Roma, cimitero dei bambini mai nati (foto Imagoeconomica)

Inquietano, turbano, sconvolgono quelle centinaia di croci conficcate nella terra in cui sono sepolti feti. Non bambini, feti.

Saltando a piè pari il Medioevo, non poteva che essere stato scritto nel ventennio fascista questo regolamento cimiteriale, firmato infatti nel 1939 e mai affossato in 75 anni di riconquistata democrazia.

Cimitero Flaminio, Roma. Nel campo dei feti (Foto Imagoeconomica)

Ma fa ancora più orrore leggere su quelle croci i nomi e i cognomi di centinaia di donne che hanno abortito legalmente, come previsto dalla 194, e che sono state così pubblicamente e vigliaccamente oltraggiate e schedate in un grande archivio a cielo aperto, visibile a tutti. Nessuna aveva dato l’autorizzazione. C’è chi lavora ancora, in piena consapevolezza oscurantista, contro la dignità e la libertà delle donne, scavalcando persino le norme sulla privacy.

Verona, presentazione del XIII world congress of families. Al centro della foto l’allora ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini (http://www.ladislao.net/wp-content/uploads/2018/10/world-congress-of-families-2018-verona-toni-brandi-matteo-salvini.jpg)

Non lo abbiamo avvertito solo ora, non lo abbiamo scoperto solo dopo quella fiera degli orrori che fu il Congresso di Verona sulla famiglia del marzo dello scorso anno.

Ci provano da sempre i movimenti fascisti, reazionari e retrivi a togliere alle donne le conquiste minime di diritti ottenuti con lotte che durano da oltre un secolo su tutti i fronti.

Il campo dei bambini mai nati del cimitero di Brescia (da https://lh3.googleusercontent.com/proxy)

A ogni croce trovata in quei prati, prima nel cimitero Flaminio di Roma e più recentemente in quello di Brescia (crediamo che altri ne saranno scoperti), è legato un cognome, quello della madre. In questo ultimo caso specifico, la sepoltura dei feti era contenuta in una delibera della Regione Lombardia del 2007. E si parla anche di convenzioni per tale pratica tra alcuni ospedali italiani e associazioni antiabortiste.

Cimitero Flaminio, Roma. Un’altra immagine dal campo dei feti

Con quei legni incrociati e spesso sgangherati, gli oscurantisti vogliono far veicolare un messaggio reazionario che è quasi una sentenza: queste donne hanno abortito e qui, sotto terra, ci sono quelli che sarebbero potuti essere i loro figli. Queste donne sono morte e questi sono i loro nomi”. Nessun rispetto. Vengono giudicate ed esposte per le loro legittime, pur se spesso sofferte, scelte.

Il paesaggio che ci viene riportato con le foto, comparse on line e su tutti i giornali, è spettrale. No, non è un cimitero vero dove portare i fiori ai propri cari che non ci sono più.

Campo dei feti al cimitero Flaminio (foto Imagoeconomica)

Croci storte, piantate a casaccio, senza ordine. Qualche putto o fiore di plastica qua e là. Roba da film dell’orrore.

Perché l’obiettivo è proprio quello di incutere terrore e sdegno. Chi ha avuto la macabra idea, chi ha finanziato e messo in opera questo oltraggio, questa ennesima violenza contro le donne, la loro privacy, la loro identità, il loro diritto all’autodeterminazione? Sì, violenza è la parola giusta, quella che riassume tutto.

Foto Imagoeconomica

Anche quelle croci non sono simboli che possono appartenere alla coscienza intima di tutte. Assistiamo ancora oggi a un rimbalzo di responsabilità. C’è chi si aggrappa al regolamento di polizia mortuaria approvato con il Dpr 285 del 1990 che prevede, oltre alla sepoltura dei bimbi nati morti e dei “prodotti abortivi” per un intervento terapeutico (gestazione tra le 20 e le 28 settimane), anche la sepoltura degli embrioni, ma sempre su autorizzazione di chi ha interrotto la gravidanza volontariamente o spontaneamente.

Al Flaminio, così come a Brescia, non esiste alcuna autorizzazione, se non forse estorta con l’inganno.

Foto Imagoeconomica

Questi interrogativi sono oggetto di un’inchiesta della Procura di Roma, ma anche di azioni legali di associazioni di donne, di interrogazioni parlamentari, mentre è stata aperta un’istruttoria dal Garante della Privacy. Non si sa ancora se esistano o meno altrove altre vergogne uguali.

Manifestazione per la legge 194 (dall’archivio de l’Unità)

“Il caso offende la nostra coscienza laica e civile e nega le conquiste ottenute con durissime lotte dalle donne contro l’oscurantismo e per la conquista della L.194/78 sull’aborto”, ha scritto, in una nota, il Coordinamento donne dell’Anpi provinciale di Roma, esprimendo “profondo sconcerto e indignazione”.

E parliamo allora dell’aborto, di questa decisione intima, privatissima, spesso dolorosa. Le donne hanno sempre abortito, da millenni possiamo dire. Lo hanno fatto per problemi economici, per non essere messe alla gogna dalla società, per paura di essere licenziate, perché troppo sole, perché troppo giovani, perché dovevano già accudire troppi figli, perché malate, perché stuprate. O semplicemente perché il loro personale orologio biologico della maternità non ha mai suonato e non sentivano (e non sentono oggi) di voler essere madri.

Sino a non molto tempo fa, se prive di un reddito, provvedevano da sole, bevendo erbe velenose, utilizzando ferri o cucchiai e altri metodi devastanti. C’erano anche le “mammane” che, per pochi soldi, facevano il lavoro per loro in ambienti sporchi e squallidi. Quante donne sono morte di setticemia? Troppe. Poi sono arrivati alcuni medici che garantivano maggiore sicurezza e operavano in cliniche private, in ambulatori lontani da occhi indiscreti. L’intervento costava più di un mese di stipendio.

La legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza ha finalmente garantito alle donne, che vogliono o devono abortire, di non morire.

Brindisi, settembre 2017. Una delle tante, troppe volte in cui le donne italiane sono dovute scendere in piazza in difesa di diritti che pur conquistati con lunghe lotte sono spesso inattuati, in particolare nel Meridione

Sorprendentemente la stragrande maggioranza dei ginecologi ha dichiarato l’obiezione di coscienza persino per gli aborti terapeutici.

Il risultato: in molte regioni e in molte città, soprattutto al Sud, far applicare una legge dello Stato è quasi impossibile. Si continua a lottare affinché venga garantito questo diritto a tutte le donne, ovunque vivano. E ora scopriamo che bisogna lottare persino per difendere, all’interno di questo diritto, la propria privacy e la propria dignità.

Cimitero Flaminio, campo dei bimbi nati morti (Foto Imagoeconomica)

Chiudiamo con una delle dichiarazioni rilasciate a Repubblica da una giovane donna che ha trovato il suo nome su una delle croci del cimitero dell’orrore di Flaiano dopo dover dovuto rinunciare ad avere una figlia a causa di una diagnosi nefasta: gravissime malformazioni che l’avrebbero comunque portata alla morte. “Su quella croce c’è il mio nome. Lo hanno preso, hanno voluto farmi sentire morta, seppellita. Sembra una punizione. Ma io non ho nessuna intenzione di tacere”. Non restiamo zitte neanche noi, siamo con lei e con tutte le donne.