“Il vento della ripresa economica sta soffiando anche per l’Italia: che si tratti di una brezza leggera o di un turbine, ancora non ci è dato di sapere, nonostante il confronto anche aspro sui dati relativi al Pil ed alla occupazione da parte del mondo politico”. Queste parole del Rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale 2015 esprimono efficacemente il senso generale di un ragionamento che, pur non offuscato da posizioni pregiudiziali riguardo alla valutazione dell’attuale contingenza economica, intende evitare di “correre il rischio di rimuovere quello che ha rappresentato la crisi economica per il nostro Paese e, in particolare, gli esiti in termini di sofferenza sociale accumulata nei percorsi di vita delle persone, a fronte di un’assenza di politiche pubbliche di livello nazionale, che ha lasciato alla capacità ed alle risorse delle singole comunità territoriali la responsabilità di rimarginare queste ferite”. Più del nostro, avverte il Rapporto, altri Paesi si sono rivelati capaci di affrontare in modo efficace le conseguenze sociali della crisi finanziaria di inizio secolo: nel periodo 2008-2012 mentre in Italia la povertà è cresciuta del 12,3% (dal 25,3 al 28,4% delle persone residenti), altre realtà nazionali (Francia, Svizzera, Finlandia, Repubblica ceca) hanno fatto registrare una riduzione anche marcata del fenomeno.
Il documento della Caritas italiana utilizza sia dati Istat ed Eurostat, sia quelli raccolti dai 1.197 Centri d’ascolto presi in considerazione, afferenti a 154 diocesi situate in 19 regioni: emerge un quadro variegato, quello appunto delle “povertà plurali” come recita il titolo del Rapporto; plurali in quanto mutevoli in relazione non soltanto ai bisogni prevalenti ma anche a una composizione sociale ed anagrafica del disagio che si modifica e che ha iniziato a lambire soggetti fino a poco tempo fa ritenuti completamente al di fuori del rischio di esclusione.
I dati relativi alle persone che si sono rivolte ai Centri di ascolto nel 2014, pongono in evidenza un aumento dei cittadini italiani; il 41,4% degli individui ascoltati, contro il 38,2 % dello scorso anno, a fronte di una stabilità della differenza territoriale: mentre nel Centro-Nord prevale la componente straniera, nel Mezzogiorno gli italiani costituiscono la maggioranza assoluta degli utenti, a conferma dell’accentuarsi delle diseguaglianze tra Nord e Sud già segnalate, prima dell’estate, dallo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno).
Il confronto dei dati sulle richieste di sostegno relative ai primi semestri del periodo 2013-2015 evidenzia altri elementi di trasformazione della mappa del disagio: aumenta di 2,8 punti percentuali l’incidenza della richiesta di sostegno da parte degli uomini e, mentre resta costante il dato della prevalenza delle classi di età centrali, comprese tra i 35-44 anni e i 45-54 anni, si registra una notevole diminuzione delle famiglie tradizionali e dei nuclei con coniuge e figli, mentre aumentano le famiglie monogenitoriali e altri tipi di famiglie senza coniugi/partner conviventi (+10,2 %); crescono le coppie di fatto (+1,2 %) e le persone che vivono sole (+1,2 %); stazionarie le persone senza dimora.
Dagli ulteriori numeri forniti attraverso i centri di ascolto Caritas emerge anche un quadro significativo delle richieste avanzate: senza distinzioni tra italiani e stranieri, più della metà delle domande formulate (il 58 %) ha per oggetto la richiesta di beni e servizi (accesso alla mensa, viveri, vestiario); seguono, in ordine di incidenza percentuale, la richiesta di sussidi economici, da destinare per lo più al pagamento delle utenze e domandati in maniera più marcata da cittadini italiani (36,5%); le richieste di lavoro (20,7%), soprattutto da parte di stranieri, e le richieste attinenti all’ambito sanitario (11,7%) e alla dimensione alloggiativa (9,3%).
Quali sono le conclusioni? Il Rapporto ammonisce sugli effetti frenanti che la persistenza di alcuni squilibri strutturali e delle ineguaglianze sociali più marcate può produrre riguardo ad una più equa redistribuzione dei benefici derivanti da “una ripresa, che molto probabilmente avrà un andamento tale da dispiegare i suoi effetti solo nei prossimi anni”, e sottolinea la necessità “di passare da un approccio solamente riparativo e di assistenza materiale, ad un modello di intervento caratterizzato da innovazione, capace di promuovere crescita, sviluppo e benessere umano e sociale”. Pur nella presa d’atto positiva degli impegni assunti dal Governo per la messa a punto di un Piano nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, il Rapporto segnala come fino ad ora non si siano verificate le condizioni politiche e legislative necessarie per intervenire in modo strutturale sulle situazioni di povertà e richiama l’attenzione sul fatto che “nel nostro Paese si sconta tradizionalmente, in questo ambito, sia la strutturale assenza di una misura universalistica di contrasto alla povertà, sia il deficit contestuale della rete dei servizi sociali e del sistema dei centri per l’impiego”. Tutto questo mentre non solo in Italia, ma anche in Paesi dotati di sistemi di protezione sociale più efficaci, la condizione di lavoratrice/lavoratore non opera più come una garanzia sufficiente a scongiurare il rischio di emarginazione sociale, poiché l’estensione dell’area del precariato produce generazioni di lavoratori poveri o prossimi alla soglia di povertà, il cui sostegno può richiedere sia misure di integrazione del reddito sia di orientamento al lavoro.
Sorge spontanea la domanda se l’Europa dei mercati, della concorrenza e dell’austerità sia in grado di assicurare i diritti sociali fondamentali ai propri cittadini ed a quanti bussano alle sue porte, e se le ricette finora proposte non siano invece quelle che alimentano, insieme alla povertà, un individualismo aggressivo, xenofobo e sessista. La storia dimostra che i muri materiali e immateriali eretti per escludere o per segregare sono, alla lunga, destinati a disgregarsi. Oggi più che mai il contrasto alla povertà non può restare chiuso nei confini nazionali, e richiede un serio ripensamento dei fondamenti stessi dell’Unione, e, da parte dell’Italia, una rivendicazione forte del carattere globale dei valori irrinunciabili che sono alla base della nostra Costituzione: centralità della persona, eguaglianza, lavoro, in assenza dei quali democrazia e libertà restano solo parole.
Pubblicato giovedì 5 Novembre 2015
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