“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. L’affermazione che apre la nostra Carta costituzionale rappresenta l’approdo più alto al quale è giunta la democrazia italiana da quando è stata realizzata l’unità e l’indipendenza del nostro Paese. Quell’approdo così significativo è stato raggiunto grazie alla Resistenza e grazie al contributo espresso dalle forze del lavoro a partire dagli scioperi attuati nel marzo del 1943 e da quelli ancora più partecipati del marzo del 1944 che diedero colpi poderosi al fascismo.
La guerra aveva messo in luce tutte le debolezze del regime e i lavoratori, assumendo quelle clamorose iniziative, svolsero una funzione determinante per il destino dell’Italia. Quelle grandi lotte di massa che stupirono la grande stampa internazionale e che furono le uniche con tale carattere nell’Europa governata dai nazi-fascisti crearono i presupposti per la crisi del 25 luglio del 1943, la destituzione di Mussolini, l’armistizio con gli Alleati anglo-americani, l’avvio della Resistenza armata e delle diverse forme di opposizione al nazi-fascismo che l’hanno affiancata e supportata.
Contribuirono a giungere alla vittoriosa insurrezione del 25 aprile 1945 e alla riconquista della libertà, al voto alle donne, all’elezione della Assemblea Costituente e alla scelta della Repubblica voluta dal popolo italiano settanta anni or sono.
La Costituzione repubblicana riconosce alle persone i loro diritti fondamentali e riconosce ai lavoratori una piena dignità costituzionale con l’irreversibilità di importanti diritti del lavoro che, riscattato dal valore di merce, diviene garanzia della rinascita democratica del Paese e fattore dello sviluppo complessivo della società con l’affermazione, per la prima volta a livello giuridico, sia del suo ruolo fondativo che dei diritti sociali in una moderna democrazia di massa.
Sappiamo che il lavoro è stato nella nostra storia la forza nazionale più coerente e più determinata nel fare avanzare la democrazia e il progresso sociale in un’Italia frequentemente malata di trasformismo. Una funzione ciclicamente misconosciuta poiché troppe volte si è illusoriamente pensato di cancellarne la funzione sociale come la sua centralità dalla agenda politica del Paese, funzione sociale e centralità del lavoro che sono state combattute come se fossero forme di eversione ogni qual volta veniva posto con determinazione il problema della emancipazione dal bisogno e dallo sfruttamento come dalla fame e dalla ignoranza.
Il lavoro, inteso nelle sue più diverse e più ampie accezioni, significa anche capacità di crearlo, di estenderlo, di qualificarlo, di tutelarlo, di innovarlo, di innalzarne la produttività, di supportalo con delle proposte mirate per una via alta di sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile come per il suo rapporto con l’occupazione.
Di straordinario valore sono i contenuti dell’art. 3 della Costituzione che affermano: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” e propongono un sistema nel quale la statualità sia capace di stimolare un mercato che incorpori regolamentazione.
Si sancisce conseguentemente un modello statuale e una forma di governo autenticamente democratici che nei principi fondamentali, così come nei diritti e nei doveri, normano e codificano le libertà individuali e collettive, politiche, sociali ed economiche in un contesto nel quale le imprese devono saper assumere un ruolo innovativo e un’effettiva responsabilità sociale. Così come le grandi organizzazioni sindacali debbono essere in grado di costruire autonome strategie dotate di una visione organica della realtà socio-economica e del suo sviluppo raccordando la difesa di interessi immediati dei lavoratori e dei pensionati, la contrattazione della condizione di lavoro in azienda, l’estensione dei diritti individuali e collettivi con gli interessi generali della masse popolari e del Paese.
Abbiamo dunque più che mai bisogno di definire e di alimentare un sistema di relazioni capace di realizzare modelli di contrattazione d’anticipo partecipati, nell’impresa come nel sistema dei servizi o nella pubblica amministrazione, in grado di favorire la piena occupazione, la qualità dei posti di lavoro, un giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza, l’aumento della competitività, una equa distribuzione dei redditi e un funzionante sistema di sicurezza sociale.
In numerosi articoli della Costituzione – basti citare l’art. 41, incentrato sul ruolo sociale dell’impresa: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”– vi è anche la ricerca di un corretto rapporto tra logica di mercato e giustizia sociale; un equilibrio accortamente e preveggentemente collocato in quel modello sociale europeo che, avviato nei Paesi scandinavi nella prima parte del XX secolo, si consoliderà nel nostro continente con il trascorrere dei decenni pur assumendo caratteristiche peculiari nei diversi Paesi che lo compongono; in questo equilibrio lo sviluppo economico e tecnologico e un adeguato sistema di protezioni sociali sono divenuti due facce della stessa medaglia.
Così sono stati conseguiti risultati che sono diventati un segno dell’identità europea e che fanno parte delle acquisizioni più progressive che l’umanità abbia mai prodotto e che hanno caratterizzato i modelli sociali che si sono sviluppati nel nostro continente nella realizzazione di esperienze significative di solidarietà e di inclusione, dove l’efficienza dei servizi pubblici è divenuta parte integrante dei diritti di cittadinanza oltre che della qualità delle condizioni di vita.
Il modello europeo nel quale la nostra bella Costituzione ci ha pienamente inseriti ha messo storicamente in risalto la coesione sociale, un sistema di regole condiviso che ha garantito la tutela dei diritti individuali e collettivi, che ha disegnato il profilo sociale dell’Europa e ne ha fatto un fattore di competitività negli scenari internazionali.
Questi tratti costituiscono la nuova frontiera dell’emancipazione in una società che riconosca come valori fondativi le connessioni tra i diritti delle persone, i diritti di cittadinanza, i diritti della sfera economica e del lavoro in una catena che non si può spezzare, pena l’irreparabile deterioramento di ognuno degli anelli che la formano.
Sono questi dei tratti distintivi e fondamentali che debbono essere proposti dal nostro continente, proteso ad una difficile costruzione della propria unità politica, quali basi di adeguati modelli di società all’attenzione di tutte le aree del mondo in una fase complessa e convulsa come l’attuale, che pone indubbiamente gli uomini e le donne del nostro pianeta di fronte a grandi rischi ma anche di fronte a una fase di impegnativa ricerca.
Dobbiamo saper essere collettivamente partecipi di questo sforzo, immane ma necessario, partendo dalla nostra radicata convinzione che la Resistenza ci ha portato ad avere la nostra bella Costituzione che indica con coerenza un modello di società importante; un modello che pur tuttavia noi stessi non abbiamo ancora adeguatamente e pienamente attuato.
Carlo Ghezzi, Segretario della Fondazione Giuseppe Di Vittorio
Pubblicato venerdì 22 Aprile 2016
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