L’Europa tace da decenni di fronte a occupazioni, deportazioni e conflitti in Medio Oriente. Israele è visto, secondo il giudizio di alcuni osservatori, come il “figlio viziato” dell’Occidente. La sua nascita è stata legata al senso di colpa europeo per le persecuzioni e le tragedie subite dagli ebrei in Europa. Oggi è altrettanto evidente come gli interessi degli Stati Uniti siano strettamente intrecciati con quelli di Israele. Negli anni, Israele ha deportato palestinesi e li ha uccisi. Eppure, raramente i governi occidentali hanno espresso prese di posizione nette, né hanno intrapreso azioni concrete in difesa di quella terra e di quel popolo. La domanda resta: perché, da decenni, il mondo tace di fronte all’occupazione della Palestina?

Il silenzio dell’Europa

Benjamin Netanyahu, primo ministro Israele e Donald Trump, presidente Usa (Imagoeonomica)

I politici europei non hanno mai assunto una posizione chiara contro l’oppressione esercitata da Israele. Non hanno denunciato con forza le deportazioni, le uccisioni e l’occupazione. Al contrario, il silenzio delle cancellerie è sembrato un tacito permesso a Netanyahu e ai governi israeliani di agire liberamente. Il Parlamento europeo e i governi, dopo decenni di violenze, riescono a dire soltanto: “Chiediamo il cessate il fuoco”. Dichiarazioni di facciata che non hanno conseguenze pratiche. Nessuno ha fermato gli accordi economici con Israele, nessuno ha richiamato gli ambasciatori. Ancora una volta, l’Europa sceglie le parole, ma evita i fatti.

Gaza e le altre guerre dimenticate

A Gaza

Ciò che accade a Gaza oggi ricalca lo stesso schema visto altrove. Come in Afghanistan, dove le donne continuano a subire violenze sistematiche, anche a Gaza i governi occidentali si limitano ad assistere, fornendo aiuti umanitari simbolici, come pacchi di cibo lanciati dal cielo. Ma i palestinesi non hanno bisogno soltanto di pane: hanno bisogno della dignità che è stata loro tolta. Una dignità che l’Occidente ha contribuito a negare quando ha deciso di regalare la terra di altri al popolo ebraico.

A sinistra il diplomatico inglese Mark Sykes, a destra il diplomatico francese Francois Georges Picot. Firmarono l’accordo per la spartizione del Medio Oriente nel 1916

La radice dei conflitti

Oggi si parla genericamente di “guerra in Medio Oriente”, ma la radice di tanti conflitti risale agli interventi e alle decisioni occidentali. L’accordo Sykes-Picot del 1916 ridisegnò i confini della regione, creando Stati e cancellandone altri, sacrificando interi popoli. I curdi, ad esempio, furono divisi tra Iran, Iraq, Siria e Turchia, e da più di un secolo vivono guerre e repressioni. Anche in questo caso, l’Europa ha preferito chiudere gli occhi.

Il bisogno di nuovi leader

In Afghanistan

Oggi il mondo avrebbe bisogno di leader coraggiosi e coerenti, capaci di dire basta e di assumere posizioni nette. Figure come Nelson Mandela, che rifiutò nel 1992 il premio Atatürk per la pace in Turchia denunciando la repressione contro i curdi, sono sempre più rare. Mandela seppe collegare la lotta del suo popolo a quella di altri oppressi, con un messaggio universale: la giustizia è una sola, a Soweto come in Kurdistan, a Gaza come in Sudafrica.

Un murale dedicato a Nelson Mandela realizzato dallo street artist Jorit (Imagoeconomica, Paolo Lo Debole)

Una responsabilità storica

Sia per il Kurdistan sia per la Palestina, oggi servirebbe una voce di questo calibro. L’Europa non potrà mai lavarsi la coscienza rispetto alle occupazioni e alle divisioni che ha provocato in Medio Oriente. Francia e Gran Bretagna hanno precise responsabilità storiche: hanno disegnato i confini della regione secondo i propri interessi, e continuano a condizionarne il futuro. Se davvero vogliono parlare di pace, dovrebbero iniziare a ridisegnare il Medio Oriente non per i propri vantaggi, ma per restituire giustizia e libertà ai popoli che ne sono stati privati.

Gulala Salih, presidente Udik, Unione Donne Italiane e Kurde