(Imagoeconomica, Alessandro Amoroso)

Sul tema dell’antisemitismo in Parlamento sono stati presentati tre disegni di legge: uno a firma del senatore Gasparri (n. 1627), l’altro a firma dei senatori della Lega di Salvini, Romeo, Pirovano e Bergesio (n. 1004): il terzo è a firma del senatore Scalfarotto (n. 1575). Dietro l’apparente lodevole intento si cela una insidiosa minaccia alle libertà costituzionali. La cosiddetta definizione operativa è quella proposta dall’International Holocaust Remember Alliance, già raccomandata agli Stati membri dalla risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 1° giugno 2017.

Il senatore della Lega Massimiliano Romeo, primo firmatario del disegno di legge sull’antisemitismo (Imagoeconomica, Andrea Di Biagio)

Mentre quello del senatore Gasparri, che non risulta ancora assegnato, ha caratteristiche proprie peggiorative (assimila espressamente antisemitismo e antisionismo, prevede sanzioni per insegnanti e ricercatori, estende la normativa penale), gli altri due, a contenuto omologo, sono in corso di esame davanti alla Commissione Affari costituzionali. Occupiamoci ora della minaccia più prossima. L’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) è un forum intergovernativo fondato nel 1998, al fine di unire governi ed esperti per rafforzare, promuovere e divulgare l’educazione sulla Shoah, la ricerca e il ricordo in tutto il mondo e il sostegno agli impegni assunti con la Dichiarazione del Forum internazionale di Stoccolma. Di esso fanno attualmente parte 35 Paesi, tra cui l’Italia.

L’articolo 17 della Costituzione

Da noi, in data 4 settembre 2024, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri era stato costituito un gruppo tecnico di lavoro per la ricognizione sulla definizione di antisemitismo approvata dall’IHRA, che aveva formulato indicazioni e raccomandazioni per dare ingresso nel nostro ordinamento alla suddetta definizione, secondo la quale costituisce antisemitismo una “determinata percezione degli Ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti, le cui manifestazioni di natura verbale o fisica, sono dirette verso le persone ebree e non ebree, i loro beni le istituzioni della comunità e i luoghi di culto ebraici”. A dispetto del fatto che la definizione operativa di antisemitismo dovrebbe costituire una “non-legally binding Working Definition” (così si esprime anche il rapporto finale del Gruppo di lavoro sopra indicato), i due disegni di legge prevedono conseguenze non poco “binding”. In particolare, è prevista la possibilità del diniego di autorizzazione di una riunione o manifestazione pubblica in caso di “grave rischio potenziale per l’utilizzo di simboli, slogan, messaggi e qualunque atto antisemita ai sensi della definizione operativa di antisemitismo adottata”.

(Imagoeconomica)

La libertà di riunione è una libertà garantita dalla nostra Costituzione (art. 17), che ammette la possibilità di divieti dell’autorità solo per motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Inoltre, ulteriori timori di limitazione delle libertà costituzionali possono sorgere anche dall’attribuzione al Presidente del Consiglio del potere di emanare disposizioni – con proprio decreto, quindi non con una legge – sempre al fine di contrastare le manifestazioni di antisemitismo in vari ambiti, ad esempio “per contrastare la diffusione del linguaggio d’odio antisemita sulla rete internet, anche attraverso l’aggiornamento delle regole di accesso alle piattaforme dei social media nonché mediante sistemi di segnalazione e rimozione, uniformi ed efficienti, dei relativi contenuti”. Anche la libertà di insegnamento viene coinvolta, per la possibilità che siano elaborate linee guida sul contrasto all’antisemitismo, sempre sulla base della definizione di antisemitismo adottata dall’IHRA.

Il binario che porta al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau

I disegni di legge non contengono norme penali. Tuttavia, per la prima volta il nostro ordinamento si doterebbe di una disciplina di protezione speciale per i discorsi d’odio diretti contro gli ebrei. Viceversa, la legislazione penale attualmente in vigore (art. 604 bis c.p.c), punisce la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero l’istigazione a commettere, o la commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, quale che sia il bersaglio contro cui sono diretti; anche quando si richiama, con una specifica aggravante, la negazione, la minimizzazione in modo grave e l’apologia della Shoah, la si affianca ai crimini di genocidio, ai crimini contro l’umanità e ai crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale.

Bambini armeni deportati

Quindi anche il genocidio degli armeni o forse, in futuro, quello degli stessi palestinesi di Gaza potrebbero costituire le premesse storiche per l’applicazione di tale fattispecie. Poiché si cammina sullo stretto e sdrucciolevole crinale che separa i reati d’opinione dalla libertà di manifestazione del pensiero (non tutti sono d’accordo, ad esempio, sul fatto che la negazione della Shoah e in genere le riletture negazioniste della storia giustifichino la sanzione penale e il nostro ordinamento la prevede opportunamente solo come aggravante di un reato), è rilevante che la sanzione penale intervenga quando effettivamente viene leso (o messo in pericolo) il bene giuridico protetto (i delitti vengono qualificati contro l’uguaglianza, e quindi tutelano la pari dignità di ogni persona) e l’utilizzo di espressioni “pregnanti” per qualificare la condotta vietata come propaganda e istigazione sembrano andare in tal senso.

(Imagoeconomica, Sergio Oliverio)

Va poi segnalato che la descrizione di un fatto da cui derivano conseguenze giuridiche (la definizione di antisemitismo) viene rimessa a una fonte extra legislativa e sovranazionale, con una sorta di abdicazione della funzione che dovrebbe essere svolta dalla legge nazionale. La scelta della definizione adottata dall’IHRA come “leading definition” non tiene poi conto dell’esistenza di definizioni di antisemitismo alternative, come vedremo oltre. La definizione dell’IHRA non si limita alla formula riprodotta nei disegni di legge, ma a essa è associata una elencazione esemplificativa di supposti comportamenti antisemiti, che è fatta propria dai disegni di legge, come parte della definizione (sono gli “indicatori, necessari ai fini dell’applicazione della legge” richiamati all’art. 1, c. 2°)

(Imagoeconomica)

Dopo avere premesso che “Le manifestazioni potrebbero includere la presa di mira dello Stato di Israele, concepito come collettività ebraica. Tuttavia, critiche rivolte a Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro Paese non possono essere considerate antisemite”, sono elencate undici categorie di azioni, considerate manifestazioni di opinioni antisemite. In molti casi si tratta di giudizi di valore in sé condivisibili e i comportamenti descritti rientrano a pieno titolo nel campionario dei discorsi d’odio antisemita, rimandando talvolta a una lunga e deprecabile tradizione storica. Tuttavia, in almeno due casi pare confondersi e sovrapporsi il giudizio sull’antisemitismo con quello sui comportamenti dello Stato di Israele. Sarebbero infatti manifestazioni di antisemitismo: a) negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio sostenendo che l’esistenza di uno Stato di Israele è un’espressione di razzismo; b) fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea a quella dei nazisti.

(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

Così facendo la definizione operativa sovrappone e confonde ambiti diversi. Uno è dato dall’antisemitismo, e cioè da manifestazioni aggressive nei confronti di chi professi la religione ebraica, o comunque si senta parte di una comunità o di una tradizione storica e culturale ebraica; e ciò, deve aggiungersi, indipendentemente dal fatto che l’aggressione sia diretta nei confronti del “popolo” ebraico (come si esprimono i disegni di legge), cosa che imporrebbe di definire che cosa si debba considerare come popolo ebraico; e comunque l’antisemitismo è una minaccia rivolta agli ebrei in quanto ebrei, restando al personale sentimento di ciascuno di loro decidere se sentirsi o meno parte del popolo ebraico. L’altro ambito è l’antisionismo e cioè l’opposizione al movimento che ha storicamente generato lo Stato di Israele, un movimento che si è proposto di realizzare nella storia un fine che la trascende, facendo coincidere la fondazione dello Stato di Israele col ritorno nella terra promessa da Dio agli ebrei. Il sionismo nella forma in cui storicamente si è realizzato ha operato sulla base di un’opzione nazionalista destinata inevitabilmente a contrapporsi al nazionalismo arabo.

Potenzialmente i due nazionalismi sono negatori l’uno dell’altro (nel 1967 l’allora presidente dell’OLP Ahmad Shuqairi dichiarò che gli eserciti arabi avrebbero ricacciato a mare gli ebrei, mentre Golda Meir negò l’esistenza del popolo palestinese), ma quello israeliano, a oggi militarmente prevalente, porta il peccato originale della Nakba, cioè dell’espulsione, accompagnata anche da episodi di violenza, delle popolazioni arabe residenti nel territorio incluso nello Stato di Israele, dapprima entro i confini del 1948, poi altresì, mediante una progressiva colonizzazione, nei territori occupati a seguito della guerra del 1967, di cui oggi i dirigenti israeliani non nascondono più l’intento di definitiva annessione. L’equiparazione tra antisemitismo e antisionismo è stata espressamente affermata da Jared Kushner, genero e consigliere speciale del presidente Trump, e si configura quindi, nei tempi intolleranti che stiamo vivendo, come una verità di regime.

Jared Kusher con il suocero Donald Trump (Imagoeconomica)

Va fatta una premessa: l’articolo 21 Cost. riconosce il diritto di manifestare il proprio pensiero in generale; esso tutela non solo le opinioni “giuste” (né spetta allo Stato definire quali esse siano), ma anche quelle “sbagliate”, quelle implausibili e irrealistiche e financo il “torto marcio”, col solo limite della lesione manifesta della dignità umana. Ciò vale per tutti. Per non ingenerare equivoci, ritengo che male abbia fatto il Politecnico di Torino a sospendere Pini Zorea, docente dell’università israeliana di Braude, ospite (guest lecturer) di un corso di dottorato per avere difeso durante la lezione l’esercito israeliano, definendolo “l’esercito più pulito al mondo”. Meglio sarebbe stato che il Politecnico si fosse dissociato da tale affermazione e avesse chiesto al docente di accettare un contraddittorio con l’Università.

Consideriamo ora partitamente le due ipotesi di supposto antisemitismo che abbiamo riportato sopra e diciamo subito che la negazione del diritto all’autodeterminazione di Israele è affermazione opposta e omologa alla negazione del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi, che per il governo di Israele è una ovvietà. Quanto alla natura razzista di Israele, si potrebbe obiettare che, sulla base della dichiarazione IHRA, è antisemita solo considerare, in linea di principio, l’esistenza dello Stato di Israele come espressione di razzismo, e cioè che il solo fatto che esista uno Stato di Israele non può che comportare un effetto di razzismo ai danni della popolazione palestinese. Anche una simile opinione, la cui discussione ci porterebbe alle origini del movimento sionista, alle finalità perseguite e alle conseguenze volute o accettate, è in ogni caso lecita. Poi, gli Stati, come gli individui, vanno giudicati per ciò che fanno e non è facile distinguere tra la teoria e la prassi, come dimostrano gli esempi che seguono. Che lo Stato o la politica dello Stato di Israele possa essere considerata razzista è questione oggi politicamente e drammaticamente sensibile, perché intorno a essa si decide del futuro delle regole del diritto internazionale e del rispetto dei diritti umani.

Che Israele sia uno Stato razzista lo pensa Amnesty International, che considera Israele responsabile del crimine di apartheid, cioè dell’instaurazione di un sistema di discriminazione di un gruppo etnico nei confronti di un altro. Tale sistema si impernia in sintesi sulla sottoposizione dei palestinesi, nella Cisgiordania (che corrisponde per gli Israeliani alle antiche regioni della Giudea e della Samaria) a un regime legale differenziato e discriminatorio, quanto a libertà di movimento, diritto di permanere nelle proprie case, diritto di utilizzare il territorio e le sue risorse. Oggi, in più luoghi, denunciare ciò che succede nei territori occupati, chiamare i fatti col loro nome, significa esporsi a reazioni censorie, alla richiesta di sanzioni, all’espulsione ideale dal consorzio della discussione pubblica.

È successo negli Stati Uniti, e quello che succede negli Stati Uniti ci interessa direttamente perché è da là che giungono le peggiori folate di vento che, in questo tempo di far right globalizzata, rischiano di travolgere i nostri sistemi liberal democratici. Così, ad esempio, è storia di ieri che la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, ancora durante l’era Biden, nel luglio 2023, ebbe ad approvare una risoluzione che nega che Israele sia uno Stato razzista o di apartheid.

Pramila Jayapal, deputata americana

Poco prima, la deputata Pramila Yayapal si era dovuta scusare per avere qualificato come razzista lo Stato di Israele. Scusandosi tuttavia aveva precisato: “Non credo che l’idea di Israele come nazione sia razzista. Credo, tuttavia, che il governo di estrema destra di Netanyahu abbia adottato politiche discriminatorie e apertamente razziste e che ci siano estremisti razzisti alla guida di tale politica all’interno dell’attuale governo. Credo che sia doveroso per tutti noi, che ci impegniamo a rendere il nostro mondo un luogo più giusto ed equo, denunciare e condannare queste politiche e il ruolo dell’attuale governo Netanyahu nel promuoverle”. Ancora prima la deputata Ihlan Omar era stata rimossa dalla Commissione Affari Esteri della Camera, per le sue critiche a Israele. Per il suo appoggio al movimento per il boicottaggio di Israele (BDS), assieme alla collega Rashida Tlaib, si è vista negare il visto per l’ingresso in Israele. Quest’ultima ha ora presentato una risoluzione al Congresso chiedendo che si denunci che la Nakba è tutt’ora ongoing, una risoluzione quindi che, stando alle premesse, potrebbe essere definita antisemita.

Per gli stessi motivi queste deputate potrebbero nel nostro Paese essere accusate di esprimere opinioni antisemite, perché lo zelante Gruppo tecnico di lavoro già citato, nel suo rapporto finale, considera manifestazione di antisemitismo “boicottare economicamente e culturalmente Israele (e suoi esponenti) in quanto identificato/i con l’ebreo collettivo” (non è chiaro cosa si intenda) e ritiene che vada evitato che le critiche verso i governi israeliani “possano riversare i loro effetti su tutti gli ebrei, come avviene anche nel caso del boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (bds) delle istituzioni o delle Università israeliane o di prodotti israeliani”.

(Imagoeconomica, Carlo Lannutti)

E negli Stati Uniti il tema dell’antisemitismo sta rapidamente diventando materia di caccia alle streghe. Si assiste a uno stillicidio di iniziative repressive o intimidatorie che sarebbe impossibile elencare. È storia di oggi che il 4 settembre 2025, 160 membri dell’Università di Berkeley hanno ricevuto comunicazione che files contenenti il loro nome erano stati trasmessi all’Ufficio per i diritti civili del Dipartimento per l’Educazione nell’ambito di un’indagine sull’antisemitismo (relativa a presunti incidenti antisemiti) nei college e nei campus universitari. Si ignora quali siano i fatti oggetto di indagine. Tra i docenti coinvolti vi è Judith Butler, manco a dirlo di ascendenza ebraica, persona che, per i suoi interessi e percorso professionale (i suoi lavori trattano dell’identità di genere), può – lei sì – essere esposta ad un discorso d’odio. In una lettera al Presidente del consiglio universitario (pubblicata da The Nation) la docente assimila la sua vicenda a quella di Joseph K, protagonista de Il processo di Kafka.  

Manifestazione contro Judith Butler, filosofa statunitense che si occupa di femminismo e teoria queer

Per distinguere ciò che è manifestazione di antisemitismo da ciò che non lo è, un affidabile criterio di verifica potrebbe essere quello di domandarsi se quella tale condotta o manifestazione di pensiero possa essere realizzata o espressa ovvero sia stata in fatto realizzata o espressa da persone di religione ebraica. Un ebreo non giustificherebbe mai la Shoah, non riterrebbe mai come plausibili i piani per dominare il mondo esposti nei protocolli dei savi anziani di Sion, né accuserebbe i suoi correligionari di pratiche rituali di uccisione di bambini. Invero, considerare espressione di antisemitismo una condotta che possa ragionevolmente imputarsi a un ebreo significa compiere un atto discriminatorio di contenuto antisemita, perché significa escludere quell’ebreo dalla comunità che gli appartiene. Solo gli Stati etici revocano la cittadinanza ai dissidenti. E ciò in effetti è quello che è successo. È successo in primo luogo in Israele. Il comitato etico del parlamento israeliano ha sospeso il deputato Ofer Cassif per aver definito la condotta dell’Idf a Gaza “un massacro genocida”, e 82 parlamentari israeliani su 120 hanno firmato a favore della decadenza di Cassif, accusato di resistenza a pubblico ufficiale per aver tentato di difendere famiglie palestinesi dall’assalto dei coloni, scortati dalla polizia israeliana, che volevano sgomberarli per appropriarsi illegalmente e con la violenza delle loro terre e delle loro case.

Il logo della Ong “Breaking the Silence”

Un po’ ovunque ci sono cittadini di religione ebraica che levano la loro voce contro le barbarie commesse dal governo Netanyhau. In Israele la Ong Breaking the Silence è un’organizzazione di veterani che svolge un lavoro di documentazione delle violenze e dei crimini compiuti dall’esercito israeliano: saccheggi e distruzione di proprietà vengono denunciati come la norma da anni, e non come casi “estremi e “unici. Le testimonianze raccolte provengono dagli stessi soldati.

Il presidente Usa Donald Trump (Imagoeconomica, via Casa Bianca)

In una intervista il giornalista di Haaretz, Gideon Levy ha tra l’altro dichiarato: Gli israeliani non hanno mai visto i palestinesi come esseri umani uguali, ma come esseri da rimpiazzare, da cacciare via. Nei primi anni Venti, i pionieri parlavano apertamente di conquista del lavoro, ovvero di togliere ai palestinesi il loro lavoro e di prenderlo. La disumanizzazione dei palestinesi esiste da decenni, il 7 ottobre ha solo reso tutto più intenso e Israele è uscito allo scoperto. La maggior parte degli israeliani pensa che Israele abbia il diritto di fare ciò che vuole e che non ci siano palestinesi innocenti. Sente di avere non solo il diritto ma il dovere di compiere un genocidio e una pulizia etnica. Negli Stati Uniti cento personalità ebree americane hanno sottoscritto una dichiarazione di opposizione a come l’amministrazione Trump in malafede usa le accuse di antisemitismo per attaccare l’istruzione superiore americana e la capacità degli studiosi di perseguire la ricerca e la conoscenza indipendentemente dall’interferenza del governo (U.S. Jews Opposing Trump’s Disingenuous Claims of Antisemitism to Attack Colleges and Deport Students –)

Lo scrittore David Grossman

In Italia, lo scrittore David Grossman si è confrontato con il termine “genocidio”: leggere in un giornale o ascoltare nelle conversazioni con gli amici in Europa l’accostamento delle parole “Israele” e “fame”; farlo partendo dalla nostra Storia, dalla nostra presunta sensibilità alle sofferenze dell’umanità, dalla responsabilità morale che abbiamo sempre detto di avere verso ogni essere umano e non soltanto verso gli ebrei… tutto questo è devastante… Mi chiedo: come siamo potuti arrivare a questo punto? A essere accusati di genocidio? Anche solo pronunciare questa parola, “genocidio”, in riferimento a Israele, al popolo ebraico: basterebbe questo, il fatto che ci sia questo accostamento, per dire che ci sta succedendo qualcosa di molto brutto. Una volta un giudice della Corte suprema israeliana ha detto che il potere corrompe, e che il potere assoluto corrompe in modo assoluto. Ed ecco, ci è successo: l’Occupazione ci ha corrotto. Io sono assolutamente convinto del fatto che la maledizione di Israele sia nata con l’Occupazione dei territori palestinesi nel 1967.

Kenneth Stern

Anche Kenneth Stern, che ha partecipato alla redazione della definizione IHRA, ha preso le distanze da alcune interpretazioni che ne sono state date: Io sono sionista. Ma in un campus universitario, dove lo scopo è esplorare idee, gli antisionisti hanno diritto alla libertà di espressione (The Guardian, 13.12.19). Numerosi gruppi per la difesa dei diritti umani hanno esortato le Nazioni Unite a non fare propria la definizione di antisemitismo dell’IHRA. Non è nemmeno vero che, ove davvero si ritenga di aver bisogno di una nozione legale di antisemitismo, non vi siano altre proposte sul campo. Una è la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo. Di matrice accademica, la Dichiarazione muove dal rilievo che “vi è un’esigenza ampiamente sentita di chiarezza sui limiti del discorso e dell’azione politica legittimi riguardanti il ​​sionismo, Israele e la Palestina”. Chiarisce che “stabilire che un’opinione o un’azione controversa non sia antisemita non implica né che la approviamo né che non la approviamo”. Riconduce l’antisemitismo a una specie del genus razzismo come “discriminazione, pregiudizio, ostilità o violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o contro le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche)”. Infatti “è razzista essenzializzare (trattare un tratto caratteriale come intrinseco) o fare generalizzazioni negative su una determinata popolazione. Ciò che è vero per il razzismo in generale, è vero per l’antisemitismo in particolare”.

La Dichiarazione contiene non solo un elenco esemplificativo di espressioni antisemite, ma anche un elenco di espressioni che non lo sono. Tra queste ultime in particolare vi è quella di “criticare o opporsi al sionismo come forma di nazionalismo, o sostenere una serie di accordi costituzionali per ebrei e palestinesi nell’area tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. Non è antisemita sostenere accordi che garantiscano piena uguaglianza a tutti gli abitanti “tra il fiume e il mare”, che si tratti di due stati, di uno stato binazionale, di uno stato democratico unitario, di uno stato federale o di qualsiasi altra forma”. Inoltre, “non è antisemita sottolineare la discriminazione razziale sistematica”, “anche se polemico, non è antisemita, in sé e per sé, paragonare Israele ad altri esempi storici, tra cui il colonialismo di insediamento o l’apartheid”.

Secondo il deputato del Likud Nissim Vaturi , “I civili innocenti a Gaza non ci sono. Sono tutti feccia, subumani, nessuno al mondo li vuole. I bambini e le donne vanno separati dagli uomini e tutti gli uomini vanno giustiziati”

In generale, “la linea di demarcazione tra discorso antisemita e non antisemita è diversa da quella tra discorso irragionevole e discorso ragionevole”. A questo punto possiamo affrontare l’ulteriore indicatore preso in considerazione, e cioè se sia manifestazione di antisemitismo paragonare la politica israeliana contemporanea a quella dei nazisti. Stiamo sfiorando il non predicabile, sul piano storico ed etico, per via di quell’unicum rappresentato dall’Olocausto, quanto a estensione, finalità, organizzazione di mezzi e tecniche di sterminio. E tuttavia si considerino alcune disgustose dichiarazioni di politici israeliani, come quella del deputato del Likud Nissim Vaturi: “I civili innocenti a Gaza? Non ci sono. Sono tutti feccia, subumani, nessuno al mondo li vuole. I bambini e le donne vanno separati dagli uomini e tutti gli uomini vanno giustiziati. Bisogna bruciare Gaza”; o anche il business plan per Gaza del ministro Smotrich: “la striscia sta diventando una miniera d’oro immobiliare. Abbiamo pagato molti soldi per la guerra. Dobbiamo decidere come dividere le quote di terreno a Gaza. La fase di demolizione è sempre la prima fase del rinnovamento urbano. L’abbiamo fatto ora dobbiamo iniziare a costruire”.

Soldati italiani in Etiopia, 1935

Paragonare non significa assimilare, significa mettere a confronto, stabilire una relazione dotata di senso; conta anche il punto di vista dell’osservatore, possiamo porci al posto di un palestinese di Gaza o della Cisgiordania e intendere le ragioni di un giudizio; noi, che siamo comodamente in grado di conservare il senso della misura, possiamo quantomeno paragonare le stragi di civili di cui si è resa responsabile Israele ai crimini di guerra commessi dall’Italia fascista in Etiopia, in Libia e nei Balcani. In verità, siamo di fronte a un mutamento di segno della condanna dell’antisemitismo. Da una prospettiva universalista e democratica, che si pone dal punto di vista dei gruppi sociali minacciati di discriminazione affermando il loro diritto a una pari considerazione sociale, essa è stata assunta oggi a giustificazione di ciò che viene fatto dal governo di Israele, che viene sottratto a ogni giudizio etico.

(Imagoeconomica, Clemente Marmorino)

La lotta all’antisemitismo diviene la copertura ideologica per negare diritti civili all’interno e per affermare un ordine internazionale fondato esclusivamente sull’uso della forza. Dietro la norma che sanziona il comportamento si intravvede l’autore preso di mira: non più lo skinhead con la testa rapata e la maglietta col numero 88 (che vuol dire Heil Hitler), ma il manifestante “pro pal e le donne con l’orecchino a fetta di anguria. Forse l’anello di congiunzione in questo cambio di paradigma può essere rappresentato dalla figura di George Soros, che, in quanto finanziere e speculatore, può incarnare il profilo dell’ebreo voglioso di possedere il mondo e, in quanto liberal, il supposto finanziatore di gruppi nemici della destra, persino di Occupy Wall Street. Anche quella dell’antisemitismo è una battaglia per l’egemonia culturale. Ma quando i partecipanti a una manifestazione ricevono la solidarietà degli automobilisti bloccati, vuol dire che c’è spazio per reagire. Può darsi che i disegni di legge finiscano nel cassetto. Se non fosse così, la risposta non può che essere la disobbedienza civile, perché, come diceva Calamandrei, la libertà è come l’aria e ci si accorge di quanto sia necessaria quando comincia a mancare.

Mauro Dallacasa, magistrato