La popolazione ezida, di etnia curda, vive in gran maggioranza in Iraq, ma abita anche altre regioni quali la Turchia, la Siria, l’Armenia, la Russia e la Georgia. Più di centomila ezidi sono poi dispersi nella diaspora che, soprattutto a partire dall’ultimo tentativo di genocidio del 2014 per mano dell’Isis, ha visto un grande flusso di immigrazione, in particolare verso la Germania, facilitato dalle Ongs. Alcune di queste sono sotto i riflettori perché gestite dalla famiglia Barzani, appartenente al clan che governa il Kurdistan iracheno e che ha interesse a svuotare la zona di Shengal, dalla quale provengono gli ezidi che sono stati vittime del citato genocidio.
Shengal è una regione che appartiene al distretto del Ninive, nel nord-ovest dell’Iraq. In quella zona gli ezidi vivono da più di 4.000 anni. Dediti all’agricoltura e alla pastorizia, sono stati perseguitati lungo il corso di tutta la loro storia. Le motivazioni che hanno scatenato questo accanimento verso di loro risiedono in almeno due ragioni. Shengal è una zona che ha sempre stimolato gli appetiti geostrategici delle potenze regionali, le quali tuttavia hanno sempre dovuto fare i conti con la resistenza del popolo ezida, che ha sempre rivendicato il diritto all’autogoverno. La seconda ragione invece è il credo professato dagli ezidi. Questi infatti praticano il culto dell’Angelo Pavone, quanto basta per considerarli eretici nonché adoratori del Diavolo.
Quando nel 2014 l’Isis era ormai penetrato in Iraq, proclamando dopo alcuni mesi la nascita del Califfato dalla città di Mosul, caduta senza difficoltà nelle sue mani, la popolazione ezida presagisce la possibilità che possa concretizzarsi l’ennesimo ferman (in kurmangi, editto con il quale viene ordinato il massacro), il settantaquattresimo della sua storia. Gli ezidi infatti ne avevano contati settantatré, prima che arrivasse quello del 2014.
Rassicurati dal governo centrale iracheno, che aveva stanziato 25.000 soldati a difesa di Shengal, e soprattutto dai 12.500 peshmerga, milizie che fanno capo alla regione autonoma del Kurdistan iracheno, gli ezidi confidano nella difesa promessa da entrambi gli eserciti. Purtroppo la storia ci ha consegnato delle pagine che raccontano del tradimento di tutti coloro che avevano il compito di proteggere questo popolo. Con l’Isis che avanza, l’esercito iracheno si allontana mentre i peshmerga dismettono la divisa, abbandonano le armi, senza consegnarle agli ezidi, e svaniscono nel nulla, abbandonando una popolazione inerme e senza difese.
Nella memoria di ogni ezida vivente la notte del 3 agosto del 2014 è l’avverarsi drammatico del presagito settantaquattresimo ferman. L’Isis entra nei villaggi ai piedi della montagna di Shengal e fa strage di uomini, ragazzi sopra i tredici anni e anziani/e. I maschi tra i tre e i tredici anni vengono rapiti e destinati all’indottrinamento e al servizio militare, trasformandosi in bambini-soldato. Le donne più giovani vengono deportate e poi incatenate, per essere successivamente vendute come schiave. Subiscono le più terribili umiliazioni, vengono stuprate ripetutamente, passate di padrone in padrone, picchiate e forzate alla conversione all’islam. I loro figli e le loro figlie passano per le stesse atrocità.
Chi si salva da questo furore, grazie alla voce che si diffonde, scappa sulla montagna. La fuga, che non è stata pianificata, coglie la popolazione impreparata e così altre persone perdono la vita nel grande esodo, tra il caldo infernale del giorno, il freddo della notte, la sete e la fame.
L’Isis insegue le centinaia di migliaia di ezidi che, disperatamente, vanno alla ricerca di una via di scampo; vuole il loro sterminio perché considerati i peggiori tra i takfir, infedeli, ma vuole anche la loro terra, strategicamente rilevante per congiungere la zona di Mosul alla capitale del Califfato, che ha sede a Raqqa, in Siria. In questa disperata marcia, gli ezidi si salvano grazie all’intervento dei soldati del Pkk che, discesi dalla montagna, difendono la popolazione dall’avanzata dell’Isis e aprono il varco verso la salvezza.
I numeri del genocidio avvenuto sono spaventosi: 1.293 persone uccise in un solo giorno. Il numero totale dei morti ammazzati non è certo ma si ipotizza che possano essere più di 5.000; 2.745 orfani; 6.417 persone rapite, di cui 3.548 donne e 2.869 bambini; un esodo di più di 350.000 persone su 500.000 abitanti l’area di Shengal; più di 80 fosse comuni. Ad oggi mancano all’appello ancora 2.693 persone, tra donne e bambini e più di 200.000 ezidi non hanno ancora fatto rientro a Shengal, tra le persone ancora sfollate nei campi profughi nel Kurdistan iracheno e quelle emigrate all’estero.
Lo studioso ed esperto di Iraq, Pierre-Jean Luizard, ha recentemente dichiarato che il genocidio è stato possibile in virtù di un accordo tra l’Isis e il Partito Democratico del Kurdistan (Kdp), per interessi regionali. In attesa che nuove informazioni e prove emergano per ricostruire le complicità dei diversi attori che hanno permesso che il massacro avvenisse, la popolazione ezida è determinata a richiedere a tutti i parlamenti di riconoscere il genocidio del 2014. Per il momento questo è già stato votato dal Parlamento Europeo, dall’Onu, dai parlamenti di Australia, Belgio, Olanda e Germania e, lo scorso agosto, dal governo del Regno Unito.
L’Associazione Verso il Kurdistan odv, che da più di vent’anni sostiene la causa curda e gestisce progetti in Turchia e Iraq, sta portando avanti questa istanza in Italia. Lo scorso 13 ottobre è stata audita dal Comitato permanente diritti umani nel mondo della Camera dei Deputati. La Presidente del Comitato, l’onorevole Laura Boldrini, ha assunto l’impegno di trasferire la questione davanti al Parlamento affinché il tema del riconoscimento del genocidio del popolo ezida venga discusso e porti a una votazione, che ci si augura sia positiva. Le istituzioni e le associazioni ezide sono convinte che questo riconoscimento, quanto più si espanderà tra i parlamenti, quanto più aiuterà la loro comunità a non cadere nuovamente vittima di un altro ferman.
Sulle ferite ancora sanguinanti del genocidio del 2014, il popolo ezida ha dato il via a una rivoluzione che prevede il coinvolgimento pieno delle donne in tutti i rami e i settori della vita familiare, sociale, politica e militare (destinata alla sola autodifesa). Le donne ezide stanno vivendo un protagonismo che forse non era immaginato né immaginabile prima che la storia infliggesse un’altra tragedia a questo popolo.
Ma la paura di un altro massacro incombe perché persistono gli interessi geostrategici degli attori regionali di oggi (stato centrale iracheno, Turchia e Kurdistan iracheno), che contrassegnano quella zona e perché, dalla lezione del genocidio, gli ezidi sono usciti con la determinazione di autogovernarsi, come prevede l’articolo 125 della Costituzione irachena, per non consegnare mai più la propria difesa e, quindi, il proprio destino nelle mani di altri.
Una scelta non condivisa né dal governo centrale né dal governo del Kurdistan iracheno. Una situazione resa ancora più incandescente dai bombardamenti sulla regione dei droni di Erdogan che considera gli ezidi l’estensione del Pkk.
Carla Gagliardini, componente del direttivo dell’Associazione Verso il Kurdistan odv
Pubblicato venerdì 27 Ottobre 2023
Stampato il 14/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/ezidi-il-genocidio-ancora-non-riconosciuto/