Il mio ricordo di Arrigo Boldrini riguarderà soprattutto il rapporto umano e professionale stabilito in quasi sessant’anni di collaborazione fianco a fianco.

Sebbene potesse apparire brusco e austero, Boldrini aveva un carattere amabile e una grande sensibilità. Però avendolo conosciuto quando ero molto giovane, passò un bel po’ di tempo prima di riuscire a dargli del tu, nonostante mi avesse invitato a farlo sin da subito.

Bulow pretendeva molto dai suoi collaboratori, era estremamente esigente, tanto che avevo avvertito mia madre di non preoccuparsi se il telefono squillava nel cuore della notte. Boldrini non “staccava” mai, semplicemente. La vita privata dei collaboratori era messa a dura prova.

Ravenna 6-9-89 - Bulow ai funerali del suo amico Benigno Zaccagnini
Ravenna 6 settembre 1989 – Bulow, visibilmente commosso, rende omaggio alla salma del suo amico d’infanzia Benigno Zaccagnini

La sua agenda era un diario che aggiornava di continuo annotando le impressioni ricevute nel corso dei suoi numerosi incontri, per esempio quando con Ferruccio Parri fu istituito il Consiglio Federativo della Resistenza. Lì riportò anche il dolore per la tragica fine del suo amico Enrico Mattei e per la scomparsa dell’amico fraterno Benigno Zaccagnini.

L’agenda è divenuta una sorta di prosecuzione del Diario di Bulow tenuto durante la lotta di Liberazione. Diario che io stessa ho trascritto da foglietti volanti miracolosamente conservati, che Boldrini mi consegnava stropicciati, reduci dalle peripezie della guerra e della Resistenza.

Pur con l’autorevolezza che lo ha sempre accompagnato e contraddistinto, era refrattario a qualsiasi forma di incensamento o adulazione. Figuratevi come poteva rifuggire dalle autocelebrazioni. Una volta scrivendo il testo di un suo messaggio – erano i primissimi tempi con lui – lo predisposi per la firma con la dicitura “Arrigo Boldrini, Medaglia d’Oro al Valor Militare”. Lui cancellò tutto e mi spiegò che al massimo potevo scrivere: “Arrigo Boldrini, nato a Ravenna”. Scherzava, naturalmente.

Quando ricoprì la carica di Vicepresidente della Camera dei Deputati – accanto al Presidente Pertini – ebbe naturalmente a disposizione un’automobile di servizio: non la usava quasi mai, tranne che per andare all’aeroporto. Prima però si accordava con altri parlamentari per condividere il tragitto e far sempre viaggiare l’auto pressoché al completo. Non si sedeva mai dietro e quando, più tardi, gliene assegnarono una dotata di telefono mobile – uno dei primi che si cominciavano a vedere… – ebbene: lo fece immediatamente disinstallare.

Insomma, era insofferente a ogni segno e simbolo che rappresentasse il potere e la sua ostentazione. Era un mito e un leader, ma per gli altri, lui disapprovava i personalismi. Amava invece la cultura, la letteratura, il cinema e più di tutto l’opera lirica. Durante l’estate, lui e la moglie non perdevano mai le rappresentazioni all’Arena di Verona e quando era a Roma qualche volta riuscì a trascinare pure me a Caracalla e, nel ’97, alla mitica Turandot andata in scena allo Stadio Olimpico con la regia di Giuliano Montaldo, che da ragazzino era stato anche lui partigiano.

Mosca, 11 marzo 1985 - incontro con i veterani sovietici. Insieme a Boldrini, a destra nella foto,  il partigiano M.O
Mosca, 11 marzo 1985 – incontro con i veterani sovietici. Insieme a Boldrini, il partigiano M.O. Giotto Ciardi (a destra nella foto).

L’ultimo episodio che vi voglio raccontare risale all’inizio degli anni 80, quando un gruppo di compagni di una sezione del PCI di Roma, invitato in Unione Sovietica, al rientro mi contattò per invitare Boldrini a una cena avendo ricevuto l’incarico di consegnargli una sorpresa per lui. L’incontro si tenne nella trattoria “Biondo Tevere” – all’epoca ritrovo di intellettuali di sinistra, tra cui Pasolini che lì consumò l’ultima cena della sua vita – e con nostro sommo stupore scoprimmo che la sorpresa consisteva in un enorme busto del Comandante Bulow, scolpito da un artista del realismo socialista. Usciti dal locale per tornare a casa, Boldrini “mollò” a me il pesantissimo ingombro, dicendo di portarmelo a casa e non farlo vedere a nessuno. Gli stessi compagni faticarono a farlo entrare nel bagagliaio della mia 127 gialla e per mesi girai per Roma con la “scultura” in macchina. Poi, aiutata da alcuni ragazzi, la depositai nel garage di casa e lì rimase. Qualche anno dopo, tornai a chiedergli cosa dovevo farne e si meravigliò che non me ne fossi ancora sbarazzata. In quei giorni stavano ristrutturando la sede dell’ANPI Nazionale in via degli Scipioni, allora all’insaputa di tutti portai lì il busto e in mia presenza fu distrutto a colpi di piccone. Riferii e lui approvò.

È stato un privilegio conoscere Arrigo Boldrini e lavorare con lui, condividere i momenti intensi – a volte anche drammatici – della nostra storia, così come i piccoli momenti lieti che, per fortuna, riescono a rendere meno gravosi gli impegni quotidiani. Per me il Comandante Bulow è stato anche un maestro di vita, sempre rigoroso, lungimirante e coerente. E ancora oggi gli sono immensamente grata per la straordinaria eredità di democrazia e umanità che mi ha trasmesso.