I numeri della criminalità economica nel settore primario sono il segno di una penetrazione forte della mafia nei campi e in tutto ciò che si muove intorno all’agricoltura. Basti pensare che gli epicentri nei quali sono stati riscontrati fenomeni di grave sfruttamento sono ben 80; che sono 100mila i lavoratori in Italia in condizioni di sfruttamento e grave vulnerabilità. L’economia sommersa e informale in agricoltura muove tra i 2 e i 5 miliardi di euro, dato, quest’ultimo, – avverte il rapporto – da confrontare con i dati forniti dalla Direzione Nazionale Antimafia, che quantifica in 12,5 miliardi di euro il fatturato delle agromafie.
Schiacciati da questa montagna di soldi ci sono uomini, spesso senza volto, braccianti che hanno pagato con la vita gli sforzi di ritmi di lavoro barbari e schiavili. Uomini e donne cui il rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto dà finalmente voce raccontando le loro storie.
Lo sfruttamento in agricoltura viaggia di pari passo con il fenomeno della tratta degli esseri umani. Ad essere vittime del caporalato sono indistintamente italiani e stranieri, circa 430.000 unità, circa 30/50.000 in più rispetto a quanto stimato nel rapporto precedente, con più di 100.000 lavoratori in condizione di grave sfruttamento e vulnerabilità alloggiativa. Seppur il caporalato vive una trasformazione in linea con la metamorfosi del mercato del lavoro sempre più flessibile e precario, le pratiche di sfruttamento dei caporali nei confronti dei lavorati rimangono più o meno le stesse: mancata applicazione dei contratti, un salario tra i 22 e i 30 euro al giorno, inferiore del 50% di quanto previsto dai Contratti collettivi, orari tra le 8 e le 12 ore di lavoro, lavoro a cottimo (esplicitamente escluso dalle norme di settore), fino ad alcune pratiche criminali quali la violenza, il ricatto, la sottrazione dei documenti, l’imposizione di un alloggio e forniture di beni di prima necessità, oltre all’imposizione del trasporto effettuato dai caporali stessi.
Quello che emerge è, insomma, un quadro di forte vulnerabilità dei lavoratori dei campi che andrebbe contrastato con maggiore incisività.
Alcuni passi in avanti sono stati fatti. Il Governo ha recentemente redatto un disegno di legge (Ddl 2217) per disciplinare le forme di contrasto anticaporalato e inasprire le pene dei reati che vengono commessi nel reclutamento di manodopera straniera da occupare nel settore agricolo. Pur tuttavia, a fianco di misure innovative – come la possibilità di sequestrare beni e strumenti di produzione in caso di impiego di manodopera straniera da sottoporre a pratiche di sfruttamento – non si è voluto introdurre il principio della piena corresponsabilità penale tra il caporale e l’imprenditore che lo ingaggia per reclutare manodopera da occupare nella sua impresa. Infatti, tra l’imprenditore e il caporale vige un rapporto stretto, poiché il secondo senza il primo non svolgerebbe nessun reclutamento di manodopera. Il ddl poi è ancora in fase di discussione nei due rami del parlamento. «Tali ritardi – spiega Ivana Galli, segretario generale della Flai-Cgil – ci allarmano non poco, infatti si corre il rischio di cominciare la nuova stagione di raccolta con le stesse “regole” del 2015 e che, nonostante le denunce e l’azione della Flai, anche questa campagna possa essere caratterizzata da sfruttamento ed illegalità che si consumano sulla pelle di lavoratori e lavoratrici».
Lavoratrici e lavoratori che vivono nella paura, timorosi di avvicinarsi al sindacato per reclamare i loro diritti e la loro dignità. La soluzione trovata dalla Flai è stata tanto semplice quanto geniale: andare a cercare i lavoratori là dove vivono e lavorano. Nato nelle campagne pugliesi negli ultimi sette anni quello che è stato poi chiamato “Sindacato di strada”, è una esperienza innovativa che ha permesso, spiega il rapporto, di raggiungere gruppi di lavoratori agricoli occupati in aree decentrate, in porzioni di campo dislocati lontano dai centri abitati, in situazioni territoriali che producono isolamento e dunque incapacità a difendersi dai caporali o dagli imprenditori disonesti. L’approccio e le modalità di avvicinamento sono pro-attive, ovvero ricercare lo scambio comunicazionale con i lavoratori stranieri quando lo scambio stesso non avviene o avviene con palesi difficoltà (localizzazione dei lavoratori, isolamento dei luoghi di lavoro, non conoscenza della funzione sindacale).
Attenzione, infine, a pensare che agromafie e caporalato siano fenomeni locali. Perché non solo lo sfruttamento attraversa l’Italia dal Nord al Sud, ma addirittura il modello ha attecchito ben oltre i confini nazionali. Il rapporto contiene tre studi che guardano al mondo: la Francia con il fenomeno dell’immigrazione nei contesti rurali; la Spagna con lo sfruttamento bracciantile nella raccolta delle fragole nella provincia di Huelva e la California, nelle cui piantagioni lavorano bambini clandestini, sfruttati e sotto ricatto.
Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra; oggi collabora col Venerdì di Repubblica
Pubblicato venerdì 17 Giugno 2016
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