Con una cerimonia al Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania, alla presenza di numerosi studenti, lo scorso 12 novembre, si è solennemente ultimato il percorso di riconoscimento ufficiale da parte delle istituzioni nazionali degli atti di Resistenza compiuti dalla popolazione civile di diversi paesi etnei contro l’occupante tedesco nella prima quindicina del mese di agosto 1943.

La richiesta era stata avanzata alla Presidenza della Repubblica il 3 luglio 2012 dal “Comitato promotore della Resistenza etnea”, presieduto da Nicola Musumarra, autore nel 2012 del libro “La Resistenza italiana in Sicilia. I martiri e gli eroi di Mascalucia e Pedara”, con prefazione del prof. Rosario Mangiameli.

Nicola Musumarra, presidente del Comitato promotore della Resistenza etnea, durante la cerimonia di consegna delle sei Medaglie al MC

Nel corso della commemorazione, dopo gli interventi del prefetto Maria Carmela Librizzi che, tra l’altro, rivolgendosi ai ragazzi ha evidenziato la loro funzione fondamentale “nell’impulso e stimolo per rafforzare e custodire i valori fondamentali della Repubblica e per un impegno convinto al servizio del bene comune”; di Nicola Musumarra e della prof.ssa Pinella Di Gregorio del dipartimento Scienze Politiche e Sociali dell’università di Catania, sono state consegnate le medaglie al Merito Civile e le onorificenze al “merito della Repubblica” ai sindaci dei Comuni di Belpasso, Mascalucia, Nicolosi, Pedara, Tremestieri, Valverde. Sul palco era presente una consistente rappresentanza di parenti dei martiri uccisi durante gli atti di opposizione alle cruente razzie dei militari tedeschi.

Dall’inizio di agosto 1943 una lunga scia di sangue contrassegna la ritirata delle truppe tedesche nell’area pedemontana etnea.

I 38 giorni della “battaglia di Sicilia”, in gran parte combattuta nell’area della Sicilia orientale, sono lunghi e cruenti, coinvolgendo in maniera diretta e spietata anche la popolazione civile.

Mappa dell’Operazione Husky

Il 10 luglio con l’Operazione Husky sbarcano sulle coste sud-orientali dell’isola un’imponente formazione militare alleata composta da 3.200 navi appoggiata da un grande schieramento aereo, 160.000 militari, essenzialmente statunitensi, inglesi e canadesi, e un’enorme mole di attrezzature militari; alla fine dell’operazione i militari della coalizione Alleata raggiungeranno il numero di 480.000 unità.

All’atto dello sbarco l’isola è presidiata da circa 230.000 militari italiani (moltissimi i siciliani, circa il 70%) e da forti e bene armate formazioni tedesche costituite da 45.000 unità.

L’Italia è ormai reduce da una guerra devastante. La disfatta in Unione sovietica è già un fatto compiuto; abbandonate, in rotta, le aree del Nord Africa, le aree dell’“Impero” nell’Africa Orientale Italiana –Eritrea, Somalia, Etiopia – sono state lasciate alla fine del 1941. Il fascismo ha sacrificato “la migliore gioventù” negli anni di vita più belli. Le popolazioni civili sono allo stremo e alla fame; tutte le città italiane, comprese quelle siciliane, sono sottoposte a continui, micidiali, bombardamenti aerei.

22 luglio 1943, gli Alleati entrano a Palermo

Il crollo militare dell’Asse in Sicilia è ormai ineludibile. In gran parte avviene rapidamente. Il 22 luglio gli Alleati entrano a Palermo (il 21 a Enna), dopo avere liberato tutta l’area occidentale dell’isola. L’esercito italiano, escluse alcune sacche di battaglia, complessivamente ha un veloce disfacimento. Tanti soldati abbandonano il fronte dei combattimenti, di fatto dileguandosi; la grande piazzaforte di Augusta il 10 luglio si arrende senza nessuna reazione di contrasto. Dopo il 25 luglio, l’esercito italiano è ormai allo sbando. Le aree di combattimento si restringono in gran parte nella zona etnea. Il 5 agosto gli Alleati, dopo la sanguinosa battaglia nell’area del fiume Simeto, entrano a Catania. In tutte le città e paesi i cittadini siciliani accolgono gli Alleati con aperte, corali e gioiose manifestazioni di giubilo; lo schiaffo di disprezzo più grande ed energico al fascismo.

Ancora oggi in tutte le campagne della zona restano i bunker delle truppe tedesche

Le truppe italo-tedesche iniziano una veloce e disordinata ritirata, per raggiungere lo Stretto di Messina (17 agosto). L’obiettivo dei tedeschi è di abbandonare celermente la Sicilia, con tutti i mezzi.

Proprio nelle convulse giornate di questa fase i nazisti si scatenano in sanguinarie operazioni contro le popolazioni. Ormai in rotta, cercano tutti i mezzi per potere raggiungere Messina, sfogando sui civili la rabbia della sconfitta.

Nella ritirata, per essere meno visibili agli attacchi alleati, invece di utilizzare la strada costiera, in gran numero si spargono a raggiera nell’area interna, per diverse decine di chilometri.

In molti si mettono a depredare, razzie metodiche che perseguitano uomini, donne, ragazzi. Si impossessano di autoveicoli, cavalli e muli. Il ladrocinio è rivolto anche verso le strutture mobili dello Stato. Il giorno 20 luglio, i soldati tedeschi, dopo avere rapinato tutto ciò che di motorizzato è rimasto a Catania (compresi i carri funebri), assalgono la questura per impossessarsi degli automezzi; lo stesso giorno rubano, armi in mano, la macchina al prefetto a al podestà. Questo è il clima del disfacimento in atto.

Gli eventi più gravi e drammatici si consumano nell’area montana e pedemontana etnea tra il 3 e il 12 agosto. La violentissima battaglia della Piana di Catania è finita.

I luoghi degli eccidi più efferati sono Mascalucia e Castiglione di Sicilia – ove si attua una vera e propria metodica strage. Randazzo, Adrano, Biancavilla, Calatabiano, Pedara, Belpasso, Valverde, Trecastagni, e tutte le aree di campagna circostanti sono direttamente interessate dalla furia omicida e ladresca dei nazisti.

Anche i cittadini catanesi ne subiscono le conseguenze, come poi racconterà il 18 agosto 1945 il famoso giornalista catanese Igor Man in un articolo pubblicato su “Il Partigiano” di Genova dal titolo I primi partigiani sono stati siciliani”.

Gli Alleati a Mascalucia nel 1943

Il 3 agosto, Mascalucia (3.000 residenti, oltre 5.000 sfollati) diviene un vero e proprio campo di battaglia. Centinaia di civili armati, supportati dai pochi soldati italiani presenti nel paese (due postazioni del genio), dai vigili del fuoco militarizzati e carabinieri, si scontrano con le truppe tedesche. I cittadini stanchi delle angherie e delle razzie dei tedeschi si ribellano. L’ animo della rivolta scaturisce dopo alcuni tragici eventi provocati dalla furia di depredazione dei tedeschi nel corso della mattinata; prendono di mira i pochi automezzi civili rimasti, i cavalli, gli asini e i muli; gli animali sono l’unico, vitale “strumento” di sostegno di gran parte degli abitanti. Dopo l’assalto tedesco, con sparatoria, ad alcune case per rubare i cavalli, le famiglie Bonaccorso, Amato, Nicotra, si difendono armi in mano. Rimane ucciso Giovanni Amato e ferito il nipote, è ucciso il soldato italiano Francesco Wagner e gravemente ferito un altro soldato, Giuseppe La Marra, che morirà nei giorni successivi, intervenuti per impedire altri atti di violenza in corso nel paese.

Esplode la rabbia popolare. Parecchi cittadini hanno armi proprie. In molti attingono al deposito d’armi della famiglia Amato, armieri a Catania che avevano trasferito pistole e fucili a Mascalucia. Lo scontro, furente, dura diverse ore. I tedeschi sparano ripetutamente sulla piazza con un cannone controcarro, utilizzando un’autoblinda armata con quattro mitragliatrici, ma sono battuti sul campo. In tarda serata arrivarono gruppi di carabinieri da Catania, ufficiali italiani e tedeschi. Con grande fatica, dopo una snervante trattativa tra militari tedeschi, italiani e civili, è concordata una tregua. I tedeschi pretendono di prendere 100 ostaggi tra i civili. All’alba del giorno dopo i tedeschi abbandonano il paese. Nel corso degli scontri sono uccisi 14 tedeschi. I civili feriti, residenti a Mascalucia e sfollati, preferiscono restare anonimi. Gli inglesi arriveranno il 7 agosto.

Il 3 agosto anche a Pedara (poco distante da Mascalucia) si insorge. Anche in questo caso la reazione dei civili è dettata da un caso di razzia di animali. Alfio Venturo, mulattiere, dopo avere subito la rapina del proprio mulo, assieme al suocero, armati di schioppo, si recano nel centro del paese. Incontrano due tedeschi con il loro mulo, intimano la restituzione dell’animale. Scaturisce un furibondo scontro. Venturo e Di Stefano a colpi di pietra uccidono un tedesco e feriscono gravemente l’altro. Immediatamente i tedeschi presenti nel paese (una decina) si spostano nella piazza, sparando con una mitragliatrice. Da lì scatta la reazione dei civili, residenti e sfollati. In circa duecento, armati con armi proprie o prelevate dalla caserma dei carabinieri, circondarono i tedeschi, che si allontanano. Ma nel pomeriggio i nazisti tornano in forze e circondano la piazza.

La gran parte dei civili scappa, tredici uomini sono presi in ostaggio e portati a Zafferana, all’albergo “Airone”, dove è il comando tedesco. Saranno rilasciati giorni dopo, il 10 agosto, quando i tedeschi lasciano il paese. Il 7 agosto, nelle campagna tra Pedara e Tremestieri, i tedeschi hanno assassinato Alfio Faro, un giovane contadino. Il cadavere è ritrovato due giorni dopo orribilmente torturato e ucciso con cinque colpi di pistola.

Il 5 agosto, la morte per mano nazista è a Valverde: i tedeschi devastano la tenuta agricola di proprietà dei monaci dell’eremo di S. Anna. Dopo il depredazione delle riserve alimentari e l’uccisione degli animali da cortile, ammazzano frate Arcangelo a colpi di pistola. Anche a Randazzo, nella prima fase di agosto, i tedeschi uccidono persone inermi: Enrico La Piana di 50 anni e Nunzio Romano di 32.

Lapide in memoria a Castiglione di Sicilia

Il 12 agosto la furia nazista si scatena a Castiglione di Sicilia, Comune montano con settemila abitanti. Una divisione tedesca, dopo furenti combattimenti, si sta ritirando da Randazzo (altro comune montano dell’area nord dell’Etna, trasformata in piazzaforte dalle truppe italiane-tedesche, rimasto interamente distrutta dai terrificanti bombardamenti aerei effettuati dagli Alleati a partire dal 13 luglio).

Postazione antiaerea della 29. Panzergrenadier-Division in azione nello Stretto di Messina nell’estate 1943

Quella mattina un contingente tedesco entra in paese preceduto da un carro armato. Senza “ragione”, solo per sfizio omicida, iniziano a sparare contro le case e le persone che si trovano in strada. Un’azione lunga e meticolosa che riguarda tutto il paese. Consumano una vera e propria attività di perverso assassinio e di ladrocinio di massa. Moltissime case sono colpite dal fuoco delle mitragliatrici e dei fucili mitragliatori; i nazisti razziano e uccidono. Tantissime abitazioni furono devastate, depredate di tutti gli oggetti di valore. Pur di fronte all’enorme furore contro gli inermi un contingente di truppe italiane presenti nel paese, costituito da alcune decine di soldati, rimane inerte. Sedici cittadini sono uccisi dalla furia nazista: Giuseppe D’Amico, Nicola Camardi, Francesco Cannavò, Giuseppe Carciopolo, Antonino Celano, Nunzio Costanzo, Giovanni Crifò, Francesco Di Francesco, Salvatore Di Francesco, Giuseppe Ferlito, Vincenzo Nastasi, Salvatore Portale, Santo Purello, Giuseppe Rinaudo, Carmelo Rosano, Giuseppe Seminara.

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I feriti sono una ventina. Ancora non sazi di atrocità, i tedeschi, in un clima di generale terrore, rastrellano circa 300 persone, rinchiudendole in un grande ovile. Una delegazione, costituita da civili, un ufficiale italiano, l’arciprete Giosuè Russo e la suora Anna Maria Casini – vera e propria eroina della tragica situazione, era pronta a morire in cambio della liberazione dei cittadini imprigionati – conduce una drammatica trattativa. L’ufficiale tedesco continua a minacciare la fucilazione, asserendo che cinque soldati tedeschi sono stati uccisi dai civili, senza specificare il luogo. Finalmente, il 14 agosto, gli ostaggi, affamati e assettati, sono rilasciati.

Palazzo Cesi, dove vennero occultati nell’Armadio della vergogna 695 fascicoli con i dossier sulle stragi nazifasciste in Italia e un registro con 2.274 notizie di reato

Gli atti documentali della strage giacevano tra i 695 fascicoli d’inchiesta nascosti nel famoso Armadio della vergogna, in uno sgabuzzino della cancelleria della Procura militare, con le ante rivolte verso il muro. Nessuno degli assassini di inermi cittadini è stato mai perseguito dalla giustizia.

Una lapide posta nel Palazzo municipale di Castiglione di Sicilia recita: “Pacifici ed inermi cittadini senza colpa, barbaramente trucidati, uno ad uno, dalla furia irragionevole della belva tedesca, perivano il 12 agosto 1943”.

Altre sanguinosi crimini commessi dalle truppe tedesche nell’area etnea sono riportate nel libro “Catania tra guerra e dopoguerra”, a cura di F. Pezzino, L. D’Antone, S. Gentile.

In quelle giornate il paese di Adrano (circa 35 Km da Catania) è stato quasi del tutto abbandonato dagli abitanti, in stragrande parte contadini, che si sono rifugiati nelle campagne assieme ai propri animali di lavoro. Le truppe tedesche, sconfitte, si stanno ritirando da Troina e Regalbuto (Enna). Per sfuggire ai bombardamenti degli Alleati percorrono l’intreccio di trazzere e sentieri che si trovano in quell’area territoriale. Lungo il percorso rastrellano contadini e sfollati, circa centocinquanta, con il proposito di utilizzarli come “sistematori di strade” e facilitare la loro ritirata. Del consistente gruppo, tenuto in stato di schiavitù, fanno parte anche tre monaci cappuccini.

L’odissea inizia tra il 3 e il 4 agosto. Il 4 in contrada “Pietra Bianca” uccidono Antonio Ciadamidaro, 65 anni, Antonio Spalletta di 37 anni e in contrada “Grotte Rosse” ammazzano Antonino Agliozzo, 55 anni. Il giorno dopo vengono assassinante altri quattro uomini: Pietro La Rosa (40 anni), Salvatore Carciola (42 anni), Salvatore Ingrassia (43 anni), Salvatore Vitanza (60 anni).  Il 6 agosto, via via che la marcia procede in direzione Bronte-Randazzo, ammazzano Salvatore Liotta (19 anni) Carlo Carmelo Grasso (sfollato catanese), Salvatore Scuderi (53 anni). Prima di Cesarò, a seguito di un bombardamento degli Alleati, i prigionieri riuscirono a fuggire.

Altre uccisioni hanno per teatro la zona di Biancavilla (poco distante da Adrano) nel corso della prima settimana di agosto. Un contingente tedesco attendato in contrada “Martina” si dedica molteplici razzie in tutto il circondario, compreso il paese. In queste operazioni uccidono, con modalità atroci, 4 persone: Giosuè Riccieri di 33 anni, Alfio Alò, 18 anni, Antonio Riccieri, 45 anni, Giuseppe Papotto di 42 anni. Diversi contadini si difendono dalle violente angherie e alcuni soldati tedeschi sono uccisi.

Giorno 11 agosto a Calatabiano i tedeschi sequestrano un giovane di 15 anni, Quagliata, figlio del capostazione. Poco dopo è ammazzato a colpi di pistola.

Il 17 luglio nel centro del paese di Belpasso è ucciso Giuseppe Sciacca.

Negli Atti della Commissione storica italo-tedesca nominata dai ministri degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e della Repubblica Federale Tedesca, nominata il 28 marzo 2009, riguardo all’agosto 1943 si legge: 26 episodi, tutti realizzati nel mese di agosto, sono invece segnalati per la Sicilia. In particolare 11 episodi sono compiuti a Messina, 1 a Caltanissetta e 14 a Catania. 9 sono furti, 7 violenze senza alcun apparente motivo, 3 in seguito a rifiuto di eseguire un ordine. Altre due azioni sono realizzate perché le vittime sono accusate di spionaggio, o perché accusate di aver ucciso un tedesco. Un’altra azione violenta è agita perché la vittima si rifiutava di lavorare per i tedeschi e infine un’ultima in seguito ad azione bellica tedesca. Le violenze sono commesse a danno di 53 vittime, 5 delle quali derubate, 1 ferita e 47 uccise. Tra queste troviamo per esempio anche le 18 vittime della strage di Castiglione di Sicilia, in provincia di Catania, compiuta da soldati tedeschi il 12 agosto 1943, o di quella di Mascalucia del 3  agosto”.

Dopoguerra. Uno dei processi ai partigiani nel Nord Italia

Va ricordato che in aggiunta all’atroce danno patito dai civili arrivò anche la beffa. Nel dopoguerra, in piena Guerra fredda, sdoganamento dei neofascisti del Msi, forte “scomunica” dei comunisti, come avviene per molti patrioti della Resistenza accusati, incarcerati e condannati per atti infamanti di “volontario efferato assassinio”, anche nell’area etnea si verificano accuse e incarceramenti di cittadini che vennero incriminati di avere ammazzato, per legittima difesa, soldati tedeschi in quelle giornate dell’agosto 1943, proprio quando le truppe naziste infierivano selvaggiamente contro le popolazioni civili.

Decine di persone, quasi tutti braccianti, a seguito del ritrovamento di due scheletri di soldati tedeschi sono sottoposti a fermi e arresti nei paesi di Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Belpasso, accusati di avere assassinato nazisti che occupavano la Sicilia. Proprio in quelle aree territoriali dove, come prima ricordato, parecchi inermi contadini e braccianti erano stati ammazzati da truppe tedesche dedite al sistematico furto, alla rapina e allo stupro. In tanti si difesero, per evitare il furto degli essenziali animali di lavoro, asini, muli cavalli, “amati come la loro vita”, dei pochissimi beni alimentari, per scongiurare le drammatiche vessazioni rivolte alle proprie famiglie. Vicende ben conosciute da tutti, rimaste impresse nella memoria collettiva.

inchiesta.camera.it/

L’incredibile vicenda fu denunciata e stigmatizzata con due interrogazioni parlamentari, promosse da deputati del Pci, tra cui: Otello Marilli, Luigi Di Mauro, Anna Grasso Nicolosi, Giacomo Calandrone, Virgilio Failla, Alessandro Natta, Giuseppe Schirò. Discusse il 25 febbraio 1955Si chiedevano di “sapere i motivi che hanno determinato le autorità di pubblica sicurezza  della provincia di Catania a procedere a fermi e a darne la clamorosa notizia sulla stampa per il preteso assassinio di due militari tedeschi, caduti nell’agosto del 1943, in conflitto con la popolazione civile, mentre tentavano di rubare asini e muli e di uccidere i contadini proprietari degli animali; dopo di avare, gli stessi tedeschi, insieme con altri banditi delle SS e dell’esercito teutonico, ucciso i contadini Giuseppe Stissi, Giosuè Riccieri, Antonio Riccieri, Giuseppe Papotto, Alfio Scalisi e Alfio Alò (…)”.

Una seduta ad alta tensione, che si caratterizzò per l’assoluta reticenza del rappresentante del governo e l’impeto democratico dell’opposizione in difesa degli accusati a onore dei cittadini che in quell’agosto ’43 si opposero alle azioni obbrobriose dei militi nazisti. Contro le azioni repressive del ministro dell’Interno Scelba, in quella giornata due veementi interventi furono effettuati dai deputati Otello Marilli (fiorentino di nascita, catanese di adozione, stimato dirigente della Confederterra) e Giacomo Calandrone (di Savona, operaio, volontario nella Guerra di Spagna nelle Brigate Internazionali, dirigente del Pci in Sicilia, eletto nella circoscrizione catanese alla I e II legislatura nella Camera dei deputati).

La Resistenza continuava, dai banchi parlamentari. In difesa dei cittadini che a “mani nude” si erano opposti alle angherie nazifasciste, primo atto della Liberazione, per ripristinare la verità. Ora l’onorificenza al Merito civile restituisce almeno il ricordo del loro coraggio.