costituzione era probabilmente implicito che il termine paesaggio comprendesse il concetto di ambiente, anche se forse non per come lo intendiamo noi oggi.

Se l’ambiente, infatti, è lo spazio naturale dato, l’habitat delle specie animali, il termine paesaggio fa pensare all’interazione fra la dimensione naturale e l’attività umana: nel rapporto uomo-territorio, è il luogo dove si svolge la vita sociale e civile. E come tale va tutelato, essendo – e non è un dato marginale – anche il luogo in cui si esercita il confronto democratico.

(Imagoeconomica)

Spesso però questa azione di tutela manca, è insufficiente o addirittura dannosa. E non è difficile accorgersene, basta guardare il degrado che ci circonda nello spazio in cui viviamo. Un degrado che interessa il paesaggio, urbano ed extra-urbano, con l’inquinamento e i suoi effetti nocivi sulla salute pubblica, con il consumo indiscriminato del suolo, con un modello di sviluppo incurante dei vincoli e dei rischi ambientali, con una pianificazione urbanistica che ha prodotto il saccheggio dei suoli favorito da una legislazione inefficace e spesso rispondente solo agli interessi economici privati, con l’erosione dello spazio rurale, con l’abbandono di intere aree.

I rischi per l’ambiente derivano spesso da progetti di edilizia sconsiderata o da progetti faraonici di quelle grandi opere, spesso inutili o incompiute, così come dalla svendita di aree naturali o demaniali pubbliche in favore di privati senza scrupoli o dalla cementificazione selvaggia di parchi, boschi e aree verdi.

Arianna Cesarone, presidente sezione Anpi Genova-San Fruttuoso e componente comitato nazionale Anpi

Un momento dell’iniziativa genovese, al centro la presidente Anpi San Fruttoso e componente del comitato nazionale Anpi, Arianna Cesarone

Ma cosa è cambiato nella Costituzione in favore dell’ambiente a seguito di questa modifica?

Fino allo scorso marzo, l’ambiente era citato nella Costituzione solo nell’art.117, nella parte relativa alla divisione dei compiti tra Stato e Regioni.

La Corte Costituzionale aveva già detto che la parola paesaggio, contenuta nell’articolo 9 della Costituzione, andasse intesa in senso ampio e quindi comprendesse anche il concetto di ambiente, con quella che viene definita una interpretazione evolutiva della norma Costituzionale.

È però evidente che l’introduzione del 3° comma dell’art. 9, in cui si dice che la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle nuove generazioni”, cambia il livello della tutela; l’ambiente non è più tutelato in quanto parte del paesaggio ma in quanto bene in sé. L’ambiente è tutelato insieme alla biodiversità e agli ecosistemi, quindi parliamo della tutela della natura in sé e non soltanto in quanto paesaggio fruibile dall’essere umano.

Per fare un esempio concreto e attuale, questo può avere un grande rilievo in una situazione come quella degli impianti eolici o fotovoltaici. Quello che potrebbe sembrare sgradevole per il paesaggio (inteso come panorama) può invece essere utilissimo e positivo per l’ambiente, per la natura. Forse ancora di più per l’interesse delle nuove generazioni, dal momento che sarebbe bello riuscire a lasciare anche a loro un pianeta con l’aria respirabile.

(Imagoeconomica)

La norma prosegue aggiungendo che “La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Anche qui siamo di fronte a una grande evoluzione culturale e sociale. Nella società contadina gli animali erano strumenti di lavoro o di alimentazione, erano quindi un oggetto di proprietà del padrone. Tutelati sì, ma in quanto bene necessario alla propria sopravvivenza. Adesso gli animali (soprattutto cani e gatti) vivono nelle case, fanno parte della famiglia. Chi ha un cane difficilmente si fa chiamare padrone: è più facile che, in un rapporto che si è progressivamente umanizzato, si faccia chiamare papà o mamma. Come conseguenza è cresciuta la consapevolezza del fatto che anche gli animali hanno diritto di essere tutelati in quanto tali.

(Imagoeconomica)

Forse ancora più importante è la modifica dell’art. 41, 2° e 3° comma costituzione. L’art. 41, 2° comma prevedeva che l’iniziativa economica privata non potesse svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Tra i limiti vengono aggiunte la salute e l’ambiente. In un periodo storico in cui trionfa l’idea della libertà assoluta dell’essere umano di fare ciò che vuole con ciò che è di sua proprietà, si mette un freno a questo mito in direzione della difesa della salute e dell’ambiente, della collettività. Pensiamo a cosa può voler dire questo quando si tratta di aziende inquinanti. L’art. 41, 3° comma, va nella stessa direzione, aggiungendo che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali ed ambientali”. Insomma, lo Stato deve stabilire delle leggi per controllare, programmare, indirizzare e coordinare le attività economiche, siano esse pubbliche o private, non solo ai fini sociali ma anche ambientali. In questo caso, si tratta di un buon esempio di modifica Costituzionale, non a caso votata quasi all’unanimità e senza procedure speciali, nel rispetto del metodo di modifica prevista dall’Assemblea Costituente del 1948.

Stefano Bigliazzi, avvocato, Legambiente Polis

(Unsplash)

Quali possono essere le ricadute e i benefici sul territorio conseguenti alla modifica costituzionale?

Le città rappresentano i luoghi dove si accentua al massimo la pressione antropica e dove di conseguenza si concentrano gli squilibri ambientali che provocano i maggiori danni alla salute fisica e psichica dei cittadini (Mirabile, 2005). Per questo motivo lo studio della qualità ambientale delle aree metropolitane è di estrema importanza per cercare di identificare misure importanti per il loro miglioramento. Una componente naturale che può influenzare molto la qualità dell’ambiente e della vita in città è costituita dalla vegetazione urbana che, oltre alle funzioni estetiche e ricreative, contribuisce a mitigare l’inquinamento, a migliorare il microclima delle città e ad accrescere la biodiversità.

(Imagoeconomica)

Il verde urbano comprende il patrimonio di aree verdi presenti sul territorio dei Comuni e gestito direttamente o indirettamente dagli enti pubblici. Esistono diversi tipi di aree verdi: verde attrezzato, parchi urbani, verde storico, aree di arredo urbano e aree speciali (come giardini scolastici, orti botanici, vivai, giardini zoologici e altre categorie). La Convenzione europea del paesaggio definisce il paesaggio come una determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.

(Unsplash)

Il decreto interministeriale 2 aprile 1968 numero 1444 definiva i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi: per gli insediamenti residenziali i rapporti massimi sono fissati in misura tale da assicurare per ogni abitante la dotazione minima inderogabile di mq 18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie e mq 9 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport.

La strategia nazionale del verde urbano propone “foreste urbane resilienti ed eterogenee per la salute e il benessere dei cittadini” e per raggiungere questo obiettivo ritiene essenziale passare da metri quadrati a ettari, ridurre le superfici asfaltate e adottare le foreste urbane come riferimento funzionale e strutturale del verde urbano.

La situazione attuale evidenzia che la disponibilità del verde urbano fruibile, dagli anni 2011-2020, si è mantenuta stabile, ma in molti Comuni è molto inferiore a quanto stabilito per legge. Inoltre, emerge in moltissimi Municipi, nello stesso periodo, l’assenza totale di aree di forestazione urbana, così come la mancata approvazione, di strumenti di pianificazione e governo del verde, o l’assenza di censimenti del verde urbano da parecchi anni.

Sarebbe opportuno che, nelle città, per la tutela dell’ambiente ci fossero ecosistemi aperti e connessi e che i cittadini fossero coinvolti e partecipi nelle strategie di pianificazione e governo del verde per città realmente per e di tutti.

Dall’incontro del 13 marzo scorso

“Eppure – come diceva l’architetto Stefano Melli – da alcuni decenni, la cura continua che ha reso paesaggio il territorio, attraverso gesti sia spontanei che organizzati, è stata lentamente accantonata, lasciando un vuoto. Oggi sembra quasi che il paesaggio, spazio di tutti, non appartenga più a nessuno”.

Francesca Coppola, architetta Legambiente Polis

(Imagoeconomica)

Infine si è passati a riflettere sulla nuova vita dei terreni confiscati alla mafie nell’ottica della sostenibilità ambientale

Dal 1995 Libera ha intrecciato la sua storia con quella del riutilizzo sociale dei beni confiscati: le ricchezze delle mafie che si trasformano in opportunità per camminare insieme, per abitare i margini e creare comunità. Scuole, servizi alla persona, impresa sociale e cultura possono completare l’azione della magistratura e della pubblica amministrazione, dando corpo allo spirito delle leggi con cui dal 1982 si combatte la criminalità organizzata anche con gli strumenti di prevenzione patrimoniale.

Carabinieri durante un’operazione di confisca per mafia (Imagoeconomica)

Da più di dieci anni la presenza dei beni confiscati – aziende e soprattutto immobili – interessa con numeri sempre in crescita le regioni del Nord Italia, nell’ordine di decine, centinaia e talvolta migliaia di beni sottratti al malaffare. Se da un lato questo segnale riporta all’urgenza di una reazione concreta e collettiva al radicamento criminale, dall’altro lato si aprono opportunità di azione e di proposta, per costruire intorno ai beni confiscati e al loro riutilizzo un discorso pubblico che metta insieme lo Stato, gli enti locali, il Terzo settore, le comunità e i loro bisogni sociali.

Una testimonianza dall’incontro organizzato da Anpi San Fruttuoso

La storia delle cooperative Libera Terra, nate sui terreni confiscati alle mafie, è una testimonianza di un nuovo modo di amare il proprio territorio, di proteggerlo e di coniugare l’attenzione con l’ambiente e la ricerca della giustizia sociale. Coltivare e riabitare i segni tangibili della ricchezza mafiosa, trasformarli in uno strumento per creare coscienza e legami tra le comunità, restituire il maltolto.

Sono e saranno quindi fondamentali la vigilanza e la mobilitazione di tutti noi cittadini in quanto attori e non semplici spettatori della tutela ambientale prevista dalla Costituzione, per indirizzare progetti ed eventuali finanziamenti verso una nuova qualità del nostro vivere civile a partire dai luoghi e dal paesaggio in cui abitiamo.

Marco Baruzzo, Libera Liguria