Il litorale domizio, fra le province di Napoli e Caserta, è un lungo tratto di costa del golfo di Gaeta con ampie spiagge, pinete, tracce di antichi insediamenti. Ha alle spalle la fertile pianura campana attraversata dal Volturno e sarebbe un paradiso se il tempo non avesse accumulato su questa terra problemi e disastri di ogni tipo, naturali e umani. Ora, al tempo del Covid 19, i riflettori si sono accesi su un gruppo di palazzoni di undici piani nel comune di Mondragone. La loro storia spiega ciò che molti non vedono dietro la vicenda dei bulgari e della zona rossa.
La prima tappa di questa storia fu negli anni del boom, in cui la Cirio impiantò a Mondragone una fabbrica per la lavorazione dei pomodori, inizio di una filiera agro-industriale che cominciò a portare lavoro e benessere, ma che non durò molto per la crisi del settore. Il terreno della Cirio fu venduto e proprio lì l’ingegnere Corrado Ferlaino, presidente del Napoli, alla fine degli anni Settanta volle mettere in atto un grande progetto architettonico che chiamò “Nuova Florida”, innovativo come le Vele di Scampia, che avrebbe portato la città nell’era moderna. I palazzi furono costruiti, ma l’idea fallì e il pugno nell’occhio rimase.
La seconda tappa fu quando intervenne la natura con il terremoto del 1980 e il bradisismo dell’area puteolana del 1983 che crearono migliaia di sfollati, così Castel Volturno e Mondragone diventarono lo “sversatoio umano” di tante vite precarie. Le ville e le seconde case della borghesia napoletana si svuotarono, il tessuto sociale si sfilacciò e nella crisi generale degli anni Ottanta si fecero i conti con ciò che era rimasto e ciò che si profilava: l’immigrazione e l’intolleranza.
E fu la terza tappa. Già nel 1978 in Italia c’era mezzo milione di lavoratori stranieri occupati soprattutto nel settore agricolo, sparsi nelle aree marginali dov’era più facile trovare poveri alloggi rimanendo poco visibili. Il litorale domizio diventò un polo d’attrazione con il suo bisogno di braccia per l’agricoltura, con le sue abitazioni abbandonate e la marginalità dell’area. Nel 1989, a Villa Literno, non lontana da Mondragone, Jerry Masslo, un bracciante sudafricano colto e politicamente attivo sul tema dei diritti, fu assassinato dalla criminalità. L’Italia reagì con una manifestazione antirazzista di 200.000 persone a Roma.
A Mondragone i palazzoni ex-Cirio in quegli anni diventarono un ghetto. Da allora le case sono abitate senza contratto, o con contratti firmati da prestanome; i proprietari vi hanno trovato il desiderato profitto esentasse, certo illegalmente, ma per molti l’illegalità non è un problema. Poi arrivarono i bulgari.
Alcuni si stabilizzarono con le famiglie, altri continuano a venire stagionalmente, e tutti lavorano in nero, tranne quelli che avevano un contratto per dieci giorni lavorativi l’anno e ne lavorano duecento per circa dodici ore al giorno. Sono circa duemila, molti di etnia rom, e più di settecento di essi abitano nei palazzoni ex-Cirio pagando cento euro al mese per un posto letto. Sono una collettività raccolta in sé stessa, cittadini comunitari senza bisogno di visto ma senza residenza; l’unico presidio sanitario a cui possono rivolgersi è l’ambulatorio di Emergency a Castel Volturno. Si parla di piccolo spaccio, ma il fenomeno dev’essere molto limitato se essi sono i primi fruitori della mensa e dei soccorsi della Caritas gestita dalla parrocchia. Il reddito generalmente proviene dal lavoro nero nei campi, circa trenta euro al giorno per gli uomini, meno per le donne, e bisogna sottrarre cinque euro per i caporali che li vengono a prendere ogni giorno con dei pulmini. Lo facevano anche durante il lockdown perché i campi avevano bisogno di braccia, “quelli” dovevano lavorare per mangiare, e così si arriva alla quarta tappa.
Non è strano che fra loro si sia scoperto un focolaio di contagio, che il 22 giugno per quei palazzoni si sia istituita la zona rossa delimitata da transenne, che alcuni siano evasi, che dopo tre giorni alcuni bulgari siano scesi in piazza contro la chiusura e che sia arrivato l’esercito a presidiare la zona. Per gli abitanti sia italiani sia immigrati di quei palazzi ciò è apparso intollerabile, con una differenza: dai primi è partito il grido “Dagli all’untore”.
Qui viene alla luce la storia antica degli “zingari”, un termine europeo del tutto estraneo alle etnie romanì. La distanza culturale da questo popolo per definizione “nomade” si è coagulata in una distanza sensoriale, in un rigetto corporeo, e quindi nella paura. Già nel Primo Convegno di Etnologia a Roma, era il 1911, si era parlato “dell’atavica credenza che gli zingari siano ministri di malore”. Untori, quindi.
Oggi la paura del contagio in un crescendo di propaganda politica sul tema razziale, ha riportato a galla tutto questo. A Mondragone poi, col sommarsi della crisi sanitaria e di quella economica, i gestori dei lidi e i proprietari di case sperano in una ripresa del turismo: dunque bisogna “cacciare gli zingari”. Naturalmente viene trascurato il rapporto fra criminalità organizzata e schiavizzazione dei più deboli.
Si aggiungano a tutto ciò le elezioni regionali e si arriva all’ultima tappa, per ora.
Salvini cercava un capro espiatorio e l’ha trovato nei palazzoni ex-Cirio, dove è arrivato nel pomeriggio del 29 giugno. Nella zona rossa, senza mascherina, dichiara: “Mi hanno chiamato delle signore proprietarie di case, delle mamme che non possono uscire per colpa dei clandestini”. Ma ad attenderlo, oltre alle “signore proprietarie di case”, oltre a cronisti, fotografi e forze dell’ordine in assetto di sommossa, c’è una folla di anziani e di giovani che gli grida il suo malvenuto.
Si è parlato di cariche, di scontri, di lanci di oggetti, di violenze. In realtà, nella diretta integrale si è visto avanzare di qualche metro il cordone dei carabinieri con gli scudi a protezione frontale contro la pressione della gente, e si è sentito nitidamente uno di loro ripetere a quelli che gli stanno davanti: “Per cortesia, un metro di distanza per la sicurezza”. Si crea un certo spazio, si vede un barista napoletano con la fronte insanguinata e qualcuno grida “Manteniamo la calma, ragazzi!”.
Certo, ci sono stati fischi e cori di “Sciacallo!” “Vergogna!” “Buffone!” “Via! Via!”, mentre lui continuava a ripetere di essere lì per i cittadini perbene contro i delinquenti, gli è arrivata una secchiata d’acqua e il microfono ha smesso di funzionare. Per lui è stato sabotaggio. Parla con i cronisti di “assalti alla polizia” da parte dei “centri sociali” di Napoli, perché a Mondragone tutti i bravi cittadini sono con lui. Tre anni fa su 23.297 elettori “Noi con Salvini” ebbe 341 voti. Assicura che, comunque, quando sarà al governo risolverà tutti i problemi. Dalla folla partono improperi in un dialetto verace.
Il giorno dopo, di primo mattino, è a Castel Volturno. La giunta di centrodestra lo attende davanti al Municipio, gli accessi alla piazza sono sbarrati dalle forze dell’ordine, la città lo ignora.
Torna improvvisamente a Mondragone il 3 luglio “per dare uno schiaffo ai teppisti dei centri sociali”. La città è blindata, lui va in uno stabilimento balneare lontano dagli ex-Cirio, fa qualche dichiarazione e se ne torna a Roma.
La grande calata elettorale sul litorale domizio sotto un sole cocente è finita. Resta nell’ombra, da anni, l’articolo 3 della Costituzione.
Pubblicato lunedì 6 Luglio 2020
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