Da http://www.lastampa.it/rf/image_lowres/Pub/p4/2016/10/30/SpecialiNobili/Foto/RitagliWeb/GDB5UU7F-kre-U10901451320971wxB-1024x576@LaStampa.it.jpg
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L’Appennino è stato scenario strategico della Resistenza; lo stesso elemento geomorfologico è stato determinante per fronteggiare i nazifascisti, naturale alleato dei partigiani che conoscevano quel territorio, in cui la maggior parte di loro erano nati. Lì si sono consumate gesta eroiche, militari e civili. Lì i partigiani hanno trovato rifugio, conforto e collaborazione dai montanari che abitavano quei territori. Lì il popolo dell’Appennino ha pagato un prezzo altissimo alla Resistenza, vittima di stragi efferate e di barbarie su donne e bambini; interi paesi cancellati dalla ferocia nazifascista. Lì è stata restituita all’Italia la libertà e la democrazia; lì si è scritta la Costituzione. Sull’Appennino riposano tutt’oggi molti di quei ragazzi che diedero vita alle formazioni partigiane.

L’Appennino è per l’ANPI e gli antifascisti meta di pellegrinaggio, aula all’aperto di democrazia. Paesaggi, sentieri, muri, cippi, che quando ti ci trovi, senti quello che le parole poetiche di Franco Arminio esprimono con sacralità: “Mettiti in ginocchio, anche se non credi a nessuno” https://comunitaprovvisorie.wordpress.com/ .

Adesso l’Appennino è ferito e piegato dalla forza della natura, Marche, Lazio, Abruzzo e Umbria; certo, lo è stato anche nel passato recente e in secoli addietro.

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Ma l’epoca della comunicazione e dell’informazione ci rende più vicino il fenomeno che si sta consumando su quei territori, ed è fondamentale che i riflettori rimangano accesi. Per le Marche la ferita è grave, profonda, diffusa. La quotidianità delle aree interne e della montagna di quasi quattro province è stata messa in ginocchio dal terremoto. Per diversi iscritti dell’ANPI la catastrofe naturale è passata dentro la propria abitazione e vita, stravolgendola. Le nostre Sezioni in quelle zone, hanno alternato nelle scorse settimane la distribuzione di volantini referendari con coperte e pasti caldi a chi si è trovato, in pochi secondi, senza più nulla; anche questo è essere ANPI. L’Appennino per la Resistenza è stato territorio di riferimento e domus. Vi vive da sempre “il popolo dell’Appennino”; oggi figlio, nipote e pronipote di quei montanari e di quei Resistenti, che dal dopoguerra ad oggi, lì hanno costruito e radicato le proprie esistenze, attività, quotidianità. Il terremoto ci richiama, come un dovere morale, a mettere l’Appennino al centro dell’agenda dell’ANPI, e ciò che questo rappresenta per il nostro Paese.

Città di Castello
Città di Castello

Lungo quei territori ci abitano ad occhio più di venti milioni di persone; e allora l’Appennino, se ancora nella normalità non è riuscito ad esserlo, nella straordinarietà di questi tempi e di quelli che verranno, deve diventare una “questione nazionale”. E a stabilire il da farsi non può che essere la Costituzione con i suoi valori: il lavoro, la salute, il paesaggio, l’istruzione, il diritto all’abitazione. Questo anche perché, per decenni l’Appennino è stato violentato da scelte politiche e amministrative sbagliate, mosse da logiche esclusivamente legate al profitto. Scelte urbanistiche improprie, inquinamento da insediamenti industriali, indebolimento dell’assetto geomorfologico, saccheggio di risorse naturali, opere infrastrutturali utili solo a riempire saccocce. Il sisma ha trovato il prodotto di queste scelte scellerate, come occasionale alleato per rendere ancor più profondo il suo far danno. Adesso l’Appennino corre il pericolo più grave, forse più dello stesso rischio sismico: l’abbandono e lo spopolamento. E c’è chi ha interesse a che questo avvenga, e che trova aderenze e complicità nei ritardi, nelle inefficienze, nelle opacità della politica. Una vera e propria “strategia dell’abbandono”, per fare dell’Appennino un grande “villaggio vacanze” o, peggio, teatro di altre devastazioni in nome del guadagno. Anche la politica negli anni ha operato per favorire lo spopolamento: Comuni ridotti alla fame, Province private di funzioni fondamentali per la cura dei territori, l’illusione delle “fusioni” dei Comuni, che hanno visto ridursi, più che sprechi e inefficienze, solo la preziosa funzione di rappresentanza democratica, lo smantellamento di molti presidi sanitari territoriali, politiche scolastiche sbagliate. Dare servizi ai cittadini in montagna costa troppo, meglio favorirne il trasferimento altrove: c’è un pezzo opaco dello Stato che pensa e persegue ciò.

Norcia dopo il terremoto (da http://img2.tgcom24.mediaset.it/binary/fotogallery/ansa/34.$plit/C_2_fotogallery_3006158_10_image.jpg)
Norcia dopo il terremoto (da http://img2.tgcom24.mediaset.it/binary/fotogallery/ansa/ 34.$plit/C_2_fotogallery_3006158_10_image.jpg)

Il terremoto ci chiede di invertire la rotta; l’Appennino può ritornare ad essere un luogo vissuto, di lavoro, di attività che sappiano esaltarne le peculiarità agricole, zootecniche, paesaggistiche e culturali (quanti giovani qui nelle Marche avevano deciso di fare di un’agricoltura rispettosa e moderna la propria scelta di vita…), di scelte urbanistiche che tengano conto della fragilità del territorio, di servizi alle persone che ci vivono. Un territorio dove praticare anche un’economia più etica e più giusta. Le crepe, oltre il dolore, hanno fatto emergere la bellezza di una società civile, quella dell’Appennino, che si è autorganizzata, messa a diposizione; un grande patrimonio di umanità e di spirito di cittadinanza attiva, che è anche un tesoro di civismo e democrazia.

Per l’ANPI, l’Appennino è stato finora il luogo della Memoria democratica e antifascista. Ma l’Appennino ferito dal terremoto deve diventare per l’ANPI il presente e il futuro, spina dorsale della Patria dove promuovere e tutelare quei valori costituzionali, la cui applicazione rappresenta anch’essa ricostruzione e ripartenza, non solo di case, scuole, attività lavorative, ma di coscienze. L’ANPI deve farsi parte attiva e militante, accompagnare, con la sua autonomia e un progetto originale, quel fermento che ha visto molte persone riscoprire un nuovo sentimento di umanità, di comunità, di solidarietà, e mettersi in gioco in prima persona.

Ecco, “mettersi in gioco”, nuovamente, come fecero più di 70 anni fa i Partigiani e il popolo della montagna. Lo dobbiamo all’Appennino, e a quello che ha rappresentato e rappresenta; lo dobbiamo ai valori della democrazia e dell’antifascismo. Perché “qui”, sull’Appennino, per dirla con i versi di Franco Arminio, “c’è il sacro che ci rimane”.

Leonardo Animali, Coordinatore ANPI Marche