Si pensa, in genere, che un documentario debba documentare, ma non ci si aspetta che possa emozionare come è successo al pubblico di Brescia alla proiezione di Marcia su Roma del regista irlandese Mark Cousins. L’iniziativa, organizzata e finanziata dall’Anpi provinciale con il patrocinio del Comune di Brescia, è stata proposta dalla “Commissione scuola Anpi “Dolores Abbiati”, in collaborazione con la sezione “Caduti di Piazza Rovetta” e il cineclub AGEnda Cinema per riportare l’attenzione sul fascismo storico e su quello attuale in coincidenza con l’anniversario della marcia su Roma, il 28 ottobre 1922.

Il regista irlandese Mark Cousins

L’emozione nasce anche dalla passione civile del regista la cui voce narrante dà al documentario una vibrazione speciale da racconto coinvolgente: alla ricostruzione dei fatti storici si lega un discorso sul cinema, sulla sua potenza narrativa, sulle sue trappole.

Tutte le immagii di repertorio dell’articolo sono tratte dal film “Marcia su Roma” di Mark Cousins

Presentato in apertura alle Giornate degli Autori della scorsa edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, a cento anni dallo storico drammatico evento che ha consegnato l’Italia al fascismo, il film, dalla forte espressività artistica in ottima sinergia con lo scrupolo dell’indagine storica, propone aspetti del fascismo finora poco noti al grande pubblico, come la relazione con la massoneria o il colonialismo in Etiopia.

Forse perché c’è proprio bisogno di fare i conti con la nostra storia in un momento in cui tanti fantasmi del passato ritornano con volti nuovi, la sala del cinema Nuovo Eden a Brescia ha accolto più di 200 persone, tra cui una ventina di insegnanti. Per loro, grazie al Protocollo d’Intesa 2023-2024, sottoscritto da Ust Brescia e Anpi Brescia, la proiezione è stata valutata come formazione.

L’attrice Alba Rohrwacher nel film “Marcia su Roma”

Un convinto e prolungato applauso ha aperto la proiezione dopo l’originale saluto in video di Mark Cousins, un piccolo saggio di regia e di antifascismo, e un altrettanto caloroso applauso finale l’ha chiusa: irresistibile emotivamente è stato, ai titoli di coda, il canto di Bella ciao da parte dell’attrice Alba Rohrwacher, buon viatico a un dibattito partecipato nonostante l’ora tarda.

Quella che segue è l’intervista che il regista, grazie alla mediazione dell’organizzatore del film, Ermanno Guida, ha concesso a Carlo Gianuzzi della Commissione scuola “Dolores Abbiati”, trasmessa sulle frequenze di Radio Onda d’Urto, ascoltabile in podcast cliccando QUI.

Come nasce l’idea di questo film su una delle pagine più grottesche e insieme drammatiche della storia d’Italia? Come si inserisce l’interesse per questo tragico evento del primo Novecento europeo nella sua filmografia?
Sono molto contento di essere stato invitato a realizzare questo film. L’idea non è partita da me. Il produttore, Andrea Romeo, mi ha contattato e mi ha detto: “La Palomar vuole realizzare un film documentario sul tema della storica marcia su Roma”. Al soggetto ha lavorato un bravissimo ricercatore storico, Tony Saccucci. Il progetto mi ha convinto fin dall’inizio, per due ragioni. La prima è che nutro da tempo un grande interesse per la politica di estrema destra. Negli anni 90 ho realizzato un documentario sui neonazisti e sui negazionisti della Shoah. La seconda ragione è che il progetto Marcia su Roma comportava un lavoro sulla cultura delle immagini e su come l’estrema destra e il fascismo le usi, insieme al cinema e ad altri strumenti, nella costruzione della propria mitologia. Poiché, quindi, sono estremamente interessato a qualunque cosa abbia a che fare con la cultura delle immagini, questo progetto univa due passioni che sento mie.

Giorgia Meloni in Spagna con Vox (da Fb di Giorgia Meloni)

Il suo film è passato a Venezia poche settimane prima che le elezioni consacrassero la vittoria delle destre italiane e della sua leader. Come è andato il film in Italia?
Quando abbiamo iniziato a realizzare il film, non pensavamo di inserire alcun tipo di riferimento all’Italia contemporanea. Poi, però, Giorgia Meloni fece un discorso al comizio di Vox in Spagna nel quale disse Sì all’universalità della croce: un discorso particolarmente inquietante, a mio avviso. Aveva appena affermato un No ai diritti Lgbtqia+. Qualunque cosa si pensi di lei, questa affermazione sul Sì all’universalità della croce — che significa No all’Islam o al giudaismo in Europa — credo sia un commento decisamente di estrema destra. Penso che si possa tranquillamente definirlo fascista. È per questo che abbiamo deciso di inserire una breve immagine di Meloni insieme a quelle di altri odierni leader di estrema destra. Il nostro intento era quello di suggerire che simili opinioni di estrema destra sono ancora in circolazione e determinate categorie di persone corrono ancora dei rischi, esattamente come nel passato: persone Lgbtqia+, donne, minoranze, immigrati e così via. Ecco perché abbiamo inserito quell’immagine.

Ha registrato reazioni al suo film da parte dei nuovi governanti italiani?
A Venezia la sala era piena e quando è comparsa l’immagine di Meloni c’è stato un momento di silenzio. Bisogna ricordare che il vostro Paese si stava avvicinando a un grande cambiamento politico. Il giorno dopo il “Guardian” ha assegnato al film cinque stelle, mentre la stampa di destra in Italia ha avuto un atteggiamento del tutto diverso esprimendo forte irritazione. Quando poi il film ha iniziato a essere proiettato nelle scuole, alcuni esponenti del maggiore partito del governo italiano ne hanno parlato in Parlamento, definendo sbagliata la scelta di usare il mio film nelle aule di scuola. Peraltro, ho saputo che, a seguito di quegli interventi, le prenotazioni del film nelle scuole sono aumentate. I politici non sono insegnanti. Dovrebbero astenersi dal dire a chi insegna cosa deve o non deve essere usato nelle aule scolastiche; parlo dell’Italia, ma lo stesso vale per la Florida, l’India, la Polonia, Israele, l’Ungheria e molti altri Paesi nei quali accade esattamente la stessa cosa.

Ritiene che il film abbia avuto una distribuzione soddisfacente?
Il film è stato prodotto, in Italia, dalla Palomar e distribuito a livello internazionale dalla Match Factory. Non è certamente un film facile da vendere; la ragione principale, credo, è che molti ritengono che il soggetto del film sia strettamente italiano. Ma in realtà si tratta di un tema universale. Le questioni sollevate non riguardano certo solo l’Italia, come ci ricorda il film. Abbiamo mostrato come la marcia su Roma si sia rivelato un evento seminale, che ha fatto sentire rapidamente i suoi effetti in Portogallo, in Spagna, in Germania e in altri Paesi. Tornando alla domanda: il film ha conosciuto una buona diffusione internazionale, ma la distribuzione non ha raggiunto un grande numero di Paesi. In parte, come ricordavo, perché il tema è stato visto come troppo specifico. Tuttavia, dove è stata distribuita, la pellicola ha avuto un’ottima accoglienza e un forte impatto. In particolare, credo, grazie alla sequenza finale che mostra come il fascismo sia una sorta di mitologia che fa leva sulla paura. In tempi di diffusa paura o di cambiamenti sociali, il fascismo ritorna, come un fiume carsico che riemerge, pronto a esercitare nuovamente la sua azione sulle persone.

Non è un film semplicemente per ricordare il passato, ma per pensare all’oggi… Per riflettere sul ruolo del cinema nella creazione di una narrazione condivisa, sulla manipolazione dei fatti, sulla propaganda… Un documentarista sui generis, si dice di lei: in che cosa riconosce la sua specificità?
Tutti i miei film hanno al centro uno sguardo particolare. Sono tutti alla fine film sulla guarigione, per così dire. Io sono di Belfast, nell’Irlanda del Nord, dove abbiamo avuto una guerra. Una guerra alla quale abbiamo posto fine. Io sono stato un ragazzino molto nervoso, diciamo. Eppure, se mi guardi adesso, vedi un adulto del tutto tranquillo. Infatti, molti dei miei film sono incentrati sulle dinamiche che ci permettono di superare quanto di negativo abbiamo vissuto. Marcia su Roma è un esempio di un’epoca triste, anzi terribile, e la mia domanda è in quale misura l’Italia sia guarita da quel periodo della sua storia. Rispetto al mio stile cinematografico, non riesco a riconoscermi in alcuna categoria, quindi la definizione sui generis mi sembra azzeccata. I miei film sono poetici, spesso contengono elementi drammatici e mescolano finzione e realtà. Per esempio, in Marcia su Roma vediamo la grande Alba Rohrwacher. In generale, cerco sempre di usare il cinema in modo innovativo e di realizzare qualcosa che non si vede spesso: la prima mezz’ora di questo film contiene un’analisi di 30 minuti di un vecchio documentario. Questa è una cosa, in sé, piuttosto insolita. Ma è quello che abbiamo fatto in Marcia su Roma: abbiamo preso quel documentario e l’abbiamo analizzato. Quello per me è un esempio di innovazione, un aspetto che cerco di inserire sempre ovunque sia possibile.

Sarajevo, 1992. Il musicista Vedran Smailović suona nella Biblioteca Nazionale della città, parzialmente distrutta

Un regista irlandese che cosa può aggiungere o vedere con “occhio sghembo”, come abbiamo letto in una critica, a quello che già il cinema italiano ha detto sul fascismo? Pensiamo a Risi, Vancini, Rossellini, Scola o lo stesso Fellini e l’elenco potrebbe essere lungo.
“Un occhio sghembo”. Interessante, come definizione. Però, va detto, qualunque sguardo è lo sguardo di un occhio sghembo. Non esiste lo sguardo perfetto, lo spettatore superiore, la persona che si trova nella posizione ideale per capire. Occorre tenere conto di un sacco di fattori diversi: ceto sociale, genere, orientamento sessuale, lingua madre e così via. Non esiste la persona adatta per parlare di Mussolini o del fascismo. Il mio film è incentrato, in parte, sul cinema, e quella è una lingua che conosco bene. Chiunque ami il cinema conosce in qualche misura questa lingua franca. E Marcia su Roma parla anche di quella lingua franca e di come quella lingua sia stata piegata a determinati interessi, nel 1922 e negli anni successivi. Insomma, penso di essere titolato per parlare di quel tema. Sono cresciuto in una zona di guerra, ho fatto un film in Iraq durante la guerra, ho aperto un cinema a Sarajevo durante il terribile assedio di quella città. Ho conosciuto da vicino numerosi conflitti, situazioni nelle quali senti di affogare, nelle quali il fascismo sale come l’acqua, sempre più in alto su per il collo. È una situazione che conosco bene, quindi penso di avere le carte in regola per fare un film come questo. Uno sguardo esterno è sempre importante. Parlo dalla Scozia; alcuni dei migliori film sulla Scozia sono opera di persone che venivano da fuori. Prospettive sempre interessanti. Quindi, ribadisco, “occhio sghembo” mi piace.

Una scena del film “È piccerella” della regista Elvira Notari, 1875-1946 (nel riquadro)

Un aspetto estremamente interessante del film è quando lei confronta le artefatte, ingannevoli immagini del film di propaganda “A noi” con quelle vere, autentiche e tutte da riscoprire, di Elvira Notari, la prima regista italiana che, con immagini tratte dalla strada, ha saputo raccontare e forse immaginare un’Italia alternativa, diversa, da quella ormai omologata e fasulla imposta dal Ventennio. Può dirci qualcosa di questa pioniera della regia al femminile? Che spazio/ruolo ha nella sua ricostruzione filmica della marcia su Roma?
Sono ormai tanti anni che raccolgo informazioni sulle grandi registe della storia. Da trenta anni a questa parte, ogni volta che visito un Paese, mi informo sempre sulle grandi autrici cinematografiche locali. Non ricordo esattamente quando ho sentito parlare la prima volta di Elvira Notari, ma ricordo di avere visto È piccerella quando ero molto giovane e di essermene innamorato: la sincerità, l’onestà… Le origini del neorealismo vengono in genere collocate nel 1944-45, ma forse dovremmo anticiparne la data di nascita agli anni 20. L’umanità con la quale Elvira Notari racconta il lavoro dei venditori ambulanti di Napoli, o i cittadini che festeggiano nelle strade, solo per fare un paio di esempi, mi ha fatto pensare fin da subito al regista americano King Vidor. Quando sento qualcuno dire che il cinema è innanzi tutto stile e fascino, penso sempre che dovremmo rimuovere gli orpelli e aprire il cuore con uno sguardo attento e innocente alle vite che si muovono intorno a noi. Credo sia questo ciò che Elvira Notari ha fatto e che l’ha imposta come una figura importantissima, una pioniera. Ho realizzato un documentario di 15 ore, intitolato Women Make Film (Donne che fanno film), dedicato proprio alle grandi pioniere del cinema.

Laura Forcella, Commissione Scuola “Dolores Abbiati”, Anpi Brescia