Quasi in concomitanza con il primo giorno di primavera che per i curdi – oltre che per tanti popoli indoeuropei – corrisponde al capodanno, la festa del Newroz ovvero il nuovo giorno, l’Isis è stato spazzato via, almeno militarmente. L’incubo del sedicente Stato islamico in questi ultimi anni ha seminato il terrore nelle città europee, morte e devastazione, mentalità oppressiva e rancida propaganda nei territori del Medio Oriente e non solo in cui c’erano miliziani, cellule dormienti e simpatizzanti. In questa guerra combattuta anche sul terreno tra Siria e Iraq, Daesh è riuscito a indottrinare migliaia di ragazzini via web, ha convinto adolescenti occidentali a prendere un volo per la Turchia e poi passare il confine per vivere in quell’incubo nero che prometteva il paradiso a tanti giovani emarginati o annoiati.

Il territorio del califfato voluto da al-Baghdadi, che ha governato l’area del “Siraq” per circa 1.700 giorni, non c’è più anche grazie al sacrificio delle donne e degli uomini delle Forze democratiche siriane (Fds), una coalizione curdoaraba, sostenuta dagli americani, che ha strappato l’ultima bandiera nera dell’Isis nella provincia di Deir Ezzor, a Baghouz sul confine siroiracheno, considerata la terza capitale dello Stato islamico dopo Raqqa e Mosul dove qualche giorno prima aveva perso la vita in un’imboscata Lorenzo Orsetti, volontario internazionalista arruolato nelle Ypg curde, affiliate alle Fds.

La liberazione di Baghuz (foto Afp)

“Le Forze democratiche siriane dichiarano la totale eliminazione del cosiddetto califfato e la sconfitta dell’Isis dal 100% del territorio”, aveva twittato lo scorso 23 marzo Mustafa Bali, il portavoce delle Fds dal nord della Siria. Le Fds hanno liberato vaste aree del nordest siriano (circa un terzo del Paese) dal controllo dell’Isis durante i cinque anni di conflitto e hanno governato applicando i principi dell’autonomia democratica. Per la prima volta nella storia della Siria moderna la lingua curda è stata liberamente usata nella vita pubblica e insegnata a scuola e i curdi hanno ottenuto all’interno dei confini siriani diritti civili per lungo tempo negati. Questo pezzo di Siria amministrato autonomamente dai curdi durante gli anni di guerra ha accolto molti civili in fuga da ogni parte e ha preso il nome di Rojava che in curdo vuol dire ovest, un’entità de facto ma che non ha il riconoscimento della comunità internazionale. La protezione degli Usa – che però a Natale tramite un tweet di Trump avevano annunciato il ritiro una volta sconfitto l’Isis – ha garantito ai curdi siriani di continuare col loro progetto senza che Assad (aiutato dai russi a tenere il controllo del Paese durante la guerra civile siriana innescata dalle rivolte popolari del 2011) intervenisse anche lì con l’intenzione di riprendersi “ogni centimetro del suo territorio”. Sebbene ci siano contatti tra i curdi siriani e il governo di Bashar al Assad, non ci sono progressi nelle negoziazioni sulla situazione del Rojava e sullo status di entità autonoma all’interno dei confini della Siria che i curdi chiedono. Ora che però l’Isis è militarmente sconfitto, i curdi non vogliono che la coalizione internazionale li abbandoni perché la Turchia preme ai confini del Rojava/Siria del nord, ne ha già occupato una parte (è territorio siriano) e considera le unità Ypg/Ypj terroriste affiliate al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) che è nelle liste del terrorismo di Usa, Ue e Turchia.

Le Fds hanno detto di aver perso nella guerra circa 11mila combattenti; quasi in ogni famiglia c’è un martire, come lo chiamano, caduto non solo per sconfiggere i miliziani islamisti, ma anche per difendere il diritto dei curdi ad esistere a casa loro. “Ora che la nostra enclave è organizzata può gestire l’amministrazione in maniera autonoma. Le Fds proteggeranno questa terra fino alla fine”, ha detto Redur Kalil, ufficiale senior e portavoce delle Fds nella cerimonia organizzata per celebrare la sconfitta del Califfato. Questo però non significa la fine di Isis perché ci sono centinaia di cellule dormienti e per esempio in Iraq, proprio dove l’organizzazione terroristica è nata, si sono già riuniti miliziani pronti a colpire: nell’area a nord e a est di Baghdad già si registrano diversi attacchi e omicidi. Alcuni militari del Pentagono hanno messo in guardia il presidente Trump in merito al ritiro delle forze americane perché ciò porterebbe a una situazione di vacuum all’interno del quale lo Stato islamico potrebbe facilmente riprendere forza. Insomma la fine della guerra e dei combattimenti sul terreno pone nuove sfide per tutti gli attori statali e non statali che hanno partecipato alla campagna contro Isis. Più di 5 milioni di persone sono fuori dalle loro case, o meglio non hanno più un posto dove andare, i danni alle infrastrutture di Siria e Iraq hanno segnato per molti decenni a venire le economie di questi Paesi, già prima del conflitto non esattamente floride.

Lorenzo Orsetti

Inoltre durante questi anni di guerra sono stati catturati dai curdi centinaia di foreign fighter di nazionalità europea e nordamericana. Questo è un problema che va affrontato, è una responsabilità europea. Le forze curde hanno fatto sapere di non essere più in grado di mantenere queste persone nelle carceri e vorrebbero rispedire i combattenti stranieri catturati nei Paesi di origine. Ma i governi interessati non hanno fatto cenno a possibili soluzioni, incluso quello italiano. Ci sono infatti anche foreign fighter legati al nostro Paese, secondo alcune fonti sarebbero 138 persone. L’Italia per il momento ha preso provvedimenti solo nei confronti dei ragazzi italiani rientrati dalla Siria che – proprio come Lorenzo Orsetti – sono andati a combattere a fianco dei curdi, degli arabi, degli assiro cristiani e degli yazidi contro l’Isis.

Antonella De Biasi, giornalista e saggista. È stata redattrice del settimanale “la Rinascita”. È autrice e curatrice di “Curdi” (Rosenberg & Sellier 2018)