L’antifascismo di Giuseppe Di Vittorio è stato il titolo di un convegno svoltosi il 9 giugno scorso a Cerignola, promosso dalla Cgil, dall’Anpi di Foggia e dalla Associazione Casa Di Vittorio, cui hanno partecipato Maurizio Carmeno, segretario generale Cgil di Foggia, Michele Galante, presidente provinciale Anpi, Giovanna Zunino, direttrice di Casa Di Vittorio, Vito Antonio Leuzzi, direttore dell’Ipsaic di Bari e Adolfo Pepe, direttore della Fondazione Di Vittorio.
La vicenda del famoso sindacalista ha qualcosa di peculiare perché è tra i pochi esponenti che subì violenze e persecuzioni dal fascismo ben prima della sua affermazione. Già nel febbraio 1921 conobbe l’arresto a Cerignola per essersi difeso dagli assalti delle squadre di Caradonna che infestavano il territorio del nord della Puglia come risposta dei ceti agrari prima alla vittoria socialista del 1919 e successivamente alla mobilitazione sviluppatasi nel biennio rosso.
Ma questa volta non ci si trovava più di fronte al tradizionale “mazzierismo” denunciato da Salvemini. Le squadre d’azione non erano semplici milizie mercenarie assoldate, ma un movimento politico del tutto nuovo del quale si faceva fatica a cogliere la natura complessa. Il fascismo sicuramente era un’odiosa reazione di classe dei capitalisti, un movimento che conteneva elementi coercitivi fatti di aggressioni personali, di distruzione sistematica e a tappeto delle Camere del Lavoro, delle leghe e di tutte le altre strutture del movimento operaio e anche di quello cattolico, ma al contempo era riuscito a coagulare interessi attorno ai valori nazionali; a creare un proprio ceto di intellettuali costituito dagli ufficiali; a sfruttare la rabbia dei combattenti per la mancata concessione delle terre promesse; a catturare l’adesione dei ceti medi, che ne costituivano la base di massa insieme a pezzi di proletariato urbano e rurale. In altre a parole, a utilizzare una ambigua posizione anticapitalistica.
Di Vittorio, che in uno scritto del 1929 apparso in francese – Il fascismo contro i contadini – non smise di denunciare la natura fortemente antiproletaria e anticontadina del regime, maturerà col tempo una consapevolezza più alta della macchina di consenso del regime con le sue “casematte” e la sua natura di massa, un partito di tipo nuovo della borghesia italiana, che si affermerà con le diverse peculiarità su scala europea.
La battaglia di Giuseppe Di Vittorio contro il fascismo si snoderà per oltre un ventennio e diverrà una lotta contro i fascismi. Il suo impegno assumerà sempre di più un carattere europeo, internazionale con la partecipazione alla lotta per la difesa della Repubblica spagnola, e con l’attività di organizzazione di un vasto arco di forze in Francia e fuori di essa contro le diverse dittature. Alla direzione del giornale La voce degli italiani, che si stampava in Francia, Di Vittorio svolse un compito essenziale di denuncia della politica bellicista e imperialista del regime fascista e dell’orientamento razzista che andava assumendo con l’emanazione delle leggi sulla razza. Egli divenne un punto di riferimento sia dell’emigrazione politica italiana in terra francese sia delle stesse élite politiche antifasciste d’Oltralpe, fino a quando non venne arrestato e rinviato in Italia per essere prima incarcerato a Lucera e successivamente spedito al confino a Ventotene, da dove tornò uomo libero nell’agosto 1943.
Di tutta la riflessione e l’attività di Di Vittorio vanno sottolineati alcuni elementi pregnanti. Il primo è l’impegno costante e coraggioso del combattente irriducibile e intransigente. Per oltre venti anni ha conosciuto persecuzioni, carcere, esilio e confino, combattendo prima in Italia e poi in Spagna, lavorando nelle organizzazioni di classe senza mai interrompere la sua attività. L’altro aspetto è stata la preoccupazione costante di compattare tutte le forze, non solo proletarie, e tutta la sinistra, di non abbandonare il terreno dell’unità di tutte le opposizioni. Dalle esperienze pugliesi fino a quella all’estero, Di Vittorio ha sempre operato per tenere insieme operai e contadini, le diverse espressioni dell’antifascismo, mettendo al primo posto l’unità ritenendo essenziale e prioritaria la cacciata dei fascisti.
La sua battaglia antifascista non finì con la caduta del regime. Continuò in diverse sedi perché andasse avanti da un lato l’opera di defascistizzazione dello Stato con la creazione di una nuova classe burocratica segnata da un’educazione e da un orientamento democratico, dall’altro la democratizzazione integrale delle strutture politiche, sindacali ed economiche per sradicare i residui del fascismo e impedire nuove avventure totalitarie. Una battaglia che lo impegnò in tutti gli anni del suo operato nel sindacato e in parlamento perché la democrazia fosse fatta sia di benessere sia di diritti e di tutele del mondo del lavoro. La sua lezione è ancora utile nel nostro tempo in cui tentazioni autoritarie e rigurgiti neofascisti si vanno manifestando in diverse parti dell’Europa e del mondo.
Michele Galante, Presidente provinciale Anpi Foggia
Pubblicato giovedì 6 Luglio 2017
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