CONTRATTO DELLA MONTAGNA -Quadretto - lapide Selve MarconeÈ notte fonda. L’unica finestra della stanza viene oscurata con una tenda e alcuni scampoli di stoffa. Al centro della stanza su un tavolo, alla luce tremolante di una candela, un gruppetto di giovani operai sta scrivendo e ricopiando a mano la stessa frase su molti piccoli fogli.

Poche parole per richiedere ciò che oggi sembra normale, mentre in quei giorni era molto pericoloso: «Pane e Pace».

Tra loro si distingue un giovane, un ragazzino appena, Argante Bocchio, che diverrà partigiano e con il suo reparto difenderà gli incontri e le trattative che porteranno allo storico accordo sindacale.

Il giorno dopo, poco prima delle sei del mattino del 29 marzo 1943, all’inizio del turno, quei “volantini” verranno distribuiti ai lavoratori della fabbrica tessile Picco di Vegliomosso, un minuscolo paesino del Biellese. Forse la parola “distribuiti” è un po’ forzata; conoscendo bene l’alto rischio che tale azione comportava, i volantini venivano furtivamente inseriti negli armadietti dove gli operai e le operaie si cambiavano al susseguirsi dei loro turni di lavoro. Quelle poche parole generavano subito grande impressione e accese discussioni: alcuni tentennarono esprimendo giustificata paura, altri, saputo degli scioperi operai di Torino e di altre città, pronunciarono una parola che da oltre vent’anni era vietata: “Sciopero”.

L’azione di protesta partì con molte incertezze, ma pian piano si diffuse a macchia d’olio. Entrano in sciopero altre fabbriche: la filatura Cartotti, i lanifici Sella e Botto e tante altre. Intervennero pesantemente le milizie fasciste; molti vennero arrestati e condotti in carcere, in numero maggiore le donne. Ma lo sciopero non si fermò. Anzi si formò una catena con la raccolta di generi alimentari e di soldi da far giungere agli arrestati. Anche alcuni industriali parteciparono a questi gesti di solidarietà umana. Dopo vent’anni di silenzio i lavoratori avevano ripreso la parola: un grande successo.

Biella
Biella

Tra la fine di marzo e il dieci di aprile nel Biellese, oltre settemila operai e operaie incroceranno le braccia portando di fatto al fermo di gran parte delle fabbriche biellesi. Il costo comunque sarà molto salato: tanti gli arrestati, tanti quelli internati in Germania.

Giungerà il 25 luglio con la caduta del regime e poi l’8 settembre. Le prime bande partigiane in montagna, le truppe tedesche e fasciste, i primi scontri, i primi morti, le prime stragi. Ma a dicembre, improvvisamente la lotta riprese e proseguì per i primi mesi del 1944. Ad ogni dimostrazione farà seguito una ancor più grave risposta tedesco-fascista.

Però il risultato più evidente fu che si rinsaldarono ancor più i rapporti tra i lavoratori delle fabbriche e le formazioni partigiane; anche perché la gran parte dei combattenti in montagna proveniva dal duro lavoro dei telai. La situazione era giorno dopo giorno sempre più critica: le condizioni di vita estremamente difficili, il lavoro nelle aziende messo in pericolo dalla guerra.

In conseguenza di quel clima, dal marzo 1944, si ebbe un fatto nuovo: alcuni industriali e alcuni delegati sindacali clandestini cominciarono a incontrarsi grazie all’azione e alla protezione delle truppe partigiane. Ci furono i primi accordi che vennero definiti “di valle” essendo il Biellese formato in prevalenza da valli e in quelle erano dislocate la quasi totalità delle aziende manifatturiere.

Clandestinamente e correndo gravi pericoli per tutti – la vigilanza e il servizio informativo dei tedeschi era estremamente efficiente – i contatti continuarono con una certa costanza e frequenza portando agevolazioni di paga che, seppur non sufficienti, garantirono alle famiglie un minimo di benessere in più. Ben presto fu chiara a tutti la necessità che quella serie di accordi doveva trovare una composizione in un accordo unico valido per tutto il territorio biellese e non dovesse essere limitato alle sole aziende tessili.

Nei primi mesi del 1945, in una piccola trattoria immersa nel verde dei boschi circostanti, in località detta del “Quadretto”, fu accettato definitivamente l’accordo con una stretta di mano. Chiaramente nessuno poteva – per le evidenti ragioni di sicurezza – apporre la propria firma in calce al documento. Fu un vero patto e infatti così si chiamò inizialmente, il “Patto della Montagna”.

Il primo elemento che illumina la sua importanza, sta racchiuso nelle prime parole dello stesso: «…il cosiddetto Governo Fascista Repubblicano, per gli Italiani, ha da lungo tempo cessato di esistere e che solo un gruppo di uomini armati sta arbitrariamente governando l’Italia Settentrionale con l’appoggio dei tedeschi […] che questi accordi hanno valore solo in questo periodo di occupazione tedesca e saranno nulli non appena interverrà l’occupazione degli Alleati e il vero Governo Italiano, tranne che essi credano bene lasciarli in vigore fino al momento in cui sarà possibile riesaminarli in appropriata sede». E più avanti, concludeva: «…tutte le altre disposizioni della repubblica fascista, passate, presenti e future […] non hanno più alcun valore ma saranno di comune accordo discusse fra i rappresentanti degli operai e i rappresentanti degli industriali e tempestivamente comunicate a tutti gli interessati.

Tutti gli industriali che continueranno ad applicare disposizioni della repubblica o che prenderanno iniziative non controllate e tutti gli operai che chiederanno delle retribuzioni invocando leggi o provvedimenti della repubblica o che prenderanno iniziative non controllate saranno considerati fascisti ed aderenti alla repubblica».

Non secondari furono altri punti di quell’accordo: per la prima volta in Europa (con oltre trentacinque anni di anticipo) veniva affermato il principio della parità di salario a parità di mansione. Cioè non più la discriminazione salariale tra donne e uomini, ma la stessa paga.

In piena occupazione tedesca un’intera provincia delegittimava, con quell’atto, il governo fascista di Salò.

Venivano così stabiliti nuovi rapporti tra le parti e venivano scritte per la prima volta in Italia – ben prima della fine della guerra e del termine dell’occupazione straniera – regole nuove per un Paese rinnovato e democratico.

Donna al telaio
Donna al telaio

Durante una seduta straordinaria del Consiglio comunale di Biella, successivo al 25 aprile 1945, con una cerimonia ufficiale quell’accordo fu finalmente firmato dai rappresentanti delle nuove organizzazioni sindacali e dagli industriali e sarà ricordato come il “Contratto della Montagna”.

L’accordo verrà riconosciuto ufficialmente a liberazione avvenuta ed avrà effetto anche per quelle aziende che non avevano potuto o voluto applicarlo sin da quel momento.

A precisa, tempestiva attuazione dell’impegno assunto, il 28 aprile 1945 – ad appena quattro giorni dalla liberazione di Biella – la Camera dell’industria emanava la disposizione con la quale il “Contratto della Montagna”, valido non solo per il settore tessile ma per la quasi totalità degli altri settori dell’industria – unico liberamente stipulato nel periodo dell’occupazione nemica in Italia – veniva ufficialmente riconosciuto.

Da quel giorno gli accordi delle valli del giugno ’44 ed i patti successivamente stipulati nel Biellese durante la Resistenza – che nel loro complesso costituirono lo storico “Contratto della Montagna” – divennero di fatto piattaforma di base per tutti i contratti stipulati in sede nazionale a Liberazione avvenuta.